La Milano di Rkomi
Tutte le foto di Francesco Cerutti @younggoats

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Musica

La Milano di Rkomi

Rkomi ci ha portato per mano attraverso la sua Milano per raccontarci i luoghi, le persone e le storie che hanno formato la sua mente e il suo rap.

Unlock The City è un progetto realizzato da Noisey in collaborazione con Timberland per raccontare il rapporto tra la città di Milano e gli artisti che l'hanno esplorata e vissuta tramite la loro musica.

Fin dagli inizi della sua carriera, Rkomi ha legato il suo nome a quello del suo quartiere, Calvairate. Anzi, la sua zona, come la chiama in “4Z”, inno di appartenenza che chiude il suo primo album Io in terra. “Giro il mondo senza muovermi da qui”, cantava su una lenta chitarra intrisa di malinconia. Da allora le cose sono cambiate, e di molto. Quella voce narrante, nata e cresciuta tra sbattimenti e bellezza, ragazzate e responsabilità, ha cominciato a esplorare l’Italia e il mondo. Ha cominciato a salire sui palchi, si è messa in gioco allontanandosi dalla sua zona di comfort, ha trovato ossigeno creativo nelle colorate città della Spagna.

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Milano e il quartiere sono però come un elastico attorno alla sua vita - un pezzetto di plastica che può tendersi fino all’infinito, fino a diventare sottilissimo, ma continuerà sempre a tenerlo legato alle sue origini. In che modo Rkomi ha vissuto i luoghi che lo hanno formato, e com’è stato per lui allontanarsi da essi proprio nel momento in cui la sua carriera stava decollando? Qual è la sua casa all’interno di quella grande casa che è Milano? Ce lo ha raccontato, disegnando una mappa in cui arte, vita, strade e persone si confondono fino a diventare la stessa cosa.

Noisey: In che fase della tua carriera ti senti, ora che è passato quel momento di pausa che è stato Ossigeno ?
Rkomi: Sto lavorando molto al mio album e voglio cambiare la direzione che ho sempre tenuto, così da spiazzare sia me che tutti gli altri. Ossigeno è stata una scusa per poter staccare in un momento in cui ne avevo bisogno, per poter immagazzinare tutto quello che era successo fino a quel punto. Abbiamo deciso di andare a Valencia per qualche giorno a buttare giù pensieri, renderli il libro che è uscito, e giocare un po’ con il microfono. Adesso però sto lavorando su di me, sul mio suono, come non avevo mai fatto. Potrei anche tornare a prendere una direzione già conosciuta, ma in realtà sto lasciando che sia lo studio a tirare fuori la musica che accompagnerà i miei nuovi testi.

Andare a Valencia è stato un modo per staccare dall’ambiente che ti circonda?
La cosa che mi interessa è quella, e poi la Spagna è una nazione molto colorata e interessante da un punto di vista umano. Mi ci sono trovato benissimo.

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In che modo l’ambiente in cui ti trovi e le persone che ti circondano influiscono sulla tua musica?
Mi dà modo di avere più opinioni e informazioni. Con più persone c’è feeling, con più persone hai modo di discutere, più si allarga la tua visione e più argomenti e vocaboli acquisisci. Prima che un team io ho trovato degli amici che possono capirmi e che io posso capire.

Com’è cambiato, crescendo, il rapporto con la città e i posti che vivi e raccontano le storie della tua musica?
L’unica cosa che è cambiata sono le zone in cui posso essere me stesso, quelle in cui posso essere testimone di ciò che succede nel modo più intoccabile possibile. Il fattore foto e autografi è una figata ma fa sì che devo evitare determinati posti e zone, se voglio viverle in modo personale. Insomma, se voglio uscire con la ragazza, o guardare il vuoto e il cielo, non vado sui Navigli a prendermi un caffè. Sono cambiato io e sono cresciuti i miei bisogni, e di conseguenza la mia visione.

