La musica pop può aiutarti ad accettare i trent'anni

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Musica

La musica pop può aiutarti ad accettare i trent'anni

Selena, Justin, Ariana e Miley non fanno musica "per ragazzini".

Non ascoltavo mai pop quando ero ragazzina. In quarta elementare un insegnante mi ha chiesto quale fosse il mio gruppo preferito e ho risposto Smashing Pumpkins. Non so se sono stata sincera quella volta a nove anni, ma il mio interesse per la musica è sempre stato un punto d'onore per me. Quello snobismo mi ha accompagnata fino alle superiori, dove pensavo che il mio buongusto facesse di me una creatura superiore. "Ti piacciono gli Strokes?" chiedevo a povere ragazze ignare alle feste, "Io preferisco i New York Dolls, meglio l'originale della copia". Possiamo dirlo: ero una stronza.

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Quei sentimenti non mi hanno abbandonata fino a pochi anni fa, quando qualcosa ha cominciato a cambiare. Forse tutto è iniziato con la comparsa sulle scene di Lorde, e con il modo in cui Pure Heroine riusciva a cucire insieme l'angoscia esistenziale dell'adolescenza con un senso di discutibile "maturità". Quel piacere era facile da giustificare. Ugualmente accettabile era E-MO-TION, il classico istantaneo per ragazze pensanti di Carly Rae Jepsen uscito nel 2015. Certo, si trattava di una donna giunta a noi tramite il viscido canale dei reality con in dono "Call Me Maybe", ma l'album era diverso—vero? Il periodo Taylor Swift però è stato più difficile: 1989 è stato un carrarmato pop-culturale che chiunque poteva apprezzare, ma la mia devozione per Red e Speak Now era la prova che qualcosa di strano era successo.

Il fascino della musica pop non ha bisogno di essere spiegato, e questo non è un articolo su come ho imparato a non fare la stronza e ammettere che mi piace.

Giunti alla fine dell'anno scorso, il pop era il mio solo interesse. Gwen, Flume, Adele, Selena, One Direction, Justin, Ariana e Miley; non ascoltavo altro. Non li mescolavo con dosi di Angel Olson o Sunflower Bean, li assumevo puri. Ho smesso di andare ai concerti. Preferisco stare in casa e risparmiare i soldi per un grande tour, e intanto stare a letto ad ascoltare la mia playlist Perfect Pop, tra la delizia e l'angoscia, pensando: è questo che provavano tutti gli altri a tredici anni?

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Il fascino della musica pop non ha bisogno di essere spiegato, e questo non è un articolo su come ho imparato a non fare la stronza e ammettere che mi piace. Non ascoltavo quegli artisti perché la musica mi prendeva, li ascoltavo perché comunicavano con una parte di me con cui avevo problemi a comunicare io stessa. Ora ho 29 anni, a fine anno ne compirò 30, e mentre la luna si avvicina allo scorpione la mia playlist pop continua ad ampliarsi.

Parlando con Noisey nel 2015, il dottor Jamie Goodwin-Uhler—che aveva pubblicato vari studi sulla psicologia del fan—ha ipotizzato che il gancio con cui il pop cattura gli adulti sia perché dà loro la possibilità di "ricreare quell'abbandono adolescenziale che noi (come adulti) pensiamo di aver perso per sempre". Sostiene inoltre che la nostra attrazione verso il pop ci permetta di ri-provare quella "energia vitale giovanile" che abbiamo perduto nella vita di tutti i giorni. Questa linea di pensiero identifica la mia ossessione come escapismo: una manifestazione della sindrome di Peter Pan che ha dato vita a negozi che vendono penne profumate ai figli degli anni Ottanta. Ma dà anche per scontato che io sia alla ricerca di un sentimento perduto. Mentre in realtà, queste canzoni mi permettono di esplorare emozioni che non ho mai sentito più vicine.

