I nuovi suicidi di Mostro
Fotografia di Ludovico Watson.

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Musica

I nuovi suicidi di Mostro

Mostro è cambiato: per la prima volta nella sua carriera suona davvero affamato, arrabbiato e innamorato. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare perché.

Mostro sarà il protagonista del prossimo episodio di The People Versus, fuori presto su YouTube e su VICE Video. Il Mostro di oggi è irriconoscibile da quello che, quattro anni fa, caricò su YouTube il video di "24 Carati". Allora, Mostro esagerava come solo un ragazzino sa esagerare: parlava della sua ex come di una "stronza", minacciava di spararsi in testa perché tanto nessuno se ne sarebbe accorto, scriveva "odio tutti" sul banco di scuola. Però aveva trovato una nuova ragazza, e quindi si sentiva pieno di forza. Una forza che gli faceva scrivere dichiarazioni altisonanti come solo quelle di un adolescente sanno essere: "Anche un fiammifero batte le tenebre". "L'amore è scritto nella filigrana della vita". "Il fuoco che hai dentro brucerà nel tempo". Frasi scritte sinceramente ma al contempo adatte anche come didascalie da selfie, frasi così candide da essere perfette per far prendere bene coscienze diciottenni. Oggi, Mostro minaccia ancora di spararsi in testa—ma sul palco, dopo aver cantato un pezzo pieno d'odio a un immaginario festival di Sanremo, ricevendo gli applausi di un pubblico felice di vedere qualcosa di diverso. Oppure da solo, un sabato sera, dopo aver tentato per ore e ore di parlare con qualcuno che non ha intenzione di rispondergli. Le sue canzoni contengono tutte le componenti standard del discorso rap: Mostro parla delle difficoltà che ha passato senza specificarle troppo, afferma la propria integrità e costanza, sforna punchline motivazionali-barra-divertenti. La grande differenza è che, per la prima volta nella sua carriera, lo fa in maniera decisamente convincente. "In ogni strofa dirò sempre la cosa più cattiva", afferma in "Poison", e nel giro di due versi ha parlato di una farfalla che gli si posa sulle dita e di necrofilia. Nel rap di Mostro il suo cazzo ha la stessa dignità narrativa di una poesia, un wrestler che ha ucciso la famiglia è degno di essere raccontato tanto quanto un amore difficile. Così, Mostro evita la monodimensionalità mascherata da impeto espressivo che contraddistingueva i suoi inizi. Ci sono ancora momenti ingenui, sull'album. Mostro non parla di sentimenti complessi: la sua presa male è semplice, nata da relazioni andate male. La sua incazzatura è semplice, nata da una voglia di rivalsa. Il suo grezzume è semplice, nato da un gusto per l'orrido. Messi assieme, però, questi suoi sentimenti si complicano abbastanza da suonare sinceri, e quindi efficaci. Ogni maledetto giorno, il suo quarto album, è un nuovo inizio per un artista che ha già dimostrato di saper spaccare il mercato adolescenziale e ora sembra pronto ad affrontare la complessità di un pubblico più ampio. Ci siamo fatti spiegare direttamente da lui che cosa gli è successo e che cosa vorrebbe gli succedesse ora.

