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Tecnologia

Come sta l'industria del videogioco in Italia?

Massimo Guarini di Ovosonico e Giuseppe Franchi di 34BigThings descrivono lo stato dell'industria italiana del videogioco dopo il convegno della scorsa settimana.

Parlare di videogiochi è molto difficile: è ormai molto tempo che il medium ha smesso di essere considerato mero intrattenimento e sta lentamente migrando verso le terre concettuali dell'arte.

Per chi i videogiochi li gioca è difficile riuscire a comprendere chiaramente la linea che separa l'entertainment dalla velleità artistica—ancor di più, è quasi impossibile riuscire a convincersi definitivamente che sviluppare videogiochi non è un passatempo.

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Per questo, sotto sotto, storciamo sempre un po' il naso quando si parla di videogiochi: seguiamo appassionati le vicende di cronaca politica, ci schieriamo quando ci viene chiesto di farlo e talvolta osiamo anche lanciarci in qualche affermazione importante, "I videogiochi sono un'arte!" Alla fine della giornata, però, chi questa battaglia la deve vincere sono gli sviluppatori, non noi, che i videogiochi spesso li sfruttiamo per riempire i tempi morti delle nostre ordinarie vite.

La scorsa settimana la Camera dei deputati ha ospitato il primo covegno omnicomprensivo sull'industria italiana dei videogiochi. Si è parlato un po' di tutto, e tutto sommato personalmente ritengo che visti i precedenti poteva andare molto, molto peggio. Qualcuno però non è d'accordo con me.

Un grab del convegno.

Giuseppe Enrico Franchi, direttore operativo di 34BigThings—una casa di sviluppo torinese con un bel curriculum—pubblica il giorno dopo una lettera titolata, "Non parlatemi di videogiochi." Nella lettera racconta la propria delusione per il convegno, e io proprio non riuscivo a capire perché non si potesse essere contenti di aver raggiunto questo piccolo risultato. Così ho contattato lui e Massimo Guarini, di Ovosonico, che era presente in qualità di speaker al convegno, e mi sono fatto raccontare le loro impressione sull'industria italiana del videogioco.

In primis ho chiesto a Massimo come, per lui, fosse andato l'incontro, "È andata bene. È stato un incontro importante e anche se da fuori non sembra così è comunque importante esserci e cercare, con l'insistenza, di fare passare un messaggio. Ciò che c'è di importante è che abbiamo proposto qualcosa: sono state offerte delle possibili soluzioni come il tax credit e il tax shelter. Ora non mi aspetto che salti fuori un decreto legge dall'oggi al domani, ma personalmente ho visto uno spiraglio concreto per poter modificare la legge esistente," mi spiega Massimo.

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Uno screenshot di Murasaki Baby, l'ultimo gioco di Ovosonico.

Il convegno, diviso in tre round, ha alternato discorsi più tecnici ad altri più sociali, e la paura è che i secondi—caratterizzati dai tradizionali toni allarmistici all'italiana—possano aver monopolizzato l'attenzione del pubblico, "Al di là dei toni di colore, sicuramente coloro che erano presenti si rendono conto di quanti soldi girano. È solo un problema dell'Italia; è in un certo senso un problema di peso specifico dell'economia globale italiana, ci vorrebbe un po' più di internazionalizzazione. Sicuramente se ci fossero risultati un po' più eclatanti il processo sarebbe molto più naturale: siamo in ritardo come paese, soprattutto sul digitale. In quanto popolo siamo parecchio inefficienti, ma sono convinto che una volta che riusciremo a consolidare il business riusciremo anche ad ottenere un substrato di produzione prettamente industriale che permetterà di avviare un processo più serio," continua.

Resta da chiedersi cosa sia stato questo convegno, se un punto di arrivo di un percorso, o uno di partenza, "Adesso lavoreremo con AESVI e cercheremo di trasformare queste speranze di sgravi fiscali in decreti legislativi."

Ho quindi contattato Giuseppe Franchi di 34BigThings per capire da dove arrivasse la delusione post-convegno, "È un bene che se ne sia parlato perché è strano che si vada a parlare di videogiochi in certi palazzi—un male per come se ne è parlato, perché la conversazione è andata a finire esattamente dove ci aspettavamo che finisse, ovvero in caciara e luoghi comuni. La cosa che più mi ha disturbato è stata la plateale noncuranza con la quale sono stati affrontati certi argomenti, dopo che per due si è parlato di cose interessanti e con, peraltro, pareri informati."

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Uno screenshot di Redout, sviluppato da 34BigThings.

"Senz'altro è necessario parlare dei problemi pratici e tecnici con cui l'industria si scontra, ovvero la mancanza di un tax credit e di un tax shelter; ma in primis è assolutamente fondamentale superare questi pregiudizi, questa mentalità un po' arretrata che caratterizza l'attuale percezione del medium nel pubblico dominio. Senza una coscienza di cosa effettivamente il videogioco è, di cosa può fare, di esempi virtuosi di indie gaming, non si andrà mai a parlare seriamente di tax credit e tax shelter," mi spiega Giuseppe.

Ciò che gli addetti ai lavori recriminano è l'inclusione di alcune personalità all'interno del roster del convegno—non tanto per le opinioni espresso, quanto più per i modi, come già detto fortemente allarmistici e di fatto non utili allo sviluppo di una discussione seria sull'argomento, "Il convegno non è andato male: sono convinto che determinate proposte e opinioni forti siano guidate dalla buona fede, sta a chi deve guidare la conversazione verso una proposta di legge il più possibile informata prestare orecchio con i giusti pesi. Non credo sia contestabile l'inclusione di determinate personalità, sarebbe stato contestabile il contrario: i videogiochi hanno i loro problemi, vanno solamente affrontate in modo maturo."

Resta quindi da chiedere, anche in questo caso, quale possa essere un punto di partenza valido per uno sviluppo sano dell'industria, "Il problema principale è il solito, e purtroppo trascende i videogiochi: fare impresa in Italia è una faccenda drammatica. Il fatto che manchi l'humus culturale è un po' un circolo vizioso: la mancanza di impresa implica che l'università non si interessi a portare avanti determinati corsi formativi, nello specifico corsi che formano le persone su come si sviluppa un videogioco, game design. Questo perché non ci sono poi posti di lavoro da riempire," mi spiega.

"L'industria italiana ora è composta per la maggior parte da sviluppatori indipendenti autofinanziati. Se io, all'università, devo far partire un nuovo corso devo farlo con in testa delle prospettive precise per gli studenti che sto andando a educare. Non posso dire loro di mettersi poi d'accordo con gli amici e di fare impresa con gli spicci in fondo al salvadanaio. Quello che possiamo fare per cercare di spezzarlo è da un lato supportare chi da autofinanziato sta cercando di superare queste difficoltà creando impresa, dall'altro fare divulgazione: noi come 34BigThings e come T-Union promuoviamo game jam ed eventi di ogni tipo perché oggi più che mai i videogiochi si possono fare anche nel tempo libero," conclude.

Quindi, per quanto sia lecito apprezzare il convegno tenutosi alla Camera, è evidente che l'industria soffra e soffrirà ancora di innumerevoli problemi. Purtroppo o per fortuna l'unico punto di partenza valido per superarli è educare al medium per spiegare a tutti che sviluppare videogiochi non è un passatempo, ma un lavoro—oltretutto per niente facile.

Nel frattempo i videogiochi indipendenti in Italia continuano a spaccare: lo hanno fatto quest'anno, lo facevano l'anno scorso e l'hanno fatto anche al Gameover festival.