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Musica

Lo spaventoso mondo dell'ansia da palcoscenico

Colpisce il 75% dei musicisti, li spinge verso droghe e alcol e può distruggere la loro carriera: perché non si parla più spesso dell'ansia da prestazione?
Hannah Ewens
London, GB
ansia da palcoscenico

"Ho seriamente pensato di pagare qualcuno perché mi pestasse a sangue, in modo da finire in ospedale per circa una settimana prima di un concerto. Pensavo che se mi fossi rotto una gamba o entrambe le gambe non avrei dovuto salire sul palco."

Dave Jakes, cantante dei Lonely The Brave, siede dentro a Regent's Park e ci descrive quello che è successo quando ha scoperto che si sarebbe dovuto esibire sul palco principale del suo festival preferito, quello di Reading, lo scorso anno. Per sua stessa ammissione, è una persona estremamente ansiosa—siede dandomi le spalle, come fa sul palco con il suo pubblico, e strappa un ciuffo d'erba a ogni frase che pronuncia.

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"Mi ha completamente rovinato l'estate. Ci pensavo sempre, preoccupato, ogni giorno, immaginandomi ogni modo in cui potesse andare male. Il mio cervello si spegne del tutto."

L'ansia da palcoscenico può colpire ogni musicista, per quanto al mondo esterno possa apparire sicuro di sé. Si dice che ne abbia sofferto Mariah Carey e lo stesso vale per Ozzy Osbourne, Van Halen, Lorde, Brian Wilson e Niall Horan. Secondo un recente sondaggio condotto da Help Musicians UK, il 75 percento dei musicisti dice di averne sofferto in qualche misura.

Nel 2011, anche Adele ha parlato apertamente della sua esperienza, confessando: "Ho paura del pubblico. A un concerto ad Amsterdam ero così tesa che sono scappata dall'uscita d'emergenza. Ho vomitato un paio di volte. Una volta, a Brussels, ho vomitato a spruzzo su una persona. Ho un sacco di attacchi d'ansia". Nel 2013, è stato scritto che si stava sottoponendo a ipnoterapia. Lo scorso anno—a dispetto della sua impressionante carriera da popstar più famosa d'Inghilterra, con in programma un tour mondiale negli stadi—ha dichiarato che non faceva che peggiorare. "O perlomeno non migliora, per cui mi sembra che peggiori, eppure a questo punto dovrei essere abituata". I sintomi comprendono tachicardia, secchezza delle fauci, vomito o perdita d'appetito nelle ore o nei giorni precedenti un concerto. Può significare bloccarsi completamente una volta saliti sul palco, o perdere del tutto la voce.

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Mentre il discorso è stato affrontato apertamente nel mondo della musica classica, nel quale la precisione tecnica è di importanza capitale, non viene preso altrettanto sul serio nel mondo del rock e del pop. In termini di studi, quasi non ce ne sono. Secondo gli esperti, questo si verifica perché l'ansia viene auto-curata dai musicisti e incoraggiata dall'industria. "Ho fatto un po' di ricerche, e quello che emerge è che i musicisti pop sono una categoria molto, molto vulnerabile", racconta Dianna Kenny, luminare nel campo della psicologia e della musica. "Direi più vulnerabili dei musicisti classici. Si tratta di un problema che va risolto".

Non ci vuole un genio per capire di che cosa si parla quando si parla di "auto-cura". "Alcol e droga", come Shaun Ryder ha risposto sulla BBC nel 2011 alla domanda su come abbia superato la sua paralizzante paura di esibirsi in pubblico. Non è un segreto che l'uso di alcol e droghe sia considerato socialmente accettabile, a volte addirittura incoraggiato all'interno dell'industria discografica, per cui diventa facilmente un appoggio comune. "A inizio carriera ero sempre ubriaco", dice Jakes. "Bere era una coperta di Linus. Ma i postumi mi rendono nervoso e irascibile". Oggi non beve più in tour e cerca di tenere sotto controllo la propria ansia, perché per quanto l'alcol possa sembrare utile nel breve periodo, gli effetti collaterali spesso vanno ad alimentari ulteriori problemi di salute mentale.

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Jess Weiss, della band di Brighton Fear Of Men, soffre ugualmente di ansia e ha una visione simile della questione. "C'è un livello di ubriachezza che cerchi prima di salire sul palco per sentirti più a tuo agio, ma poi rischi di perdere il contatto con quello che sta succedendo davvero", dice. "E se lo fai ogni sera, le cose si accumulano, e rischi di ritrovarti con dei problemi seri senza accorgertene".

