Il percorso di Francesca Michielin è quello di una ragazzina che è diventata grande attraverso la musica. Vincitrice di X Factor nel 2011, quando aveva solo sedici anni ed era un’interprete, con gli anni ha saputo affermarsi come autrice di sé stessa. Oggi è una popstar trasversale, rispettata nell’hip-hop come nel pop mainstream, ed è una delle pochissime in Italia. È studiata: è al sesto anno di Conservatorio, e sa suonare chitarra, basso, tastiere, percussioni. E ha imparato a raccontare nei suoi testi la sua realtà, quella delle campagne di Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza, dove è cresciuta."Da piccola chiedevo a mio fratello: 'Secondo te si può fare un album di dieci tracce di altrettanti generi diversi?'. Devo muovermi: se mi chiudessero in un genere solo, morirei".
"Amavo i Red Hot Chili Peppers e il basso mi distingueva. Le ragazze studiavano canto o chitarra."
Dalle giornate in studio con Elisa rimane l'album Riflessi di me, del 2012, nel solco di "Distratto." Poi Francesca entra in standby: fa pratica come autrice firmando canzoni per altri, ma non pubblica dischi. "Cigno nero" di Fedez, di cui canta anche il ritornello, l'ha scritta lei. Si mette al lavoro sul suo secondo disco solo nell'estate del 2014, quando finisce il classico. Si chiama Di20 e, ascoltato oggi, è pieno di pezzi strani. "Battito di ciglia" è più vicino a Lorde che al classico pop italiano, complice il fatto che Francesca comincia ad avere autonomia.Ma il salto arriva col secondo posto a Sanremo 2016, con "Nessun grado di separazione." "Era un pezzo più classico rispetto a quelli di Di20, temevo non mi rappresentasse. Così lavorai di sottrazione sulla produzione". E quel sound, applicato a un impianto tradizionale, diventerà la sua cifra. Anche se, per il momento, a vincere sarà il testo scritto da lei: "È la prima volta che mi capita / prima mi chiudevo in una scatola"."Nel 2011 in Italia c'era l'idea per cui la donna potesse essere solo interprete. E poi figurati: a casa mia vivevamo di musica internazionale, componevo in inglese… Non ero pronta".
Quando parliamo di 2640, il suo terzo album uscito a gennaio del 2018, le si illuminano gli occhi. "È l'inizio di una nuova fase della mia vita", mi fa. Per molti, è stato il disco che l'ha liberata dell'etichetta di "quella di X Factor". "In effetti", riflette, "adesso quasi nessuno ci fa più riferimento". Merito di pezzi r'n'b come "Comunicare", di altri vicini all'indie italiano come "Io non abito al mare". Con testi per la prima volta quasi tutti firmati da lei: "Se non sto volando / allora cosa cazzo sto facendo?""A 21 anni ho fatto X Factor, Sanremo e l'Eurovision—e adesso? Il passo successivo era un disco 'mio', da cantautrice."
"Ho dovuto abbattere dei cliché, e forse così mi sono costruita una credibilità. Se di credibilità si può parlare, a 25 anni."
E poi, appunto, "Comunicare". "L'ho scritta in una notte, quando gran parte del disco era pronta. Per me la comunicazione è l'unico problema di questo momento storico, quindi ho fatto questo flusso di coscienza sulla mia vita—relazioni, mamma che mi accompagna a prendere il treno, i miei occhi a mandorla".In mezzo, ci sono anche delle confessioni: "In discoteca non sono mai andata a ballare / perché non si riesce a fare altro che limonare". "Non sono mondana", scherza. "Viaggio tantissimo, però. Amo il Primavera Sound, perché puoi andarci in ciabatte, al contrario del Coachella, che è più fighetto". Comunque, insiste, "Comunicare" è stata importante: "È un pezzo R&B con fluidità di linguaggio, flow, allitterazioni: una formula che ho approfondito in Feat"."Prima dell'esame delle medie, mio padre mi disse: 'A me non interessa con che voto uscirai, ma che tu conduca una vita pensando anche agli altri'."