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Noisey: Cominci l'album dicendo "Io mi sentivo niente / In ogni modo, fuoriluogo in ogni ambiente". Come mai questa scelta? In che senso "non ti sentivi niente"?
Mostro: "Poison" è stato il primissimo pezzo che abbiamo scritto. Non mi va di definirlo "vecchio", ma l'ho scritto in una fase diversa da quella in cui poi è nato tutto il resto del disco. Io ho una mentalità molto rap, e il rap non si basa sui ritornelli o sulle hit. Io punto tantissimo sulla forza delle mie rime. Volevo scrivere un pezzo che fosse un manifesto di quello che ero e di quello sto per diventare, ma il cui messaggio fosse "Io sono sempre rimasto me stesso, in tutti questi anni". Forse ho semplicemente rafforzato i miei punti di forza e li ho esposti tutti in questo disco. Che mi sentivo niente perché nella vita, a parte il rap, non ho mai avuto e non ho nulla che mi interessa. È l'unica cosa per la quale morirei. Da ragazzino ho provato tutti gli sport possibili, a scuola facevo il linguistico e quindi avevo tante materie a cui appassionarmi. E niente. Quanti anni avevi quando hai cominciato a rappare?
Il primo testo l'ho scritto a dodici, tredici anni. Ascoltavamo tutti rap, alle medie, e un giorno un mio amico entrò in classe con un testo che aveva scritto. E io: "Nooo! Si può anche fare! È così!" Mi rodeva troppo il culo che questo avesse scritto un testo e io no, quindi sono tornato a casa e ho cominciato. Però ho cominciato a prendere un minimo di coscienza delle mie potenzialità attorno ai quattordici anni, quando ho cominciato a mettermi giù ogni giorno perché volevo riuscire in questo In "Ogni maledetto giorno" parli dell'influenza che ha avuto su di te "Succhiatemi il cazzo" di Bassi Maestro. Gli hai fatto sentire quella strofa? Ne avete mai parlato?
È stato lui un grande che mi ha scritto! È uscito il pezzo e lo stesso giorno, un paio d'ore dopo, stavo su Facebook e mi è arrivato un messaggio privato da lui con scritto "Grazie per la cit". Io sono tornato il bambino fan che ero e ho chiamato tutti per dirglielo, da quanto ero felice. L'avevo beccato una volta anni fa ma lui neanche se ne ricorderà, eravamo in un backstage e io avevo appena scritto le mie prime cose. Ci eravamo stretti la mano. E come mai proprio "Succhiatemi il cazzo" fu così importante per te?
Quando sentii per la prima volta "Succhiatemi il cazzo" avevo dodici anni e non conoscevo davvero il rap. Ok, ascoltavo gli Articolo 31, ma per me la musica era quella che sentivo in giro, non quella che sceglievo. Quando sentii Bassi, un ragazzo così giovane che diceva tutte quelle parolacce, che odiava tutti e lo diceva candidamente, mi si è aperto il cielo sopra. Mi è arrivata una luce addosso. Non credevo potesse esistere un genere così diretto, in cui potevi davvero dire tutti i cazzi tuoi, esprimere la tua rabbia e non parlare di amore o delle solite stronzate. Da lì ho scaricato subito la roba di Bassi—illegalmente, perché era l'era di eMule! E ho cominciato a scoprire tutti gli altri.

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Fotografia di Ludovico Watson.

Ascoltavi anche metal da ragazzino? È da lì che viene l'aggressività del tuo stile, la scelta di usare anche le chitarre nelle produzioni?
In realtà quando ero più piccolo facevo fatica a digerirlo. Del metal mi piaceva il mondo che c'era dietro ma al mio orecchio non riusciva ad arrivare come piacevole. Negli anni, forse un po' saturo di ascoltare esclusivamente rap, ho cominciato ad aprirmi ad altri generi. Forse sono diventato più maturo e ho capito la complessità dietro a un genere come il metal. Le chitarre nelle mie cose sono venute fuori grazie ai produttori con cui lavoro, gli Enemis, che sono dei polistrumentisti e vengono più dal rock rispetto a me. Abbiamo unito queste due cose, ed ecco il nostro suono.

The Illest Vol. 1, il tuo album precedente, era pieno di chitarroni e voleva palesemente avere un aggressivo. Però aveva meno mordente di Ogni maledetto giorno, che è sì aggressivo—ma in una maniera più sottile.
Forse perché questo è un concept album. The Illest Vol. 1 aveva dietro un ragionamento preciso: ogni brano doveva essere diverso dall'altro. Volevamo fare il pezzo metal, il pezzo acustico col pianoforte e così via. Su questo c'è un filo conduttore, anche se ovviamente spaziamo tra vari generi. Ogni traccia è collegata all'altra, e quindi un'atmosfera generale aggressiva ed energica che è nata indipendentemente dagli strumenti usati per le basi, tutto qua. Parliamo di wrestling? Di "Chris Benoit"?
Volentieri! Mi piaceva l'idea di fare una hit e chiamarla "Chris Benoit". Per me è un nome troppo potente. Ho un po' il gusto del grottesco e dell'orrido, lo ammetto, e sono affascinato dalla sua figura. L'eroe di tutti i ragazzini, super rispettato all'interno del suo ambiente, che distrugge tutto ciò che aveva creato con un gesto gravissimo. Il wrestling è un show, mi duole ammetterlo, ma tutti dicevano che Benoit fosse il più vero. Che se c'era da fare a botte ti rompeva il culo, che era l'unico vero lottatore. Però ha ucciso suo figlio e sua moglie, e poi si è impiccato. È una figura controversa… Direi che è una figura rischiosa da trattare. Ma forse è proprio quello che volevi fare, usandolo come soggetto di una canzone. Rischiare.
È che, paradossalmente, Benoit viene ancora ricordato più come un grande wrestler che per la cosa grave che ha fatto. Mi piaceva il fatto che fosse ancora rispettato dai veri fan del wrestling, che la sua leggenda venga mantenuta in vita da chi lo apprezzava per quello che faceva sul ring. Ho fatto questo pezzo per dimostrare quanto l'arte possa in realtà sopravvivere rispetto a tutto quello che succede sotto. E parlo di "arte" come di tutto ciò che ti piace fare. E se lo fai bene, riesci ad innalzarti a una posizione che ti rende più grande delle cose che fai.

