Musica

Servant Songs ha scritto un album per liberarsi dell'ansia

'Life Without War', primo album del cantautore italiano, contiene otto canzoni malinconiche ma piene di speranza.
Giacomo Stefanini
Milan, IT
servant songs

La prima canzone di Life Without War è intitolata "Sink Or Swim", che sembra essere più o meno il sentimento che anima tutto questo progetto: Servant Songs non vuole scrivere canzoni così dolorosamente intime e sincere, farebbe volentieri a meno di raccontarci la sua battaglia con insicurezza, pensieri intrusivi, bugie, ansie, eccetera eccetera. Ma ormai si è tuffato, o nuota o affoga.

Servant Songs viene fuori dalla testa di Nicola Ferloni, che è un genietto troppo poco conosciuto dell'underground italiano. Io seguo le sue gesta da anni, l'ho conosciuto poco dopo che aveva abbandonato l'emo/post-rock/math dei Go Down Moses per formare i Vulturum, uno strano ibrido di post-hardcore, stoner rock e Neil Young. Finita quell'esperienza sono arrivati i Pueblo People, che dopo l'ottimo EP Sentiero di Guerra, ancora legato a certe sonorità desert rock ereditate dai Vulturum, sono arrivati nel 2015 all'album con Giving Up On People, in cui il songwriting di Nicola cominciava a farsi molto personale, ma sorretto da un impianto che rockeggiava duro (e ti credo, alla batteria c'era Claudia del carrarmato post-hardcore Agatha).

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La copertina di Life Without War. Cliccaci sopra per ascoltarlo su Bandcamp.

Ora che si è tolto i braccioli di una band, per tornare alla metafora natatoria, Nicola si presenta al pubblico seminudo, coperto solo dallo pseudonimo Servant Songs. A livello di stile, il disco è infestato di fantasmi: Elliott Smith, Jason Molina, ma anche (importante) Townes Van Zandt—ma non si può accusare di revivalismo o retromania, né di citazionismo. Per il primo punto, un po' di merito va al produttore Marco Giudici (Any Other, Halfalib), che fa suonare tutto fuori dal tempo, e un po' va agli arrangiamenti, che sono vivaci, vari e, pur rispettandone lo scheletro chitarra-voce, arricchiscono le canzoni ora di percussioni jazzate e contrabbasso, ora di drum machine e synth vintage, arredando le otto stanze dell'album in colori e stili sempre diversi, ma intonati. Gli ospiti a contribuire sono vari e di qualità: c'è Adele H ai cori, Maurizio Abate alla lap steel e all'armonica, Giacomo Ferrari degli Asino alle percussioni, lo stesso Giudici al pianoforte e ai synth, Matteo Bennici al violoncello e Fabrizio Fusi dei Labradors al contrabbasso.

Ora c'è da affrontare l'elefante nella stanza: Life Without War è un disco triste? Tristone? Uno di quei polpettoni sentimentali con le corde pizzicate e il cuore sanguinante? Mettiamola così: non è The Party Album dei Vengaboys. Però, per essere un disco chiaramente influenzato dalla musica di suicidi e tossicodipendenti, ha ben più di una fessura da cui filtra una luce calda e rassicurante. Lavorando al disco negli ultimi due anni (perché tanto ci ha messo), Nicola lo voleva intitolare Life AT War: la guerra di chi passa la vita a combattere negatività e insicurezze. Ma poi si è reso conto che, se il nemico è interno, non c'è niente da combattere. C'è invece da lasciarsi alle spalle la guerra e vivere la vita. Da qui, il titolo è cambiato in Life Without War, e sono sicuro che anche le canzoni, pur mantenendo una caratteristica malinconia fatta di accordi sospesi e voce tremante, abbiano preso un colorito diverso da quando Nicola ha aperto le finestre.

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C'è una padronanza della scrittura e della composizione che si nota lontana chilometri. Quando dev'esserci il ritornello, c'è il ritornello e funziona senza forzature. L'atmosfera è calibrata. C'è una voce che canta in inglese con una credibilità impressionante per gli standard italiani, ed è una voce che in un certo senso si sta ancora formando, in bilico tra fragilità e ambizioni canore più alte, ma canta canzoni… belle, ecco. Non è una cosa scontata.

È così che "All The Great Ideas" e "Drivers Ed" ti entrano in testa e spingono il tuo sguardo verso l'orizzonte, e naturalmente, molto naturalmente, senza strappi e senza sforzi, ti migliorano la giornata. Magari, se le ascolti bene, ti potrebbero migliorare anche il mese, l'anno o la vita, perché ogni tanto abbiamo tutti bisogno di sentire il racconto di una mente che si apre, che guarda al futuro, che usa le proprie energie per liberarsi dalle balle e dalle stronzate di questa vita che, oh, è sempre una merda, una vitaccia infame, ma perlomeno non più per colpa sua. E alla fine, "Out On A Limb", si fa pure una risata.

Giacomo è su Instagram.

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