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Musica

Ennio Morricone: il cacio sugli Spaghetti-Western

Da Sergio Leone a Quentin Tarantino: le musiche di Morricone hanno accompagnato più di cinquant'anni di film. È la volta buona per un Oscar?

Non credo di avere mai visto veramente un film western, almeno non dall'inizio alla fine. Di quell'universo ho un ricordo indiretto: mio nonno che si addormenta sulla poltrona, la televisione che rimane accesa tutto il pomeriggio e io che faccio altro mentre va in onda qualche vecchio film. Il che significa che, per gran parte della mia infanzia, io quei film li ho ascoltati. E ascoltarli significava ascoltare Morricone. Quei paesaggi sonori mi sono rimasti talmente familiari che uno dei primi dischi (per la precisione un cofanetto) che ricordo di aver comprato a dieci anni, in un mercato rionale, era una raccolta delle sue colonne sonore. Quando tornai a casa per ascoltarlo, comunque, rimasi molto deluso perché non c'era nemmeno un cantato, oltretutto non erano nemmeno le canzoni dei western che conoscevo! La considerai una fregatura e il cofanetto rimase a prendere polvere per un sacco di tempo.

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Passano gli anni, e gli Spaghetti caduti in rovina dopo gli anni Settanta tornano di moda, anzi, diventano cult: in questo lasso di tempo Morricone compone altre settecento miliardi di colonne sonore, vince un Oscar alla carriera e—a quasi dieci anni di distanza—concorre per vincere quello per la migliore colonna sonora con The Hateful Eight di Tarantino. Dal canto mio, credo di essermi ripreso dalla delusione provata da ragazzino, quindi ho pensato fosse un buon momento per ripercorrere le principali tappe del binomio indissolubile Morricone/Western.

Morricone, Evangelisti e Macchi (The Group). Per approfondire: la guida di Noisey allo Spaghetti-Sound.

Ci sono molte differenze tra il concetto di Western classico e lo Spaghetti-Western. Il primo nasce ovviamente negli Stati Uniti già ai primi del Novecento, raggiunge l'apoteosi negli anni Trenta con l'Oscar vinto da I pionieri del West nel 1931 (da lì in poi nessun western vincerà la statuetta fino al 1990 con Balla coi Lupi). Grazie a registi come John Ford e Howard Hawks e attori che diventeranno ben presto l'immagine iconica del cowboy—John Wayne, Gary Cooper, Henry Fonda—il western diventa il film americano per antonomasia almeno fino al secondo dopoguerra, anche per via della vena patriottica da cui sono caratterizzati. Le vicende si svolgono tra la Guerra di Secessione e la fine del XIX secolo, le tematiche piuttosto ripetitive e banali: ruotano tutte attorno all'idea di frontiera, alla contrapposizione tra legge e morale. I protagonisti sono eroi irreali che incarnano la loro ambigua e personale concezione di libertà. La musica, di riflesso, non si distacca granché dalla tradizione statunitense: folk e ballate country.

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È il 1964 quando uno scettico Sergio Leone accetta di affidare la colonna sonora del suo secondo film a un vecchio compagno della scuola elementare, sotto suggerimento della Jolly Film che l'anno precedente aveva prodotto Duello nel Texas e stava lavorando a Le Pistole non Discutono, due film considerati oggi il preludio all'epopea del western all'italiana, musicati entrambi da un certo Dan Savio, pseudonimo italoamericano dietro al quale si nascondeva Ennio Morricone per risultare più accattivante al pubblico statunitense. La musica che Leone chiede per accompagnare Per un Pugno di Dollari è un misto di canti funebri messicani (i deguello) e rielaborazioni prese dal repertorio di cantautori americani. Pare che Morricone non fosse particolarmente in sintonia con questa idea, fatto sta che il tributo doveroso alla tradizione musicale d'oltreoceano viene espresso con una cover in versione strumentale di "Pasteurs of Plenty" composta nel 1941 da Woody Guthrie.

In realtà il primo capitolo della Trilogia del Dollaro non arriverà nelle sale statunitensi per un bel po'. La sceneggiatura di Leone è liberamente ispirata a La Sfida del Samurai di Akira Kurosawa e, non immaginando l'enorme successo che avrebbe avuto il film, non erano stati pagati i diritti al regista giapponese, dando inizio a beghe legali che bloccheranno la proiezione negli USA per tre anni.

Ad ogni modo il successo è solo rimandato: senza alcuna aspettativa, con un budget minimo e le scenografie scroccate a Le pistole Non Discutono di Caianofilm sul quale la casa di produzione puntava maggiormente—Leone ha dato il via a un nuovo genere cinematografico e Morricone alle sonorità che lo accompagneranno, boicottando i suggerimenti del regista e apportando numerose novità di stile e composizione: per la prima viene utilizzata la chitarra elettrica solista, il marranzano e l'ocarina diventano due marchi di fabbrica, così come i fischi di Alessandro Alessandroni.
Nascono così gli Spaghetti-Western, termine che viene coniato per indicare l'origine italiana delle produzioni cinematografiche e il maggiore spargimento di sangue rispetto alle pellicole americane. Morricone—assieme a musicisti storici come Marcello Giombini, Franco Micalizzi, Riz Ortolani e Luis Bacalov—contribuiranno a rendere uniche e perfettamente riconoscibili le scene delle decine e decine di film spaghetti western che nei dieci anni successivi si moltiplicheranno a dismisura, anche a discapito della qualità della trama, girati alla bell'e meglio, con budget di un pugno di lire e i nomi dei protagonisti copiati dai film più famosi per ingannare il pubblico.