Il trasferimento dalla natura alla città ha dato il via a FEAT (Stato di Natura), un concept sull'incontro fra lei e artisti della scena rap, urban e pop, ma anche fra ambiente e civiltà. È tutto su coordinate libere, dall'alt-rock di "Stato di natura" al reggae felpato di "Sposerò un albero." La continuità, mi dice, la assicura lei. "Sono un albero in una metropolitana / piena a mezzanotte e quaranta", canta in "Riserva Naturale": "Ho unito i suoni che mi fanno pensare alla natura, come strumenti acustici o body percussion, con la dialettica urban, ovvero il flow di parole di 'Comunicare'. Io sono cresciuta col crossover, ho fatto come Anthony Kiedis: che non è propriamente un rapper, ma coi Red Hot rappa".Non è la prima volta che Francesca collabora con i rapper. Nell'estate del 2018 aveva cantato "Fotografi" con Fabri Fibra e Carl Brave, e anche lì aveva preso di traverso il concetto di hit estiva—"era un pezzo fresh, non un reggaeton". Eppure è con Feat che tocca davvero il genere. Fa "rap" lei, dicevamo, e anche parte degli ospiti: Gemitaiz, Shiva, oltre agli stessi Carl Brave e Fibra. Fred De Palma ormai è una popstar, e i Coma_Cose sono lì a metà.Il dubbio è se Feat sia un'operazione che rafforzi la trasversalità della sua proposta sdoganandola al pubblico dell'hip-hop. "Ma questa dinamica non funziona", mi blocca lei. Semmai, dice, l'album è un'oasi in cui ognuno esce dalla zona di comfort. "Fibra canta 'Monolocale', che è un pezzo gospel: non mi aspetto che i suoi fan lo seguano fino a qui. Shiva viene dalla trap, ma insieme abbiamo fatto 'Gange', che è un pezzo evergreen, e non credo piaccia per forza ai suoi ascoltatori. Questo disco non è un modo per dire: 'Adesso va di moda la trap, e allora faccio trap'. Sarebbe una strizzatina d'occhio, e non sarei credibile. Qui sperimentiamo".La trasversalità, allora, è chiara nelle produzioni. Su tutte in "Cheyenne", dove alla regia c'è Charlie Charles. "Della trap apprezzo il minimalismo delle basi, le progressioni armoniche, l'uso dell'autotune. Ho lavorato con Charlie perché 'Cheyenne' è un pezzo classico nella scrittura, e volevo intervenire per sottrazione nella produzione. I pezzi pop di solito sono iper-prodotti, con soluzioni che secondo me neanche servono. Io cercavo una direzione moderna, e quindi ho pensato alla trap, dove si lavora per sintesi. E questo pezzo, alla fine, piace: a chi mi segue da sempre perché non intacca la mia identità; a chi è fan dell'urban perché è scritto anche con Mahmood; e ai musicisti 'puzzoni', in fissa col suono minimale"."Nello spettacolo ho sofferto il pregiudizio per cui, se sei veneta, bestemmi, ti ubriachi e sei 'fredda'. Sono luoghi comuni, siamo solidali anche fra culture diverse".
La title-track è un inno femminista: "Non è nella mia natura / farmi fischiare per strada / come fossi un cane". "Mancano le alternative, serve educazione. Bisogna far capire alle bambine come lo ero io che la bassista esiste, è una professione: non è una roba da maschi. Credo che le quote rose siano un concetto sbagliato in sé: una persona deve stare dove merita, indipendentemente dal sesso. Però a livello formativo servono. Quando vedo line-up con tre donne piuttosto che dieci… non posso credere che non ci fossero dieci artiste valide da inserire".Così, a quasi dieci anni dalla vittoria di X Factor, Francesca parla quindi del ruolo che lei e le sue colleghe hanno nell'educazione del pubblico al femminismo, alla lotta al patriarcato. Sembra passata una vita da quando era poco più che una bambina e cantava "Distratto". I pregiudizi, se c'erano, sono abbattuti. E il pubblico è sempre più vasto, affezionato, rispettoso. "Degli esordi mi rimane la centralità di comunicare, la necessità di farmi capire. Non è detto che una canzone debba piacere davvero a tutti, ma posso partire da un qualcosa di 'mio' e riempirla di significati, appunto, trasversali. Per il resto, odio le etichette, l'omogeneità. Da piccola chiedevo a mio fratello: 'Secondo te si può fare un album di dieci tracce di altrettanti generi diversi?'. Devo muovermi: se mi chiudessero in un genere solo, morirei". Francesca Michielin si esibirà il 20 settembre al Carroponte di Milano. Patrizio è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook."Questo disco non è un modo per dire: 'Adesso va di moda la trap, e allora faccio trap'. Sarebbe una strizzatina d'occhio, e non sarei credibile. Qui sperimentiamo".