Qual è il posto che per te rappresenta di più Milano?
Il quartiere, Calvairate. Lì abita mia madre, lì ci sono tutti i miei amici e le mie conoscenze. Tutti, dalla portinaia al ragazzino al bambino appena nato, mi danno tanto. Lì ritrovo me stesso. Sto tornando in quartiere, sto aspettando di fatturare ancora un po’ per poterci finalmente comprare una prima casa.

Quali sono i tuoi primi ricordi della fase in cui sei uscito dal quartiere, quando hai cominciato a rapportarti alla vita lavorativa?
Il mio quartiere è a dieci, quindici minuti dal Duomo. Quindi ho vissuto entrambe le facce della medaglia, dalla parte più povera a quella più ricca, sia per economia che per principi e visione. La mia famiglia stessa è suddivisa in due parti, una più umile e una più tranquilla. Sono sempre stato cresciuto con input di natura diversa. Il fatto che io sia una persona un po’ più sensibile, che ascolta tanto, ha fatto sì che io potessi capire quello che stesse succedendo anche nella mia inesperienza. E la città ti ha aiutato a crescere come artista?
Più della città ho fatto io, hanno fatto le persone che sono rimaste al mio fianco. Inizialmente il mio modo di rapportarmi a quello che succedeva era “contro”, un po’ punk. Ci ho messo tanto ad accettare, a firmare, a incontrare le persone che volevano conoscermi o avevano anche solo semplicemente apprezzato qualcosa di mio. Questo però mi ha fatto un gran bene, perché mi ha permesso di valorizzare me e il mio percorso.

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Ed è forse la stessa cosa di cui parli nel libro quando dici che per te fino a un certo punto salire sul palco non era la cosa più naturale del mondo, ma una sfida?
Ognuno di noi ha qualcosa che non gli viene facile. Tra tutti i rapper della nuova scuola io sono quello che ha iniziato dopo. Loro i palchi li facevano da quando avevano 13 anni, io quella parte non l’avevo mai vissuta. Adesso è passato un anno e i palchi me li sto iniziando a mangiucchiare, anche se ci sono momenti e giornate da cui si arriva. Gli ultimi mesi sono stati molto forti. All’inizio quando salivo sui palchi non riuscivo a connettere per l’emozione, adesso mi ricordo ogni singolo secondo, ogni faccia. Quando vado a far le foto a fine serata riesco a ricordare chi cantava cosa, parlo con le persone e mi sento connesso con tutto. Questo mi sta portando a scrivere altri testi, a interpretare in altri modi quello che vivo.

Quando si è sbloccato qualcosa?
Quando l’ho deciso io e le esperienze si sono accumulate così tanto da farmi essere più sereno e sicuro di quello che stessi facendo.

Dove sei andato, quando ti sei spostato da Calvairate?
Con l’uscita del disco mi sono spostato perché mi piace sempre mettermi i bastoni tra le ruote. Magari certe scelte musicali che farò non verranno capite, o faranno storcere un po’ il naso… e anche nella vita faccio così. Ho sempre bruciato le tappe. A 14 anni sapevo già cosa significasse farsi o non farsi una lavatrice. A 17 anni ho mollato la scuola perché il posto di lavoro in cui avevo fatto lo stage mi aveva proposto un lavoro, e piuttosto di non farmi quegli ultimi mesi sono andato a lavorare. Al mare vivevo già da solo in piccoli monolocali. Sono cresciuto in fretta, un po’ per decisione mia e un po’ della vita, per quanto certe cose siano state paradossali o negative. Sono dovuto diventare un ometto prima del tempo. Quando è uscito il disco volevo vedere quanto potesse mancarmi la zona, non sapevo però cosa volesse dire andarmene a lungo termine. Inizialmente dovevano essere tre, sei mesi e alla fine è diventato un anno, perché non potevo fare mille traslochi. Alla fine non mi sono trovato male, ho fatto nuove conoscenze e scoperto nuovi luoghi. Volevo scrivere parti di Io in terra fuori di lì, immagazzinare cose che avrei potuto trasformare in musica in futuro e tornare in quartiere con le idee più chiare. Ce l’ho fatta, lo sto facendo, sto tornando. Manca pochissimo.

