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Tecnologia

Finalmente c'è uno studio scientifico sugli smartphone che ci 'ascoltano'

Un gruppo di ricercatori della Northeastern University ha deciso di capire il più scientificamente possibile se la paranoia delle pubblicità basate sulle nostre conversazioni registrate di nascosto abbia un qualche fondo di verità.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
Immagine: Pexels. Composizione: Giulia Trincardi

La leggenda più longeva e persistente del mondo digitale legata alla privacy è quella secondo cui i nostri smartphone ci ascolterebbero di nascosto, registrando le nostre conversazioni per inviarci degli annunci pubblicitari cuciti su misura. Ora, un gruppo di ricercatori della Northeastern University, ha deciso di testare scientificamente per la prima volta al mondo questo mito.

Sarà sicuramente capitato a tutti di sentire qualche conoscente lamentarsi di aver ricevuto una pubblicità per un paio di cuffie per la musica, o una specifica marca di bevande o vestiti, pur avendo la certezza di non aver mai cercato online quel determinato prodotto — ma di averne solamente discusso a voce. Questa paranoia si ciba quindi di racconti, episodi personali e tentativi empirici — che sottovalutano o ignorano dettagli tecnici piccoli ma fondamentali.

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Nessuna di quelle app ha registrato e inviato audio di nascosto.

Nel loro recente studio, che sarà presentato a fine luglio al Privacy Enhancing Technology Symposium a Barcellona, i ricercatori hanno analizzato 17.260 app per dispositivi Android, concentrandosi prima sul tipo di permessi che vengono richiesti all’utente — accesso alla videocamera e al microfono — e poi monitorando direttamente il traffico inviato da 9.100 di quelle app che presentavano il rischio di esfiltrare file audio e immagini.

Infine, il traffico dati di dieci smartphone android, su cui un software simulava l’interazione umana con le app, è stato raccolto e analizzato. Risultato: nessuna di quelle app ha registrato e inviato audio di nascosto.

Lo stesso vice presidente del dipartimento che si occupa della pubblicità per Facebook, Rob Goldman, aveva in passato affermato in un deciso tweet che “Facebook non usa — e non ha mai usato — in alcun modo il microfono per le pubblicità.”

La paranoia collettiva, però, è chiaramente difficile da sedare. Vi sono alcuni rari casi in cui dei dispositivi inviano effettivamente audio registrato di nascosto, come avvenuto lo scorso maggio con un Amazon Echo. La colpa, in quel caso, sembra essere di un bug del software di Alexa, l’assistente vocale di Amazon, che ha riconosciuto per sbaglio dei comandi in una normale conversazione, attivando così il microfono e inviando una registrazione dell’audio ad un contatto dei proprietari del dispositivo.

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A volte, inoltre, la paranoia è giustificata da alcuni dei brevetti che aziende come Facebook e Amazon hanno registrato. Come segnalano alcuni ricercatori su Twitter, nel caso di Amazon si tratta di un brevetto per l’estrazione di parole chiave dalle conversazioni per creare dei profili digitali — per intenderci, senza richiedere le parole di attivazione come “Ok, Google.”

Facebook, invece, ha un brevetto per l’identificazione dell’audio proveniente dai televisori, ovviamente raccolto attraverso i nostri smartphone.

In entrambi i casi, però, si tratta solamente di brevetti registrati ma che non vengono direttamente trasformati in tecnologie utilizzate. La verità, allo stesso tempo semplice e drammaticamente sconvolgente, è che il sistema messo in piedi da azienda come Facebook già permette di monitorare, identificare e sfruttare tutte le nostre attività digitali per scopi pubblicitari così com’è. Non c’è bisogno di attivare i nostri microfoni da remoto.

I ricercatori della Northeastern University indicano ad ogni modo anche alcuni limiti nel loro approccio: le registrazioni audio potrebbero essere trascritte e inviate come testo, sfuggendo così alla loro analisi; inoltre, gli smartphone non erano utilizzati da persone vere nell’ambiente urbano bensì tenuti in un ambiente controllato e attivati da un software automatizzato. Non abbiamo la certezza assoluta, insomma, ma sicuramente possiamo stare un po’ più tranquilli: sembra proprio che i nostri smartphone non ci ascoltino.

Stando allo stesso studio, però, pare che alcune app acquisiscano gli screenshot o addirittura registrino video dello schermo durante l’utilizzo da parte dell’utente, per inviarli a terze parti. In fondo, c’è sempre qualcosa di nuovo per cui essere imparanoiati.

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