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"Attraverso la città" è la storia di un ragazzo che fa boxe. È un momento di storytelling puro o c'è dell'autobiografia in quel testo?
È stato l'ultimo pezzo che ho scritto per l'album. Ero super rilassato, non dovevo dimostrare niente, e quindi ho deciso di raccontare una bella storia. Mi è sempre piaciuto l'immaginario del ragazzo che vive una certa vita ma in realtà sta aspettando altro, e si attacca a quella piccola cosa che però gli permette di andare avanti attraverso le difficoltà. Questo ragazzo, che va a fare boxe, non è un professionista. Non va a fare l'incontro della vita. Va nella sua palestra sporca, ma è questo quello che gli serve e gli basta. Ho letto molto Bukowski, quando ero ragazzino, e in quegli anni il cervello è tipo una spugna. Da lui ho imparato come trovare poesia nelle situazioni più squallide. Viveva in questi motel del cazzo coi bacarozzi, un dollaro in tasca, si ubriacava e basta. Però aveva le sue poesie e quello serviva, il resto non contava niente.

Ne hai già parlato nel People Versus che hai girato, ma qual è stato il punto di rottura che ti ha portato a spingere così tanto sull'impeto per questo tuo nuovo album? Detto terra terra: come spieghi il tuo nuovo corso a chi ti accusa di avere sempre fatto "canzoni per ragazzine"?
Ci abbiamo messo tanto a fare questo disco perché c'è stata tutta una fase iniziale in cui andavamo in studio ponendoci determinate questioni. Per esempio ci sentivamo di dover sbloccare il mercato delle radio, perché avevamo già fatto tanto al livello a cui eravamo, e quindi pensavamo di dover fare il pezzo più digeribile. Internamente, poi, sono successi un sacco di casini e quindi andare a fare quel tipo di musica non rispecchiava più il modo in cui ci sentivamo. Di conseguenza abbiamo proprio mandato tutto affanculo. Abbiamo girato il tavolo e siamo partiti da quelle che sono le cose nostre. Ho sempre fatto questo tipo di rap—forse ho sempre avuto paura a espormi con i singoli, che erano più tranquilli e tutto. Ma io sono sempre stato questo, e non ce la facevo più ad andare a cercare per forza un obbiettivo. E la cosa ha ripagato, perché credo che la gente percepisca la tua sicurezza. Quando sei sicuro di ciò che fai, anche la gente si sente coinvolta e così si crea il legame. Non sono solo rime, si tratta della tua personalità. "Amore per favore resta" è un bel distacco dal tuo passato. È un pezzo dal titolo accomodante e con una produzione mezza ballabile, ma dal testo grezzissimo.
Per me tutto funziona a contrasti, e soprattutto in musica mi piace tantissimo dire la cosa greve nel momento più inopportuno, così come mi piace dire qualcosa di più delicato in un momento nero. Quando lo fai cambia il peso di quello che stai dicendo. Quel pezzo l'ho scritto in un minuto e mi sono divertito tantissimo, volevo farlo anche per dimostrare quanto non me ne fregasse un cazzo delle cose "giuste" da fare in un disco. Se voglio fare un disco in cui dico che ti vengo in testa, lo faccio. E poi è a metà tra realtà e ironia, il che crea un'atmosfera particolare in cui non capisci se sono serio o se voglio essere divertente. Sì, giochi molto con le aspettative. Anche "Sabato sera", per dire, ha un titolo da cui ti aspetti il pezzo-party…
…e invece no, è il mio sabato sera, in cui mi sparo in bocca! Sull'artwork del pezzo che mi ha lanciato, "24 Carati", c'ero io con tutte 'ste catene d'oro… lo pubblicai una settimana prima, e tutti si sarebbero aspettato un certo tipo di pezzo. Invece era tutto il contrario. Siamo artisti, siamo intrattenitori. Devi sfruttare queste cose. Il talento di un artista non è solo nel saper scrivere la bella canzone, devi avere gli occhi su tutto. Devi essere un burattinaio, comandare tu la giostra. Ogni maledetto giorno è fuori ora per Honiro Label. Segui Noisey su Instagram e Facebook.

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