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Quali sono i posti in cui ci porteresti per raccontarci il tuo rapporto con la zona?
Ci lasceremo un po’ trasportare dalle situazioni. Parchi in cui stavo da ragazzino a fare cose belle o brutte. La parte più popolare di Calvairate, via Ugo Tomei, Piazza Insubria, Piazzale Martini. Piazzale Cuoco, qualche piccola attività, i kebabbari, il mio parrucchiere di una vita. La mia scuola media, quella di via Cipro. Finimmo pure sui giornali, ai tempi, anche se non ne vado fiero. Io ero bravo a ricordare ma a casa non studiavo, arrivavo dieci minuti prima in aula per fare gli esercizi. Se c’è una cosa sana e positiva che mi piace raccontare è che, grazie a Dio, anche alle medie come alle elementari e alle superiori ho trovato un punto di riferimento in un professore. Ce n’era sempre una, o uno, che con uno sguardo riusciva a dirmi “Ok, tu stai facendo questa cosa ma puoi essere anche altro, sei altro”. Fu questa persona a farmi appassionare all’italiano e a stimolare la mia fantasia. Non alla grammatica perché purtroppo la sbaglio ancora, ma alla letteratura. E poi c’è Wang Jiao…

Che cos’è Wang Jiao, e perché è importante per te?
Wang Jiao è un ristorante cinese vicino ai Navigli, ed è diventato un ritrovo. Inizialmente ci andavo con i miei amici scappati di casa, poi mi sono reso conto che ci andava mezza scena rap. Ritrovarmi poi lì con loro è stato strano. Poi abbiamo rivisitato i nostri comportamenti, che sono diventati più spontanei e naturali e mai maleducati. Ho cominciato ad andarci con Skinny, con Noyz, ci ho beccato Coez, addirittura Lord Bean una volta.

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Dato che mi parlavi delle medie: dove hai fatto le superiori, invece?
Le superiori le ho fatte in Corvetto, in piazza Gabrio Rosa, in una scuola non incredibile. Però è stata una figata che mi ha fatto crescere tantissimo, sono legatissimo a quei tre anni. Adesso sono completamente un’altra persona. Non che fossi un malandrino ma ero uno sconsiderato. Mi fa strano avere fatto un sacco di danni in quei anni, come anche cose positive. Ma quel tempo rappresenta una follia mista a una voglia successiva di rimettersi un attimo in sesto. Non c’è niente che non abbiamo fatto in quelle classi, davvero. Tranne forse studiare, purtroppo. Non è che ne vada fiero. Ma a Corvetto ho anche passato un bel sei, nove mesi a registrare in studio da Garelli. Tedua stava in uno stanzino lì a fianco e lì sono nati molti dei pezzi che sono poi finiti nei nostri vari progetti.

Qual è il tuo rapporto con i Navigli di Milano?
Molti amici e collaboratori si trovano spesso e volentieri sui Navigli. È una zona di spensieratezza come di lavoro, dato che qua c’è lo studio di Skinny. Sono venuto da lui per la prima volta a fare due chiacchiere un paio di settimane dopo che lui mi scrisse, il giorno esatto dell’uscita di “Dasein Sollen”. Mi ero preso il tempo per capire un attimo quello che stava succedendo. Skinny è un grande uomo e un grande amico, nonostante la mia giovanissima età. Anche lui si è confidato con me, mi ha chiesto cose. Lui è uno che ascolta tanta musica, ma la cosa che mi ha dato è una grande forza indiretta, ricevendo i suoi props e i suoi messaggi, conoscendo Noyz e tutti gli altri.