L'ansia da prestazione di Jakes a volte lo debilita talmente tanto da fargli pensare di non poter continuare. La scorsa primavera ha cercato di lasciare la band mentre i Lonely The Brave (il cui terzo album uscirà questo venerdì 20 maggio) raggiungevano il loro picco di popolarità. "Fu dopo un brutto concerto, il mio manager venne da me il giorno dopo e facemmo una lunga chiacchierata. Ero davvero sconvolto. Furono due giorni emotivamente molto duri, ma ruiscirono a convincermi. Una parte di me pensa che quando sarà tutto finito farò un bel sospiro e penserò: 'Grazie, grazie e vaffanculo. È stato fantastico ma ora non mi devo più preoccupare'. Mi darebbe conforto. Ma non posso smettere. Deluderei troppa gente, me stesso incluso, e mia figlia. Dovrei tornare a lavorare in un piccolo furgone bianco, come facevo prima della band". Jakes dice che sarebbe molto felice di suonare soltanto in studio—ma, sfortunatamente, è difficile evitare di suonare dal vivo quando si è in una rock band di successo.

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È una situazione paradossale. I Lonely The Brave hanno pubblicato soltanto due album, e l'ultimo ha avuto un successo particolare, il che significa che andando avanti gli occhi puntati su di loro potrebbero moltiplicarsi. "L'unico obiettivo quando sei in una band è di diventare il più famosi possibile. Secondo questa logica, significa che i nostri concerti non possono che diventare sempre più grandi. Se non piacessimo più a nessuno almeno avrei un buon motivo per smettere…"

Come molti degli artisti con cui ho parlato, la sua ansia pre-concerto si manifesta in un modo preciso. Quella di Jakes parte dall'idea che la sua voce possa rompersi mentre canta. È anche soggetto a sindrome rinobronchiale—termine medico che indica una discesa di muco in eccesso lungo la gola—che gli causa frequenti irritazioni. "Un paio d'anni fa abbiamo suonato al Rock Am Ring, in Germania, ed è stato un incubo," racconta. "Praticamente, ho deciso di bere una bottiglia di vino rosso prima di salire sul palco. C'erano circa quaranta gradi, e il vino mi ha incollato la gola. Gracchiavo in modo orrendo. Mi sono quasi messo a piangere sul palco; è stato il peggior giorno della mia vita. E ora devo salire sullo stesso palco il mese prossimo. Abbiamo fatto le prove un paio di giorni fa e la mia voce era un po' roca, e sono stressato dall'idea di andare in tour il mese prossimo con la prospettiva del ritorno del vecchio demone."

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Laura-Mary Carter dei Blood Red Shoes soffre di ansia da prestazione dall'inizio della sua carriera, ma ha raggiunto il picco dopo aver letto che cosa si diceva di lei su Internet. "La gente diceva che ero molto quieta in confronto all'altro componente della band. Ci pensavo mentre stavo sul palco, pensavo a come non ero quello che dovevo essere. Ci sono stati momenti in cui questa cosa mi ha depresso molto, ma ricordo che dopo ogni concerto ero sempre arrabbiata con me stessa, pensavo di non valere niente. Spesso, prima di un concerto, tremo ancora oggi. Devo convincermi."

In una situazione ad alta pressione come un concerto, l'istinto di sopravvivenza prende il sopravvento. Il sistema nervoso pompa nel sangue due ormoni, l'adrenalina e la noradrenalina. Quando questi superano un certo livello, aumentano il battito cardiaco e possono provocare tremori muscolari e nausea. Chi riesce a sfruttare questo sbilanciamento otterrà un livello di consapevolezza più alto e una performance potente e sicura. Ma, per alcuni, porta ad ansia, perdita di memoria e attacco di panico, fattori che alimentano l'ansia a lungo termine.

Per quanto l'ansia da prestazione sia sgradita, è pur sempre comprensibile. "Non è una cosa naturale da fare, stare davanti a tanta gente e dover gestire questi alti livelli di stress", ha spiegato a the Guardian Aaron Williamon, professore di scienza della performance al Royal College of Music. "E non ha nulla a che fare con l'età o l'esperienza. Non importa quanto il soggetto sia preparato, le risposte istintive del corpo allo stress possono portare a uno stato fisico o a uno stato psicologico completamente diversi."

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Il pubblico, comprensibilmente, è portato a pensare che i cantanti siano idoli dal carisma inossidabile che si cibano dell'attenzione dei fan e si sentono a proprio agio soltanto su un palco. Se un artista esprime una reazione negativa all'idea di salire sul palco, viene semplicemente liquidata come "paura da palcoscenico", un termine ormai talmente diffuso che il suo significato è finito per risultare diluito. In realtà, si tratta di molto di più. "Quando ho iniziato le mie ricerche nel campo circa 15 anni fa, sono rimasta sconvolta", spiega Kenny. "L'ansia da prestazione non era ben definita come problema psicologico—giusto cinque o sei righe nel DSM 5 (il manuale diagnostico dei disordini mentali pubblicato dalla American Psychology Association)—e non era ben compresa."

