Lorenzo Senni in Persona

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Musica

Lorenzo Senni in Persona

Il Rave-Voyeur e mago dei synth ci racconta il suo percorso dalle discoteche romagnole alla pubblicazione su Warp Records.

Ho incontrato la prima volta Lorenzo circa cinque anni fa: tra amici, da qualche parte a Milano. Salta fuori l'idea di prendere un gelato da Massimo in via Castelvetro. Partiamo tutti in macchina tranne lui che, insiste, preferisce raggiungerci in bici per non dover chiedere uno strappo al ritorno. Tiene il ritmo, anzi resta appiccicato alla macchina per qualche chilometro. Si schernisce con chi si stupisce per l'assenza di affanno: figurati, in Romagna—per il lavoro stagionale—portava a mano sacchetti di cemento belli pesanti, era abituato. Resta la prima impressione: testa bassa e dritto al punto. Diciamo pure ostinato: pensa a come ha trasformato abiti ordinari—jeans scuri, t-shirt, bomber (e ciuffo)—in una divisa di scena, a furia di ribadirli come da tradizione Ramones, animali antropomorfi Disney e supereroi. Oppure pensa al modo in cui le sue sequenze di synth si ripetono cocciutamente; eppure, per effetto di micro-spostamenti interni, acquistano una specie di moto gelatinoso che le fa volteggiare via e atterrare altrove. Una musica che allude al club e alla composizione minimal, tradendo entrambi. Oggi è un artista ancora più bravo (e in evoluzione), giustamente super impegnato tra festival e date in giro per l'Europa. Con Persona ha debuttato sulla storica Warp, aprendo un nuovo capitolo di avvicinamento alle strutture della canzone (prendetela nel modo meno letterale che vi riesce). Tempo, quindi, di fare un po' di mente locale.

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Noisey: Partiamo dagli inizi: come ti sei avvicinato alla musica?
Lorenzo Senni: Non è una storia speciale. Mio padre fa il meccanico e ha sempre amato la musica. In casa la ascoltavamo di continuo: aveva molti dischi di rock classico, Pink Floyd e Deep Purple. Mi faceva una testa così con gli assoli. Ogni tanto metteva colonne sonore, ad esempio quelle dei Goblin per Dario Argento. E poi moltissima musica italiana: l'anno scorso ho riascoltato Battisti e mi sono scoperto conoscitore anche dell'ultimo periodo—Cosa succederà alla ragazza o Hegel—che trovo incredibili.

Incredibili vero, ci sentivo dentro anche dei Pet Shop Boys metafisici, nel senso di De Chirico. 
Sì, c'erano tocchi di techno, di hip hop. Be', insomma lui lavorava con i numeri uno: dagli arrangiatori ai musicisti.

Tornando a noi…
La casa dove sono cresciuto era attaccata a quella dei nonni e mio padre ci viveva da giovane. Sostiene che faccio questo mestiere perché la mia stanzetta era la sua "discoteca": aveva messo la moquette sul pavimento e, nei fine settimana, ospitava gli amici per ascoltare e ballare i suoi dischi. Comunque, il mio vero debutto è stato alla chitarra: ho frequentato qualche lezione e, poco dopo, sono entrato nel giro punk-hardcore di Cesena e Ravenna. La scena romagnola è sempre stata piuttosto forte: c'erano i Reprisal, i Sentence e altri. Avevano tre o quattro anni più di me, ma erano già pubblicati, a volte su etichette americane, e andavano in tour.

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Parlando con musicisti che provengono dall'area sperimentale—anche se la parola fa pensare al piccolo chimico, ma per capirsi—ho registrato una costante: molti hanno iniziato, da giovanissimi, giocando con la tecnologia audio di scarso valore in casa, tipo registratori a cassetta, radioline, microfoni. Cose del genere. 
Nel mio caso, è stata la batteria jazz. Ho iniziato a suonarla a sedici anni e mi ha cambiato la vita: era un periodo strano, non capivo cosa mi piaceva e mi ha dato una direzione. Suonavo con ragazzi che usavano sintetizzatori, pedalini multi-effetto, picchiavano sulle corde del basso con le bacchette. Suoni fuori dal territorio rock che mi era familiare. In effetti, in casa c'era il giradischi del mio babbo, ma stranamente non ho mai sperimentato con quello: ero completamente immerso nella batteria. Il mio maestro, Giovanni D'Angelo, aveva settant'anni. Ricordo la prima lezione, gli chiesi dove avrei potuto noleggiare pezzi per lo strumento e lui, in romagnolo: "Ma te dormi la notte?" Certo che sì, dormo. "E allora sei a posto così. Per i primi tre, quattro mesi ti serve solo un cuscino". Il suo carisma mi aveva conquistato.

