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Musica

Perché il pop italiano fa schifo?

Mentre all'estero le grosse popstar collaborano con producer innovativi, qui gli autori sono sempre i soliti quattro vecchi.

Qualche tempo fa scrivevo un articolo su come il pop in Italia viva di copia-incolla presi da pezzi simil-EDM di provenienza estera: non è difficile ammettere che brani come “Roma-Bangkok” o il più recente “Vorrei ma non Posto” del duo J-Ax e Fedez debbano la loro fortuna da una derivazione più o meno diretta dalle formule già avviate da producer come Diplo o Skrillex. Nonostante sia un po’ degradante osservare che queste hit siano un prodotto così chiaramente derivativo, quantomeno (che piacciano o no) si deve riconoscere che chi le ha assemblate ha un occhio abbastanza sveglio sull’attualità e riesce ad acchiappare sonorità un po’ più fresche rispetto al resto del panorama pop italiano.

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Ecco: il resto del pop, quello un po’ meno sveglio diciamo, come se la passa? Sempre allo stesso modo, oserei dire, con qualche variazione, negli ultimi tempi. Da una parte l’industria dei talent ci fornisce ogni anno almeno tre o quattro nuove voci “vuote”, interpreti in attesa di scatole costruite per loro da altri in cui tentare di edificare la propria identità sonora—in un processo che richiede fin troppe variabili per risultare solido e che molte volte porta a uno o due successi radiofonici isolati, non certo a una carriera. Per il resto ci sono i soliti volti del pop italiano che rivaleggiano a colpi della solita paccottiglia melodica.

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Noisey Italia

Mentre scrivo, il secondo posto della classifica singoli iTunes è occupato da una cover, interpretata da Valerio Scanu, di “Io Vivrò Senza Te”. Scanu è presente anche un po’ più in fondo alla classifica con il brano presentato a Sanremo e poi c’è Alessandra Amoroso con un singolo tratto dall’album uscito il 15 gennaio, cinque mesi fa. Insomma, mentre il resto del mondo sembra procedere con il suo canonico dinamismo di rotazioni e rivoluzioni, l’Italia è statica.

L’espressione popolare della musica nella nostra Penisola, quando non ricalchiamo i successi dall’estero, è condannata a dover trascinarsi dietro il macigno della tradizione leggera para-sanremese il cui scettro al momento è in mano alla corte di Maria. Gran parte dei successi di Alessandra Amoroso è scritta dalla cantautrice quarantaduenne Federica Camba che, insieme al compagno Daniele Coro, è stata anche autrice di Laura Pausini, Umberto Tozzi, Nek e Gianni Morandi, oltre che di altri brani interpretati sempre da ex-Amici. Un altro degli autori responsabili della poca fantasia dei nostri interpreti pop è il misterioso Luxianos, che su Facebook ha 68 fan e un’immagine del profilo che inneggia al diritto d’autore—diritto a cui il nostro autore deve tenere parecchio, dato che è responsabile di alcune indimenticabili lagne di Scanu, ed è in buona compagnia: nel fortunato album del sosia di Anna Oxa ci sono anche pezzi scritti da Federico Paciotti, l’ex chitarrista dei Gazosa, insieme a Davide Rossi, il figlio di Vasco.

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E…..

Ora, il nepotismo in musica non è cosa nuova per il nostro Paese: molti dei grandi successi dei nostri interpreti pop sono parolati da Cheope, figlio d’arte di Mogol. Poi c’è uno che sembra parente ma non lo è: Fortunato Zampaglione, che scrive per Mengoni e per la Michielin quando quest’ultima non si fa produrre canzoni simil-Lorde da Michele Canova Iorfida (che continua a “comporre” e “arrangiare” anche per gente tipo Biagio Antonacci, Francesco Renga e Jovanotti). Un altro che scrive per Mengoni, Fragola e altri figli dei talent è Rory Di Benedetto, autore siciliano che in questo video spiega che “quando si crea una canzone spesso è frutto di come si vive la vita e il modo di vedere i valori della vita che sono l’amore, la gioia, la felicità e anche quelli un po’ più negativi”. Non vi sembra di sentire puzza di musica italiana?
La “vecchiaia” degli autori è una situazione critica anche in altri campi, quello televisivo e cinematografico innanzitutto, ma è nel nostro pop, in particolare, che si percepisce il distacco completo di queste persone dai flussi creativi che alimentano il mercato di massa in altri Paesi, o semplicemente la cecità nei confronti di quello che succede nel resto del mondo—un’inerzia creativa recidiva, che probabilmente fa comodo al gruppo di persone che da solo alimenta un mercato volontariamente pigro e chiuso su se stesso.

Biagio Antonacci è Drake.

Altrove succede che Rihanna, Kanye, Zayn, il vero Drake e altri giganti del pop arrivino a collaborare con producer sconosciuti (tipo Benny Blanco che ha sparato successi praticamente per tutte le popstar statunitensi) e che musicisti provenienti da scene indie o “weird” scrivano pezzi per giganti del pop, come è successo per SOPHIE con Madonna o per Caroline Polachek dei Chairlift con Beyoncé. Chiaramente si tratta di artisti pop particolarmente illuminati, che possono permettersi di attingere alle stranezze dell’underground perché hanno un apparato major talmente gonfio, alle spalle, che è come avere un’assicurazione kasko contro gli infortunii musicali. Lasciando da parte i casi più estremi, comunque, si possono elencare centinaia di esempi di collaborazioni tra autori, producer e popstar che trainano il mainstream in direzioni nuove: pensate a Dev Hynes che scrive hit per le Sugababes o per la sorella di Beyoncé, ai Disclosure che collaborano con Sam Smith e Lorde o ai featuring dell'ultimo disco di Flume (quello che fanno Disclosure e Flume, per dire, da noi è considerato ancora "alternativo"—in tutto il resto del mondo è semplicemente pop).

In quel caso, la situazione è una vittoria su tutti i fronti: da un lato si dà visibilità ad autori che se non entrassero nelle grazie dei giganti avrebbero sicuramente un’audience più ristretta e dall’altro si infonde nuova linfa e dinamismo nel pop. Questa pratica è in parte mutuata dal mondo dell’hip-hop che infatti anche in Italia, per quanto ancora siamo lontani dai livelli di sperimentalità raggiunti dal rap in altri angoli del mondo, riesce a rinnovarsi e a risultare il genere più allineato con l’attualità musicale. Non a caso, le “ispirazioni” meglio riuscite del nostro panorama sono quelle di chi comunque ha a che fare con il rap.
Copiare, diceva qualcuno, è da mediocri, mentre i geni rubano, non è così? Ecco, forse il pop italiano, per riprendersi un po’ da questo enorme piattume, per colmare in parte le distanze dal resto del mondo, dovrebbe rubare dall’hip-hop alcune metodologie creative e iniziare a reclutare producer, o perlomeno cercare di entrare in contatto con qualche forma creativa un po’ più evoluta rispetto ai soliti, piattissimi, autori di musica leggera.

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