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Musica

Il declino della musica indie in sette canzoni

Johnny Borrell dei Razorlight ripercorre con noi i momenti più imbarazzanti del genere musicale che ha contribuito ad affossare.

La musica con le chitarre va avanti lentamente, come un dinosauro puzzolente con una gamba atrofizzata. Mentre i ragazzini si inginocchiano davanti all'altare del rap e perdono la testa per i giga-festival EDM pan-europei, lei ansima e sbuffa. Non voglio dire che la gente non sia più interessata ad ascoltare musica fatta usando una chitarra, perché lo è. Eppure in un'epoca in cui Snapchat, le #tutedifelpa e gli hoverboard regnano sovrani, è difficile non avere la sensazione che la famiglia tradizionale composta da chitarra, batteria e basso assomigli un po' a un pensionato rugoso e frastornato, perso e confuso sulla strada del ritorno dall'alimentari, che cerca di capire qualcosa del mondo circostante.

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Non è sempre stato così, naturalmente. La musica con le chitarre è stata sul trono per anni. Il rock fece esplodere gli anni Cinquanta, poi i Beatles e i Rolling Stones occuparono una bella fetta della ribalta negli anni Sessanta. Da lì, scoppiarono la psichedelia e il surf. Poi ci furono il prog e il punk. Morrissey e i suoi tristi mattatoi di vetro si misero in mostra negli anni Ottanta, e i Blur e gli Oasis fecero da epilogo negli anni Novanta. Ma questo portò tutto alla coda finale: gli anni Duemila. E quello che è successo durante questa generazione è senza dubbio la causa del definitivo annegamento della musica con le chitarre.

Quello che era iniziato con gli Strokes alla guida di un magnifico rinascimento dell'idea della "band", è rapidamente decaduto fino al girone di quello che è stato definito "Landfill Indie", indie da discarica. Come genere, il nome si spiega da sé. I talent scout, notato il successo degli Strokes e armati di un bel mucchio di soldi avanzati da quando la gente acquistava ancora i CD, si prodigarono a mettere sotto contratto tanti di quei gruppi indie genericamente di merda da riempire una discarica, sparando l'offerta ben più in alto della domanda. Finita questa fase, la musica indie era praticamente seppellita sotto pile di NME abbandonati, stivaletti a punta Topman e volantini di serate all ages a Vauxhall.

Dai Wombats e i Fratellis ai One Night Only e i Ting Tings, la gamma del landfill indie si estende in lungo e in largo. Eppure, se c'è una figura che simbolizza questo declino, un cattivo da fiaba su cui l'intera popolazione britannica—o almeno la popolazione mediatica— ha rovesciato tutto il proprio odio e disprezzo per se stessa, è Johnny Borrell: il cantante dei Razorlight dai pantaloni bianchi e dalla bocca larga.

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Per cui, visto che è appena uscito il suo ultimo disco (The Atlantic Culture, Johnny Borrell & Zazou), chi meglio di lui può aiutarci a tracciare la storia dell'ascesa e del declino della musica chitarristica dei primi anni Duemila? Abbiamo scelto sei canzoni che ripercorrono la strada dell'indie rock verso la distruzione, e abbiamo chiesto a Johnny Borrell di raccontare il viaggio. Ecco com'è andata.

1. YEAH YEAH YEAHS - "BANG (LIVE AT TRASH)"

Ok, cominciamo dal 2001, prima della nascita del landfill indie.
JB: La prima cosa che sentivi degli Strokes erano gli articoli su di loro. Poi guardavi le foto, e solo a quel punto riuscivi ad ascoltare la musica. È sempre parso un pacchetto. Erano sicuramente molto fichi e fotogenici, ma ogni canzone era praticamente "American Girl" di Tom Petty con la voce distorta. Con gli Yeah Yeah Yeahs, prima arrivava la musica.

Non avevano un bel po' di hype che li spingeva anche loro?
Non all'inizio. La canzone qui sopra era ancora nell'EP Master, che è anche il perché non siamo riusciti a trovare un video ufficiale. Ma quando li ho visti dal vivo, erano così grezzi ed energici, non c'era niente del genere qui. Non c'era nemmeno molta gente al concerto, ma la sensazione era come quella frase che si diceva dei Velvet Underground, che tutti i presenti al concerto subito dopo hanno formato una band.