Un po' come in Whiplash
Sì, ho visto quel film ed è un po' estremo, ma restituisce l'importanza di un insegnante che ti fa digerire gli scogli del primo periodo.

E da lì come sei arrivato all'elettronica? 
Ecco: il grosso l'ha fatto Max/Msp.

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Ah! Così? Sei andato dalla batteria a Max senza passare, che so, per Reaktor o Reason? 
Eh sì, quando avevo diciannove anni sono andato a studiare musica al DAMS di Bologna e ho conosciuto i David Tudor e i John Cage. Chi erano i "figli" di questi compositori? Per me quell'eredità l'avevano presa gli artisti della Editions Mego, della Raster Noton e compagnia. Compravo i loro dischi da Underground Records e tutta quella scena usava Max come strumento principale.

Mi fai ricordare il primo live Mego cui ho assistito: a Londra, all'Upstairs at the Garage nel 1998. C'erano Pita, ma soprattutto i Farmers Manual. 
Ah vabbé! Geniali!

Mi scoppiò la testa.  
La cosa bella dell'estetica Mego era questa specie di doppia personalità: usavano software sviluppati in ambienti accademici, ma con una grande ironia che usciva già negli artwork. Quando sono arrivati loro: sbababam! È cambiato tutto. Tra l'altro, ho saputo che Pita usa lo stesso software che adoperava all'epoca; se l'è fatto riscrivere da un ragazzino per SuperCollider 3.

Quella sera passò anche Aphex Twin a salutare i colleghi e a sbriciare i programmi sugli schermi dei portatili. All'epoca c'erano forum zeppi d'ipotesi su quali software usassero Autechre e altri. Sei mai entrato in questa mistica?
Ci sono andato sotto per tantissimo tempo. A livelli nerd con gli occhi di oggi, all'epoca mi sembrava la figata più totale. Ho letto ogni intervista rilasciata da Pita, ogni intervista di Fennesz cercando poi tutto il software che nominavano. Figurati che avevo comprato un Powerbook G3 con MacOS 9 perché ci girava il PulsarGenerator sviluppato da Curtis Roads per fare sintesi granulare. Ecco, anche in questo caso, la disciplina di mettersi giorno e notte a imparare qualcosa me l'ha insegnata la batteria.

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Credits: Mayumi Hosokura

Usi ancora Max? 
Per i miei show con laser, non per la musica. È cambiato un po' il mio approccio, anche se recentemente ho chiesto a un amico—molto più bravo di me—di scrivermi un sequencer: è più semplice che modificare Logic. Il tempo che ho dedicato a imparare quei programmi è stato prezioso, ma non puoi averlo per sempre.

Non si può avere l'ambizione di essere sia Paganini che Stradivari. Alcuni continuano a far musica, altri vanno a lavorare per le software house. 
Esatto, vai da Ableton.

E adesso come componi? 
Fino a Superimpositions, con computer che manda sequenze di note a un synth. Una volta trovata una melodia, la mettevo in loop e mi spostavo dal computer al synth per lavorare sui parametri del suono. Ultimamente sto cambiando procedura: non ho voglia di fare altri Quantum Jelly. Già in Superimpositions c'è un'evoluzione, ma lo scarto non è così notevole.

Questi due dischi ti hanno dato un posto nel discorso media sulla "decostruzione del rave": artisti che lavorano con elementi tipici di stili dance storici e arrivano a risultati non funzionali al ballo. 
È strano esserci capitato in mezzo. Tutto è nato perché mi sono tornati sotto mano brani che sentivo quando, da ragazzo, uscivo il weekend con i miei migliori amici. Andavamo al Cocoricò, ascoltavamo la commerciale. Mi son detto: "Aspetta, magari c'è qualcosa d'interessante in questa musica". Il beat non mi piaceva, mentre riuscivo a digerire meglio le parti senza cassa, i build-up: ce n'erano alcuni un po' più ambient, altri più arpeggiati. Ho quindi iniziato a ritagliarli. Mi esibii al Raum di Bologna cucendoli insieme e, tra il pubblico, c'era anche il musicista Evol che stava preparando un festival a Barcellona: m'invitò chiedendomi espressamente quel set. Al festival suonavano Florian Hecker, Phill Niblock, Cut Hands e Mark Fell. Io sono arrivato con i miei build-up inanellati ed è subito arrivata una recensione di merda su The Wire.

