"Nove Maggio" di Liberato deve essere il futuro del pop italiano

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"Nove Maggio" di Liberato deve essere il futuro del pop italiano

O almeno, così spero: è la prima volta che sento un pezzo R&B così internazionale uscire dal Bel Paese.

Quando ci troviamo di fronte a un pezzo pop italiano, ci si stagliano di fronte due principali scenari possibili. Il primo è quello per cui, periodicamente, qualche produttore e/o autore si è reso conto che all'estero qualcuno ha fatto una figata, l'ha importata in un pezzo di successo e poi tutti l'hanno copiata fino a toglierle qualsiasi linfa vitale. Questo processo è detto "copia-incolla EDM a casaccio" e ha mietuto la sua vittima più importante del drop di "Lean On" dei Major Lazer. Il secondo scenario, invece, si chiama "il rispetto della tradizione". L'Italia è un paese orgoglioso del proprio passato, cribbio, e se la musica leggera si è fatta in un certo modo per cinquant'anni non c'è proprio motivo di cambiare le cose. No? No. Ad aver subito questo pensiero in maniera molto pesante, a mio giudizio, è stato Tiziano Ferro, che se solo avesse continuato con l'R&B sudaticcio del suo primo album Rosso Relativo e a usare la parola "cazzo" sarebbe diventato il Justin Timberlake italiano. Invece, per entrare nel club privato dei Grandi Cantanti Italiani™, è dovuto finire a cantare cose normali, pulite, affettuose—ad esempio, di quanto abbracciare Carmen Consoli lo faccia sentire a suo agio nonostante fuori piova.  In due parole: chi produce musica potenzialmente popolare, in Italia, segue sempre la via più semplice e meno rischiosa per sfornare nuovi prodotti. O si fa in ritardo rispetto al resto del mondo qualcosa che altri hanno già fatto in versione casereccia, o si fanno i pezzoni concentrati su quanto è bella la voce di chi li canta, e per il resto è la fiera della genericità. Poi ci sono le eccezioni, ci mancherebbe—e qualche giorno fa me ne sono trovato di fronte una clamorosa. Si chiama "Nove Maggio" e la canta un ragazzo di Napoli che si chiama Liberato.

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Questo è tutto quello che sappiamo di Liberato. È di Napoli, e canta. Non ci sono in giro sue foto, non è nel video del suo pezzo, quando gli scrivi su Facebook—mi dicono—risponde in napoletano senza rispondere veramente. Ma è uscito su Rolling Stone all'esordio, quindi probabilmente si sa vendere molto bene—e meno male, se stiamo parlando del pezzo R&B più credibile mai uscito dal nostro paese. Ora argomento.  Innanzitutto: il modo in cui Liberato si è presenta è abilmente curato. Anonimato totale (come il The Weeknd degli inizi, se ricordate), video in super-HD e una saggia rilettura contemporanea dei luoghi comuni che accompagnano la sua città. La Napoli di Liberato, come testimonia il suo Tumblr, è perfettamente conscia delle regole che governano il concetto di aesthetic proprio delle culture di internet; sta esattamente al centro di un triangolo i cui vertici sono decadenza, futuro e ironia. Ci sono fotografie di Maradona e Nino D'Angelo accanto a incisioni francesi del Vesuvio, intervallati da meme sull'erba e la presa male, dipinti d'altri tempi e foto della Madonna. Praticamente una versione partenopea del mio feed di Facebook.

Tutto questo, chiaramente, cadrebbe se il pezzo non fosse davvero convincente—fortuna vuole che non sia questo il caso. La musica di "Nove Maggio" non è innovativa, certo, ma coglie i fiori migliori del prato dell'R&B internazionale e li pianta nel bosco di Capodimonte. È una base che fa perfettamente quello che deve fare: sorreggere la voce del suo interprete senza invadere i timpani nei momenti o nei modi sbagliati. E quando invece deve prendersi le luci dei riflettori (dal minuto 1:50 del pezzo in poi, nello specifico), non cerca di fare goffamente il botto: ripropone il semplice e ottimo tema con cui aveva cominciato, caricandolo quel poco che basta da non risultare invadente. Insomma, quello che fanno i produttori stellari di scuola canadese, vedi i Majid Jordan (nel loro curriculum: "Hold On We're Going Home" di Drake).

C'è poi la scelta di cantare in napoletano—tra l'altro nell'esatto momento in cui il rapper partenopeo di maggior successo, Clementino, ha scelto di presentare a Sanremo un pezzo pesantemente "italiano" nel suo essere comprensibile, introspettivo, forzatamente emotivo. "Nove Maggio" racconta, mi sembra, una storia d'amore finita più o meno male. "Mi sembra". Credo che l'enorme forza del dialetto in musica stia in questa zona liminare tra comprensione e immaginazione in cui cala chi lo ascolta e non è nato a sud di Gaeta. È quello stesso brivido che può provare un anglofono quando si mette a decifrare i flow dadaisti di Young Thug.

"Nove Maggio" è un pezzo invitante. Attrae grazie al mistero che si sa creare attorno: a livello semantico e tematico tramite l'uso della lingua, a livello autoriale nella scelta di celarsi nell'anonimato di un'estetica curata e non di una semplice maschera. Parla di sentimenti, proprio come fa il pop italiano, ma non aderisce al suo vocabolario. Prende invece quello del Drake più emotivo, quello di So Far Gone e Take Care, e lo traduce in napoletano coprendo il suo orgoglio latente con un velo di gelosia. Insomma, si passa dal "Pussy's only pussy and I get it when I need it" di "November 18th" a una frasi come "Ho un cuore che non sa avere pazienza". Liberato può piacere, potenzialmente, a chiunque. Non è così insulare da sembrare solo un neomelodico particolarmente curato, ed è abbastanza ben prodotto e confezionato da poter risultare immediatamente interessante. "Nove maggio" potrebbe venire tranquillamente passata da Albertino su Radio Deejay, ma se fosse cantata in inglese potrebbe benissimo finire nella playlist di Zane Lowe su Beats 1. È un esempio di come a volte anche noi italiani possiamo riuscire a salire sul treno della contemporaneità arrivando in orario in stazione e sedendoci al nostro posto prenotato, invece di arrivare bestemmiando perché c'era traffico e non abbiamo ancora fatto il biglietto e le macchinette sono rotte e il capostazione non ne sa niente e qualcuno sta cercando di venderci una scatola di un iPhone con dentro un mattone.  Elia vuole sentire le tue opinioni, scrivigliele su Twitter: @elia_alovisi
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