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Oltre allo studio di Skinny, quali sono i luoghi dei Navigli che senti “tuoi”?
Da ragazzino stavo tanto in quartiere, la classica vita in quattro piazze a non fare altro che non fare niente. In questi ultimi due anni sto conoscendo davvero i Navigli grazie al successo della mia musica, perché io c’ero stato un paio di volte, in Fontanelle, una birreria famosa quando ero un pischelletto. Nell’ultimo periodo ho frequentato vari pub e club, dove purtroppo non possiamo più di tanto mettere piede… i Navigli, ad ogni modo, sono la mia nuova piazza, oltre che il luogo dove lavoro. Lo studio di Thaurus è in via Carlo D’Adda, quindi bene o male sono sempre qui.

Mi racconti quali sono i luoghi del tuo quartiere a cui sei più legato?
Ogni angolo è una storia. C’è un bar che abbiamo frequentato per sei, sette mesi, il proprietario era il fratellone di un mio caro amico e ci abbiamo buttato parecchio tempo, nelle sere d’estate di Milano. C’è un tabacchi dove abbiamo fatto tante “mandelle”, da ragazzini… Ci sono quei barettini storici con le uova sode a 50 centesimi, che ora sono dei cinesi. C’è Giannasi, storica polleria di Milano, ai tempi in cui vivevo in quelle case in cui eravamo in mille - io, Tedua, Bresh - prendevamo 70 chili di roba qua, spendevamo 30, 40 euro e ci mangiavamo in 20. Ci sono le classiche panchinette dove stavo con la compagnia di Piazza Insubria. Ci torno spesso, però mi fa ricordare tante cose. Nonostante io mi sia spostato ho sempre trovato il tempo per tornare qua. È qua che sono cresciuto, qua che abbiamo girato “Sissignore”. Qua abita Falco, mio storicissimo socio, come altre mille persone. Tutte le piazze, come Piazzale Martini, sono state rifatte. Una volta erano veramente pessime. A volte, quando eri piccolo, trovavi anche morti siringati. Martini è per metà residenziale e per metà popolare, il mio palazzo di sempre è il 3, e accanto una tintoria storica che non chiude mai…

A Calvairate hai anche girato i tuoi primi video, giusto?
I miei primi quattro video sono stati girati tutti in quartiere. Sembra ieri ma sono passati due anni, e mi fa strano ributtarmici. In via Calvairate, dove ho tanti amici, tra cui uno che non vedo da tantissimo tempo e spero legga queste parole. Anche con lui fatto un sacco di danni e di belle cose. Poi c’è uno spiazzone dopo l’Ortomercato che è stato usato anche per fare dei festival e quando uscirono i video io lavoravo proprio lì, come paninaro. Iniziarono a chiedermi le prime foto, mentre facevo i panini! Quello che ora è un campo, un tempo era un campo da calcio dove giocavo. C’è un bar dove ho girato il video di “Oh Mama”. C’è Piazza Ovidio, pluri-citata da un sacco di cristiani. E c’è la casa dove abbiamo vissuto per un anno e mezzo con tutti i ragazzi. Mi è arrivata ieri una multa di 450 euro per la tassa dei rifiuti che non abbiamo mai pagato! C’è via Salomone, famosissima, c’è il parco che separa via Attilio Regolo dalla Trecca, il palazzo dove ho girato “Dasein Sollen”. Ed è una piccola oasi felice del quartiere. Qua girarono “Benvenuti nella giungla” i Dogo, anni or sono.

Il 3 ottobre i tre protagonisti di Unlock The City, Carl Brave, Rkomi e Coma Cose, saranno in concerto a Milano per un evento gratuito offerto da Timberland. Registrati sul sito per assicurarti di riuscire a entrare e ricevere in regalo una t-shirt realizzata da Timberland e Asian Fake, e se porti le scarpe giuste avrai anche la possibilità di farti un giro nel backstage.

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