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Uno dei film più imitati è Una Pistola per Ringo del 1965, il primo dei quattro western "ciociaro-andalusi" di Duccio Tessari, che conterà almeno una dozzina di appropriazioni indebite del protagonista "Ringo" nelle pellicole di quegli anni. Morricone qui predilige temi prevalentemente allegri e grotteschi ed avvia la carriera di Maurizio Graf che canta nel pezzo dei main titles "Angels face". Stessa sorte avrà Edda Dell'Orso che canterà ne "Il vizio di uccidere" per la colonna sonora di Per Qualche Dollaro in Più dopo aver incontrato Morricone negli studi della RCA e che metterà la voce sia da solista che come corista nell'ottetto formato da Alessandro Alessandroni, "I cantori moderni", in molte altre colonne sonore composte da Morricone.

Nel 1966 Sergio Corbucci dirige uno dei film precursori di quello che sarà nominato "Western revisionista" ovvero i western in cui i protagonisti stanno dalla parte dei nativi americani, è considerato uno dei film più importanti della saga Spaghetti-western anche se l'attore protagonista Burt Reynolds ha dichiarato di odiare quel film, giudicandolo il peggiore della sua carriera. La colonna sonora come il film, è particolarmente feroce ed esalta le scene più cruente, il tema principale è celebre per gli strilli selvaggi e compare anche in Kill Bill, alla chitarra elettrica si affiancano tamburi profondi, fruste e campane.
L'importanza della musica di Morricone nella formazione dell'identità dei western all'italiana è talmente marcata che alcuni film prendono il nome dai titoli delle canzoni di altre colonne sonore, come La resa di conti di Sollima, che chiama lo stesso Morricone a comporre la musica e da cui esce un pezzo bellissimo cantato da Maria Cristina Brancucci "Run Man Run".

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Il capolavoro arriva con Il Buono, il Brutto, il Cattivo, probabilmente anche grazie alle maggiori disponibilità economiche di cui dispose il film. Tant'è che per la prima volta Morricone poté comporre la musica prima delle riprese—musica che fu utilizzata sul set da Leone per agevolare gli attori a cogliere l'empatia che cercava in alcune scene. Morricone gioca con contrappunti e armonie, rendendo i pezzi improvvisamente tragici e barocchi anche grazie all'utilizzo del yodel e delle trombe. I tre protagonisti del film vengono annunciati tutti con lo stesso tema, cambia solo lo strumento: il Biondo con il flauto, Sentenza con l'arghilofono e la voce per Tuco. La colonna sonora di questo film rimarrà in classifica per tutto il 1968 ed è probabilmente quella più emblematica di tutto il filone Spaghetti assieme a quella di Lo Chiamavano Trinità composta da Franco Micalizzi (e fischiata sempre da Alessandro Alessandroni).

Morricone tocca tutte le possibili variazioni musicali con i successivi film, in Da Uomo a Uomo tornano le chitarre classiche e le frasi di chitarra elettrica riverberata di "Mystic and Severe", tensione inquietante per A Faccia a Faccia e i mariachi di Tepepa—film influenzato dai temi sessantottini al grido di "Viva la revolucion", con Thomas Millian e Orson Welles—e musiche drammatiche de Il Grande Silenzio, con tracce alla marcia e archi balzati su cui recitano altri due pezzi da novanta come Klaus Kinski e Jean-Louis Trintignant.

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L'altro grande capolavoro è la colonna sonora di C'Era Una Volta il West che apre la trilogia del tempo e si aggiunge alla sfilza di collaborazioni con Sergio Leone che porta anche 10 milioni di copie vendute per l'original soundtrack. Archi adagio, la voce di Edda Dell'orso, l'arpeggio claustrofobico e diatonico in "Il Grande Massacro" su cui picchia la chitarra elettrica prima dell'arrivo dei tamburi e degli archi, e poi l'armonica appunto ne "L'Uomo dell'Armonica" che riapre il tema centrale e ricorrente. Più di un'ora di capolavori, per i quali pare che Clint Eastwood andasse pazzo.

Gli anni Settanta, come già detto, vedranno un lento declino degli Spaghetti-Western, anche se Morricone farà in tempo a incassare un altro paio di colonne sonore degne di nota, come Giù la Testa con i celebri "sciòn sciòn" nel tema principale e l'esperimento crepuscolare di Il mio Nome è Nessuno in cui compare per la prima volta anche qualche sintetizzatore.

Incredibilmente resistente al tempo come la sua musica, Morricone, in un mondo e un'epoca completamente diverse dal periodo d'oro del Western, ora rischia di ottenere la meritata consacrazione passando per il suo cultore-debitore più accanito: Quentin Tarantino. Possiamo soltanto immaginare cos'abbia provato Ennio quando si è trovato a lavorare su una sorta di tributo a se stesso, con mezzi e possibilità economiche diametralmente opposti alle varie limitazioni cui le sue opere western dei Settanta erano confinate.

Noi tutti ci auguriamo che, finalmente, quest'Oscar arrivi, perché stavolta non sarebbe un vago premio alla carriera, ma un riconoscimento del valore artistico del lavoro di Morricone all'interno di un genere specifico, che prima di lui era piatto e banale, e grazie a lui è diventato culto. Se oltretutto un Oscar al Maestro può essere l'occasione buona per far chiudere il cerchio anche a Tarantino e farlo smettere di fare western derivativi e inutili lunghi tre ore, allora ci speriamo ancora più forte.

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