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Musica

I rapper italiani dovrebbero ricominciare a occuparsi di politica?

Dopo anni di rap italiano impegnato i figli dell'era Berlusconi hanno preso il microfono in mano, ma sembrano volerlo usare per parlare solo di sé.
SR
illustrazioni di Simone Rastelli
politica rap

In occasione dell'uscita di "Vossi Bop" di Stormzy remixata da Ghali, riproponiamo questo articolo dell'anno scorso.

Se seguite le vicende del rap italiano, saprete sicuramente che qualche giorno fa Gemitaiz ha detto delle cose su Salvini, e che a criticarlo fortemente non sono stati solo i leghisti ma anche molti semplici ascoltatori. La cosa è sorprendente, dato che alcuni valori dovrebbero essere condivisi all'interno della scena, e sembra strano che un ascoltatore della musica più nera che c’è possa portare avanti certe posizioni (“Ascolti il rap e hai l’avatar con Adolf Hitler” cantava Jake La Furia una decina di anni fa). Altrettanto sorprendente è però anche come molti abbiano trovato fuori luogo che un rapper si sia schierato, esprimendo pubblicamente delle posizioni politiche forti. In Italia il rap nasce peraltro in contesti molto vicini a quelli dei centri sociali e della sinistra. Il disimpegno è qualcosa di relativamente nuovo ed è normale che chi è molto giovane non sia abituato a certe dinamiche.

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In tutto questo gli artisti più giovani sembrano abbastanza disinteressati all'argomento, e si è quindi creato un dibattito sulla questione: questi ragazzi dovrebbero parlare di politica, e non facendolo stanno perdendo un'opportunità?

Per quanto le mie idee siano chiarissime e a distanze siderali da quelle di Salvini, da un lato mi farebbe piacere se chi può essere ascoltato da molti ragazzi provasse a fare passare dei messaggi positivi, o anche solo di civiltà. Da un altro, però, ho sempre visto un po’ con fastidio la politicizzazione a tutti i costi di determinati artisti. Artisti che magari facevano scelte assolutamente mainstream, musica assolutamente mainstream, ma che ci tenevano a lanciare messaggi per occupare una posizione. Inoltre ho sempre considerato molto sbilanciato il rapporto per cui delle persone su un palco, considerate costituzionalmente cool per via del loro status, dessero a bere a folle in larga parte inconsapevoli le loro idee su questo o quel tema.

Soprattutto credo che gli artisti debbano fare quello che si sentono e che non ci sia niente di peggio di un impegno forzato, di facciata. Preferisco chi decide di cantare soltanto di quello che gli va, siano pure le cose più leggere del mondo, che non di doverci dire a tutti i costi che i politici rubano soltanto perché questo ti fa guadagnare uno status da artista impegnato. Anche se in fondo non ci si crede più di tanto, preoccupati di quello che più interessa quasi tutti gli artisti pop: la fama, il pubblico, i soldi.

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Se un tempo il rap sembrava indissolubile dall'impegno politico, oggi c’è quasi un’ostentazione del disimpegno. Ma siamo sicuri che i risultati artistici sarebbero migliori se le star decidessero di parlare di qualcosa di diverso? Per quanto mi riguarda per esempio preferisco di gran lunga il Ghali che parlava solo di farsi le canne e di essere figo (ma che lo faceva con uno stile incredibile, e comunque un paio di riferimenti ai nazi riusciva a buttarceli dentro lo stesso) che non quello che canta “io tvb cara Italia”.

Forse lo dico perché ho superato i trenta, e se fossi un ragazzino magari ne avrei più bisogno, ma credo che una persona possa farsi le sue idee a prescindere dalla musica che si mette in macchina per divertirsi o che va a ballare, e cercare dei riferimenti importanti altrove. Sul suo nuovo album, Kanye West dice cose abbastanza orrende. Ma credo che gli artisti vadano presi come dei personaggi di un libro o di un film, e non come dei maestri da TED Talk che ci devono insegnare a vivere, o dire a cosa pensare. E quindi cerco di apprezzare o meno questi personaggi, di vedere come i loro creatori li sviluppano, di come portano avanti discorsi, senza necessariamente legarmi troppo a quello che dicono. Entro certi limiti, ovviamente: un cantante che in un pezzo lodasse l'idea del censimento dei rom potrebbe andarsene affanculo per direttissima.

Fare Musica Politicamente

Uscendo dal contesto del pop, va detto che fare musica politicamente non significa necessariamente esprimere posizioni politiche attraverso i testi ma agire sull’immaginario, lavorare sulle contaminazioni, esprimere il fuoco delle tensioni sociali o le problematiche del contemporaneo, anche senza una parola.

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Un altro discorso sono le posizioni prese in pubblico su temi che riguardano la società, che non necessariamente devono rientrare anche nelle espressioni artistiche, anche se comprendo ogni tipo di scelta, se fatta con genuinità. Gli Assalti Frontali hanno fatto cose ottime nella loro carriera, i Colle Der Fomento restano uno dei gruppi più forti di sempre nella storia del rap italiano. Ed è questo ciò che ha fatto Gemitaiz. Non è poi così sorprendente che un rapper con la sua formazione e che appartiene a quell’ambiente prenda certe posizioni, anche se forse in un momento di potenziale crescita del suo pubblico non gli sarebbe convenuto farlo. Un punto in più per lui.

Quello che più mi ha stupito però è stata la presa di posizione di Francesca Michielin, che viene da un altro ambiente e per la quale schierarsi può sicuramente essere più problematico per mille motivi, a partire dalla della giovane età, passando per il fatto che alle personalità del pop si concedono molti meno spazi di libertà che a quelli del rap. Ciononostante ha deciso di scrivere una cosa molto seria e sensata sul tema delle migrazioni, fregandosene del rischio di perdere fan e di ricevere un sacco di critiche. E per questo non si può che lodarla.

Sarebbe forse troppo facile chiudere dicendo che ha più coraggio lei di quelli che nei testi parlano solo di quanto sono fighi e poi uno status del genere non lo farebbero nemmeno per un milione di euro, ma la verità è che uno dei motivi per cui quello status è degno di lode è che aveva tutta l’impressione di essere qualcosa di sincero.

Recentemente la pornostar e attivista Stoya faceva notare come in America esista una dicotomia per cui da un lato le persone che lavorano nel porno siano viste come il male, ma dall’altro ci si aspetta che abbiano un ruolo educativo nei confronti dei giovani che le seguono. A me farebbe anche piacere se domani mattina tutti i giovani più seguiti in Italia si svegliassero e decidessero di esprimere delle posizioni che possano far mettere in discussione al loro pubblico le idee di un governo spaventoso.

Ma viene da chiedersi come sarebbe possibile che questi ragazzi della nuova scuola del rap, nati in piena epoca berlusconiana e cresciuti in mezzo a un’ideologia che celebra soltanto il successo individuale, in un contesto nel quale (per citare per l’ennesima volta Mark Fisher che cita a sua volta Fredric Jameson) è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo, possano sobbarcarsi la responsabilità di dover essere le avanguardie di una rivoluzione invece che rappresentare semplicemente lo spirito del tempo.

Federico è su Instagram. Anche Simone, che ha fatto l'illustrazione, è su Instagram.

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