Gran parte della musica pop si svolge in luoghi sconosciuti: non sai chi amare né come, che cosa la gente si aspetti da te o dove andare. Per pre-adolescenti e adolescenti, queste domande sono il centro della vita. Ma sono anche ossessioni che tornano a tormentarti appena prima di compiere i trent'anni. Se gli album di Justin Bieber non toccano esplicitamente problemi come e se mi fossi costruita una gabbia dorata piena di mobili finto-vintage con un contratto telefonico che non sono in grado di cancellare?, sono comunque in grado di far passare le sfaccettature sentimentali di una vita che non corrisponde esattamente a quella che immaginavi. Quando Biebs ha cantato "Siamo sotto pressione / Sette miliardi di persone nel mondo che cercano il proprio posto / Tieni duro / Un sorriso sulle labbra mentre il cuore piange" in Believe era il 2012, lui aveva 18 anni e parlava direttamente della sensazione di ritrovarsi cresciuto, sopraffatto e deluso a chiedersi se non è troppo tardi per dare una svolta alla propria vita.

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Carly Rae Jepsen, una donna che ha superato i trent'anni e scrive canzoni che ti sarebbero state utili alle superiori, affronta simili domande sull'identità e sulla crescita in cui ci si riconosce sempre di più man mano che s'invecchia. In "Your Type", una canzone che parla di accorgersi che il ragazzo che ti piace non la penserà mai allo stesso modo, si avviluppa in una storia che parla di guardare in faccia la vera se stessa.

Le canzoni d'amore di solito fanno intendere che sei speciale e che qualcosa di meraviglioso ti attende, ma qui lei ammette: "Non sono il tipo di ragazza per te? / E non farò finta / Di essere il tipo di ragazza che puoi chiamare più di un'amica". In un solo verso si lascia alle spalle una fantasia bambinesca in favore di una brutale riflessione su se stessa. È scritta dalla prospettiva di una giovane donna che si decide ad abbandonare una cotta testarda, ma rispecchia un bisogno adulto di abbandonare preoccupazioni romantiche irrealistiche e irrealizzate.


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Anche i One Direction, che sono riusciti a ritrarre la psiche del teenager meglio di qualunque film di Sofia Coppola, hanno qualcosa da offrire a una crisi del quarto di secolo. "You and I", tratto da Midnight Memories del 2013, è inserita nella categoria "Teen Pop" su Google Music. Parla di tentare di proteggere una relazione mentre due persone entrano in un nuovo stadio della vita e si promettono che non commetteranno gli stessi errori degli altri attorno a loro. Liam si chiede: "Loro si sono mai stretti / Come noi? Hanno mai litigato come noi?" Prima che Harry, chi altro, prometta: "Tu e io / Non vogliamo essere come loro / Possiamo farcela fino alla fine / Niente può mettersi tra te e me".

Io non so di che cosa parli davvero questa canzone, ma non so come qualunque essere umano possa ascoltarla senza pensare a ogni volta che hanno considerato la relazione tra i propri genitori, incrinata dal tempo, e pensato io non sarò mai così. È una preoccupazione che ti perseguita più che mai quando sei un teenager e vivi con loro, ma anche quando hai la sensazione di stare diventando come loro, crescendo. Ma più di ogni altra cosa ti conforta, e ribadisce il motivo per cui così tanti di noi si avvicinano al pop invecchiando.

Il pop, dopo tutto, è quasi sempre ottimista. Promette che andrà tutto bene, ma richiede all'ascoltatore anche uno straordinario livello di apertura emotiva per essere in grado di sostenere queste parole così pesanti e zuccherose senza sbuffare e roteare gli occhi. È facile quando si è ragazzini, quando cerchi la rassicurazione che il mondo adulto varrà la pena di questa confusione che provi. Ma è anche incredibilmente rassicurante quando ti trovi nel mezzo di tutta quell'angoscia, anni dopo, e vorresti soltanto che qualcuno ti ricordasse che tutti, proprio tutti, si sentono così ogni tanto. Quando sei più giovane, cerchi qualcosa che ti dia un'identità, qualcosa da odiare o da criticare per dimostrare il potere dei tuoi gusti. Ma quando invecchi cerchi una connessione, un significato: due cose che il pop è sempre in grado di offrirti.

Peccato che nessuno me l'abbia mai fatto capire quando ero alle superiori, forse sarei stata meglio se avessi chiesto alle altre ragazzine che cosa stavano ascoltando.

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