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Musica

La vittoria di Conchita Wurst potrebbe scatenare violenze in Russia

Sia da parte degli omofobi incalliti che da parte della esasperata comunità LGBT, oramai sul piede di guerra

Qualche settimana fa, la drag queen barbuta Conchita Wurst ha trionfato a Copenhagen, affermandosi con la sua “Rise Like A Phoenix” in quanto… non so, tipo la più strana concorrente ad avere mai vinto l’Eurovison Song Contest (ma non è niente in confronto a questi pischelletti qua e quest’altro branco di freak). Conchita aveva già fatto uscire a marzo un video comprensivo di omaggio alla famigerata scena dei petali di rosa in American Beauty, ma è stato l’Eurovision a procurarle attenzioni a livello globale.

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Dopo la sua vittoria, i fan russi hanno organizzato una sfilata per le vie di Mosca per celebrare la sua vittoria. Manco a dirlo, considerata l’aria che tira in Russia al momento, il ministero degli interni ha deciso di vietare l’evento. Un portavoce ha dichiarato che la decisione è stata presa per evitare scontri tra “i gay e i loro oppositori”, con la parola “oppositori” a rimarcare il fatto che c’è una asprissima guerra culturale in atto, scatenata dai Russi conservatori contro la popolazione LGBT del paese. In seguito, il funzionario in questione ha lasciato cadere i timori in fatto di sicurezza e dichiarato che la marcia celebrativa era stata evitate perché avrebbe minacciato l’ “integrità morale dei giovani”. Questo è avvenuto quando Vladimir Zhirinovsky, leader del Partito Democratico russo, aveva già dichiarato che tale vittoria all’Eurovision segnava “la fine dell’europa” (due settimane prima gli era capitato di ordinare a un suo assistente di violentare una giornalista incinta, parrebbe proprio un tipo simpatico). Molto tristemente, Thomas Neuwirth e il suo alter-ego Conchita, sono state oggetto, un po’ in tutta Europa, di forme politicizzate di omofobia, tra cui una petizione presentata al governo Bielorusso da parte di un gruppo politico preoccupato che la sua presenza al festival lo avrebbe trasformato in un “focolaio di sodomia”. C’è anche una pagina facebook anti-Wurst con trentasettemila like, messa su nonappena è stato reso pubblico che quest’anno avrebbe rappresentato lei l’Austria.

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Gli organizzatori della marcia moscovita hanno provato a spostarla perché coincidesse col Gay Pride del 31 marzo, evento che già di suo è andato incontro a molte difficoltà, dagli attacchi violenti dei manifestanti anti-gay a una messa al bando secolare di ogni tipo di manifestazione per i diritti omosessuali, promossa nel 2012. L’apparizione di Conchita ad Eurovision non è la prima volta che questa competizione mette in luce le tendenze omofobe dell’Europa, nel 1998, quando a rappresentare Israele fu la transessuale Dana International, molti parlamentari del paese fecero pressioni perché le fosse revocato il diritto di partecipare. Sedici anni dopo, ecco che si verificano ancora attacchi agli artisti LGBT in gara.

Sono in molti a pensare che è venuta l’ora che i movimenti LGBT russi passino al contrattacco. A questo proposito, Oliver Preston, admin del gruppo Facebook Support Gay Russians Taking Part In Moscow Gay Pride, mi ha ha detto: “Ogni volta che gli anti-gay usano la violenza, dovrebbero essere menati due volte più forte. È così che va il mondo, già in passato i gruppi LGBT hanno fatto uso della violenza fisica per obbligare il nemico a rispettare i loro diritti. Fan di Conchita Wurst a parte, ci si dovrebbe alleare con altri movimenti, come gli anarchici, gli atei e le femministe. Provano tutti lo stesso tipo di indignazione, per cui non dovrebbe essere troppo difficile formare un’alleanza. L’unione fa la forza.” La violenza fisica non è necessariamente lo strumento di protesta preferito dalla maggioranza degli attivisti LGBT, ma Oliver è molto abile e determinato nell’illustrare come questa abbia in passato dato buoni frutti in situazioni differenti. “Un buon esempio sono i moti di di Stonewall del 1969 a New York. In quel caso, i rivoltosi gay non costrinsero solo l’antisommossa del’’NYPD alla ritirata, ma il giorno dopo arrivarono a dare fuoco agli uffici di un giornale omofobo. Questo portò gli omosessuali, da un giorno all’altro, a smettere di nascondere le proprie tendenze e iniziare a rivendicarle con il dovuto orgoglio.”

Anche se la storia dei diritti gay raccontata da Oliver è priva di un paio di momenti-chiave, la sua rabbia trova parecchia risonanza nella comunità LGBT russa e mondiale: Larry Poltavtsev, presidente della ONG Spectrum Human Rights di Washington, è convinto che sia in arrivo un gran cambiamento. “Quando il regime sarà caduto, ci vorranno degli anni perché la mentalità della gente cambi. Potremmo presto vedere una seconda rivoluzione russa, con uno spargimento di sangue minimo o nullo, ci si augura.” Che fare, nel frattempo? “Quello in cui i russi non-omofobi dovrebbero impegnarsi è ricordare ai loro concittadini che l’omosessualità non era un taboo nella cultura indigena pre-cristiana che ha formato il paese. La nozione di questa come “peccaminosa” fu importata in russia da un’antica convinzione mediorientale.” Certo, i movimenti LGBT russi affrontano governi ultra-conservatori da decenni, e queste tensioni hanno ricevuto qualche attenzione in più durante le olimpiadi di Sochi, e Conchita non è che un’altra opportunità di attirarne.

Ad ogni modo, una cosa positiva in tutto questo c’è stata: secondo i dati ufficiali, il televoto dei cittadini russi, armeni e bielorussi—tutti e tre stati che si erano opposti alla sua partecipazione al concorso—è stato uin larghissima parte a favore di Conchita. Per il pubblico armeno è arrivata seconda su venticinque, terza in Russia e quarta per i bielorussi. Il punteggio basso totalizzato dalla drag nei tre paesi deriva solo dal fatto che il voto del pubblico viene conteggiato facendo una media con quello dei giudici, che in tutti e tre i paesi hanno votato contro di lei. Ha guadagnato 5 punti dalla russia e nessuno dagli altri due paesi.

Il televoto rimane comunque un modesto atto di protesta, e comunque vada a finire il pride del 31 maggio, questa vittoria rappresenta un piccolo smacco a Putin. Come ha titolato il giornale danese Politiken: “L’Europa ha vinto - Putin ha perso”.