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A me sembra che Quantum Jelly sia, anche se solo in parte, interno a un certo discorso dance. In particolare, acid-house: partire da un riff in sequenza sul 303 e lavorare sulla tessitura sonora modulando frequenza, cut-off, risonanza per ottenere, gradualmente, un'evoluzione verso un climax per poi tornare indietro e così via…
Per quello dico che, in realtà, ci sono dei "metti cassa" e "togli cassa" in Quantum Jelly o meglio porzioni che hanno la stessa funzione, ma fatte con altri suoni. Ha elementi che rispondono a quella storia non decostruendola, anzi enfatizzando il gioco di attese e soluzioni. Quando si parla di decostruzione del rave, non so se è una definizione che mi calza appieno. C'è stato un periodo in cui era un modo veloce per riferirsi allo stile di alcuni musicisti—c'era anche Lee Gamble che lavorava con la jungle—gettandoli in un calderone.

C'è da dire che ti piace molto giocare con le definizioni: basta guardare gli hashtag che usi sui tuoi profili social. Ti sei mai sentito un po' ingabbiato? 
Mi è sempre piaciuto. Anche con Evol, che nel frattempo è diventato uno dei miei più cari amici, ci scambiamo in continuazione keyword. Se continuo a dire "Pointillistic Trance", per forza di cose mi collegheranno alla trance. Quando mi chiedono: "Ti piace la trance?" rispondo: "La trance è esattamente il genere di musica che sto evitando di fare". È come un motto: alla fine diventi quella roba li. Intrappolato però no, non mi ci sono mai sentito perché c'è un motivo per quelle definizioni.

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Come sei arrivato a Persona
Non ci ho riflettuto molto. Alcuni pezzi avevano già qualche anno e li ho solo cesellati per il disco. Warp mi aveva chiesto qualcosa da ascoltare e siccome stavo lavorando su quel materiale, gliel'ho mandato. In Persona ci sono meno arpeggi e più accordi, pulsazioni che descrivono la ritmica in modo netto. Inoltre, ci sono più strati di suono rispetto al passato. Ho provato anche a inserire strofe e ritornelli, non so se ci sono riuscito. Volevo, però, mantenere una certa continuità: ad esempio, alcune sezioni delle tracce sono volutamente troppo lunghe, anche se sono ritornelli, bridge… Forse qualche fan della prima si è allontanato perché il disco non segue i vecchi parametri, mentre altri si sono avvicinati. Le reazioni sono, in generale, molto positive .

Come hai scelto il titolo? 
È una parola che esiste in italiano e in inglese con significati leggermente diversi: individuo e personaggio. Poi c'è questo videogioco giapponese che si chiama Persona basato sulla dicotomia tra i protagonisti e creature che rappresentano l'incarnazione di aspetti segreti del loro carattere: emergono in battaglia e li aiutano. Questa dualità mi ha sempre interessato tra quello che ho vissuto e come mi presento. Tra aspetti apparentemente inconciliabili di me. Torniamo sempre alla storia delle aspettative disilluse, alla fine.

Mi fa piacere sentirtelo dire visto che sono un fan della serie e, in questi giorni, sto terminando Persona 3. La copertina del disco, di Ed Atkins, è perfetta. Ce ne parli?
Finito il disco, mi sono reso conto che riuscivo a descriverlo in modo diverso dai precedenti. Parliamo per keyword: se prima rilevavo l'aspetto tecnico e sonoro (ad esempio #pointillistictrance), per questo mi venivano cose più legate all'emotività e a situazioni evocate (#ravevoyeur). È riemersa la storia del mio incontro con la trance: seguivo i miei amici alle feste, ma rimanevo sobrio. Ero in quegli ambienti, appunto, da voyeur: magari guardavo una ragazza, mi soffermavo ad ascoltare una melodia che m'interessava o me la ridevo quando un amico era particolarmente sfatto. Mi divertivo anch'io eh, ballavo e tutto il resto, ma avevo un ruolo da osservatore. Avevo visto Ribbons di Ed Atkins [se fate in tempo, è in mostra al Castello di Rivoli fino al 29 gennaio. NdR]: il protagonista sarebbe potuto essere uno dei miei amici, con tanto di tatuaggi, che guarda dentro a un buco sul muro fino a schiacciarsi il naso. Se ti si schiaccia il naso vuol dire che sei proprio curioso. Chi era quel personaggio? Un gabber? Un androide? Avevo conosciuto Hans Ulrich Obrist a Londra perché aveva scritto una cosa su di me per un magazine tedesco. Nello stesso periodo Ed era stato ospite di Obrist per dei talk alla Serpentine e mi sono detto: "Questa è la volta buona per chiedere ad Hans Ulrich di metterci in contatto" e così feci. Lui, fortunatamente, conosceva la mia musica ed è andata bene: con un artista di quel calibro non è scontato.

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Viaggi ancora molto? 
Sì, mi piace essere presente: voglio parlare e stare insieme alle persone con cui lavoro e che stimo. Se devo beccare Gaika, vado alla Warp. Se suono a un festival, resto anche il giorno dopo. Sono un fan: ho robe autografate di tutti i miei eroi. Ed è vero anche ad altri livelli: se suona Eliane Radigue e c'è Fennesz, facile che dica "Dio bo, devo assolutamente andare a parlarle". Chi continua a fare questo lavoro viene da un background da fan, ha sempre questa spinta.