Kenny ha creato una scala di severità per il disturbo. La prima categoria è il livello "normale" di tensione che si raggiunge quando ci si appresta ad esibirsi. Come dice lei, solo per il fatto di essere un musicista proverai questo livello di ansia in qualche modo. È la risposta evolutiva: "Il modo in cui si affronta questo tipo di ansia è preparandosi al meglio sul proprio repertorio, raggiungendo la maestria necessaria nell'aspetto tecnico di quello che si andrà a suonare e mettendo in atto tutte le attività di prevenzione che suggerisce il buon senso, come presentarsi ben riposati e idratati".

La seconda categoria è l'ansia da prestazione musicale "clinica", che secondo lei si verifica in persone già affette da altre forme di ansia sociale. Marty Watts è socio anziano del North London Stress Management Centre dove tratta questa patologia con un mix di ipnosi, terapia cognitiva comportamentale (CBT) e psicoterapia. "Di fatto, l'ansia da prestazione e gli altri problemi legati allo stress sono soltanto pensieri, e i pensieri si possono controllare tramite tecniche specifiche", dice. "Con l'ipnosi posso anche portare le persone a un livello diverso, dove è possibile rilasciare la negatività incorporata dal subconscio".

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In alcuni casi, gli artisti possono aver avuto qualche forma di ansia da prestazione per tutta la vita. Per altri, c'è una causa concreta. "La maggior parte delle volte tendono ad avere almeno un sospetto su quale sia la causa, e può essere ogni cosa", spiega Watts. "Può essere una nuova relazione, una critica da una fonte inaspettata. Per esempio, una recensione negativa o una serie di recensioni negative tendono a fiaccare la sicurezza delle persone".

Come è naturale quando si parla di CBT e ipnoterapia—insieme a meditazione, esercizio fisico e rilassamento, pratiche altamente raccomandate dagli psicologi della musica—non c'è una cura immediata per l'ansia da prestazione, e spesso è più una questione di mantenimento dei livelli di stress al minimo. Per questo motivo, Watts fa un sacco di sessioni di ipnosi su Skype per poter raggiungere i musicisti in tour nelle loro camere d'albergo. Alcuni degli artisti che si rivolgono a lui usano betabloccanti—il medicinale preferito dai musicisti classici. Si tratta di medicine che in alcuni casi vengono somministrate a chi soffre di attacchi di panico perché rallentano il battito cardiaco. Watts dice che il suo obiettivo è quello di eliminare il bisogno di betabloccanti con le sue sessioni.

Ma la terza e più grave forma di ansia da prestazione, secondo la classificazione di Kenny, si manifesta sotto forma di panico e depressione, dura per tutta la vita e a volte abbastanza intensa da decretare la fine di una carriera. Una depressione totale o puro panico quando tocca a te esibirti. "Questo tipo di ansia non si può trattare con il buon senso o con la terapia cognitiva comportamentale", dice Kenny. "La fonte di questo tipo di ansia deriva dalla qualità della relazione con i genitori. Se il proprio attaccamento è stato ansioso e insicuro, si è soggetti a un più grande sentimento di sopraffazione, di umiliazione e di vergogna quando ci si trova ad esibirsi o a pensare di esibirsi. L'ansia si sviluppa attorno alla causa delle prime esperienze di vergogna".

Quest'ultima forma sarebbe tutt'altro che rara: Kenny crede che tra un quarto e un terzo dei musicisti affetti da ansia da prestazione ne soffrano. Per curare questa grave forma di ansia, Kenny ha adottato una forma di psicoterapia—psicoterapia psicodinamica basata sull'attaccamento—che "non si concentra sui sintomi ma cerca di risolvere questi problemi di attaccamento".

Per molti musicisti, la battaglia con l'ansia da prestazione passa per il riconoscerla come un problema diffuso su cui si può lavorare e per cui si può trovare aiuto, non soltanto come una colpa innata che ci si porta dietro. E combattere la tendenza di affidarsi alle droghe e all'alcol per risolverla è il primo passo verso la risoluzione del problema. "Si arriva a un punto in cui un artista non riesce nemmeno ad avvicinarsi al palco senza essere fottuto", dice Watts. "Si dà la colpa alla casa discografica o al management per aver permesso di arrivare a questo punto. Il resto della band, i tour manager, gli agenti, eccetera, devono stare attenti a questi segnali. Anche se alla fine, la gente se ne accorge solo quando le performance cominciano a rimetterci".

Quando sali sul palco, il pubblico non dovrebbe essere il nemico e il palco non dovrebbe essere un'arena. In molti casi, si tratta solo di ricacciare l'evoluzione nella sua piccola scatola e, per fortuna, con un po' di impegno e la consulenza di un professionista, questa cosa si può fare—anche con la forma più grave. Per Laura-Mary Carter dei Blood Red Shoes, ci sono anche dei lati positivi in questa battaglia. "Penso che probabilmente avrei quel tipo di ansia in altri contesti, se non fossi in una band. Lavorarci su mi ha aiutato a superare alcune cose e questa sicurezza si è diffusa ad altre aree della mia vita e ora dico di sì a più cose. Accolgo ciò che mi spaventa".

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