E il Giappone lo bazzichi ancora? 
Ah sì certo, in Giappone sono stato per due settimane l'estate scorsa in vacanza. Vado quando riesco: mi trovo bene con la gente, si mangia ottimamente e si sta ben tranquilli. C'è gente che segue le mie cose lì, ma resto di nicchia. Non conosco molta musica giapponese, però la mia ragazza è molto appassionata di anime quindi tutto quello che so sull'argomento me l'ha trasferito lei.

Credits: Mayumi Hosokura

Visto il tema, ti farò la domanda che avrai sentito già cinquemila volte: cosa fai ancora a Milano? 
Eh no, a Milano io ci voglio rimanere invece! Prima di tutto per fare incazzare l'ottanta per cento dei musicisti che non vogliono essere rappresentati da me [ride]. Scherzo: a me fa piacere stare con le persone che stimo e che mi hanno supportato. Mi piace Londra, ne capisco le potenzialità, ma sto bene in Italia.

E in Romagna torneresti? 
In Romagna ci tornerò! Al momento non posso permettermelo perché difficile logisticamente. Però a un certo punto se riuscissi a tornare e farmi uno studio come si deve, perché no? Quando torno in Romagna mi sembra tutto mega-facile: a Londra se devi andare dall'altra parte della città devi metterti in testa che ci vogliono due ore di viaggio, a Milano trentacinque minuti, ma puoi camminare fino al Duomo no? Il centro di Cesena lo attraversi in cinque minuti. Mi sembra tutto più raggiungibile. Ho la sensazione che sia tutto talmente semplice che, se tornassi, potrei diventare sindaco [Ride].

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Come va la tua etichetta discografica Presto!? 
L'ho sempre detto: l'etichetta è un modo per collaborare con le persone che stimavo di più in assoluto. John Hudak, Lawrence English, Greg Davis, Florian Hecker, Evol eccetera. Anche un po' di amici che stavano facendo cose interessanti hanno iniziato a fidarsi di me, penso a Theo Burt o Palmistry. Ci sono stati un paio di mesi che sono diventati un paio di anni in cui la label è rimasta ferma. Ora è tornata in forma perché mi stanno aiutando Ruggero Pietromarchi di Terraforma e un ragazzo che si chiama Ruben. Siamo un team adesso. Abbiamo fatto uscire DJ Stingray e stiamo preparando un quadruplo CD di field recording di Toshiya Tsunoda. L'idea è assecondare i nostri gusti, che barcollano da techno a field recording.

Qual è la tua collaborazione dei sogni?
Sarebbe con uno dei miei idoli dell'adolescenza, che ne so, Ray Cappo degli Youth of Today. Far funzionare un clash di cose che sono nella mia storia. So che mi prenderei bene solo io… [Ride]

Cosa ti piace oltre la musica? 
Gioco a Magic, ma non online, solo dal vivo. Ho le carte fotocopiate perché quando mi sono messo con la mia morosa ho iniziato a portarla al cinema, a cena fuori e ho dovuto vendere la collezione per cinquecento euro. Adesso ne varrebbe tremila, tremilacinquecento. So che ci sono molti appassionati come l'artista Yuri Ancarani che ha carte rare tipo le Black Lotus illustrate da Christopher Rush. L'inglese l'ho imparato da Magic, non dalle canzoni. Poi vado in skate da sempre. Mi sono rotto un dito recentemente skateando in casa. Guardo i video su YouTube: ho notato che da grande mi riescono meglio i trick perché ci ragiono. Ho due o tre amici, come Jim dei Primitive Art o Daniel Sansavini (che ha fatto le grafiche di Persona), che hanno la stessa passione. A volte vado anche solo: o in Centrale o al Lampugnano Skate Plaza. Poi adesso lo skate è un po' decaduto quindi tutti quei parchi che hanno aperto in ritardo—perché è trascorso molto tempo dall'approvazione delle convenzioni—sono mezzi vuoti.

E adesso a cosa stai lavorando? 
Il progetto più imminente è una pièce da quaranta minuti, che vorrei portare a un'ora, composta da break-down hard-style e hardcore. Interamente basata su campioni editati, qualcuno ne ha contati cinquecento. La suono con interludi di cannoni a CO2 che solitamente segnalano i drop nei set EDM: se vedi un video con il volume a zero riconosci il drop dai cannoni. A fine gennaio partirà il mio tour italiano e a marzo presenterò la composizione alla Tate su invito di Andrea Lissoni. Mi sta occupando a tempo pieno.  Qui sotto trovate le date del tour di Lorenzo Senni, in collaborazione con The Italian New Wave.

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