Avevamo visto la storia dei Pulp e degli Oasis morire, e avevamo più o meno rinunciato all'idea di una band che facesse qualcosa di veramente figo. La musica con le chitarre sembrava significare roba tipo Cast o Travis. Era davvero triste, ed era diventato imbarazzante anche solo dire a qualcuno che suonavi in una band. Poi sono arrivati questi, e sembrava che mischiassero le parti migliori di Thee Headcoats e Jon Spencer Blues Explosion—guardava in avanti ed era imprevedibile.

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2. THE LIBERTINES - "WHAT BECAME OF THE LIKELY LADS"

Eccoci alla seconda canzone del nostro viaggio. Dove si inserisce nel contesto della discarica indie?
Non potevamo scegliere un pezzo di quando i Libertines erano effettivamente fighi?

Tipo quale?
Tipo “What A Waster” o “Death On The Stairs”. Quella è stata una delle migliori canzoni del decennio—ha dei giri di chitarra affilati e una fantastica composizione narrativa. È bellissima. Ma la differenza tra quel pezzo e quello che abbiamo appena ascoltato è piuttosto evidente.

Cos'è successo?
Be', penso che con il secondo album la loro etichetta volesse disperatamente capitalizzare il loro successo iniziale, e li abbia spremuti come limoni. Per cui hanno messo insieme un po' di canzoni scartate dal primo disco, e alcune ancora più vecchie. Ricordo di aver ascoltato alcuni demo di "Music When The Lights Go Out" risalenti, tipo, al 1999—e sinceramente erano meglio di quelli finiti sull'album.

Ricordo concerti dei Libertines abbastanza incredibili in situazioni segrete al piano di sopra del Barfly di Camden, davanti a 300 persone. Pensi che avessero senso sui grandi palchi sponsorizzati?
Erano imbattibili a quei primi concerti—o meglio, nei primi venti minuti di quei concerti, prima che passasse l'effetto della coca. I Libertines erano una band da coca, e i loro agenti li incoraggiavano. Di solito la gente pensa alle band da coca come a roba super pomposa, giusto? Per cui ai vecchi tempi i Libertines sarebbero stati più un gruppo da speed.

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La storia della recente musica inglese avrebbe potuto essere molto diversa se a Pete e Carl fossero piaciute le anfetamine invece della bamba. Ormai, già in questo video, non sembravano neanche più una band. Erano stati trasformati in una pantomima da tabloid autoreferenziale, ogni canzone parlava di loro. Sembrava quasi performance art—Marina Abramovic che incontra Phil e Grant Mitchell di Eastenders. Penso che questo passaggio sia importante parlando della discesa verso il landfill indie.

3. RAZORLIGHT - "BEFORE I FALL TO PIECES"

JB: Già. Questo è il punto in cui abbiamo rovinato tutto. Penso che si potesse dire che nel 2006, all'inizio di questo video, la musica fosse in una situazione interessante. Tre minuti e mezzo dopo, è fottuta.

Che cosa provi, ripensandoci?
Guarda, i Razorlight sono iniziati come una band molto energica, divertente. Avevamo un maniaco di drum'n'bass di nome Christian alla batteria e suonavamo a un sacco di feste illegali alle tre di notte. Ma entrare nel business ha un effetto sulle band. Dopo il primo album, cosa avremmo dovuto fare? Portare avanti un finto ritratto di qualcosa di grezzo, aggressivo, cool? Mi sembrava una totale stronzata. Christian lasciò il gruppo, arrivò Andy e registrammo quello che tuttora considero un album pop-rock di buona qualità.

Come si collega al landfill indie?
Be', io non lo considero strettamente "Landfill" per come è stato compreso. Questa è una bella canzone pop—ha un buon refrain e un giro di batteria copiato pari pari da "Walk Like An Egyptian" dei Bangles. Ma penso che il secondo album dei Razorlight abbia sicuramente aperto la falla attraverso cui una grande quantità di musica mediocre ha inondato il Regno Unito. In mia difesa, però, la gente pensa che i Razorligth fossero una specie di progetto solista di Johnny Borrell, ma è sempre stato un gruppo. Io dò la colpa al batterista Andy Burrows. Era un grande batterista con orecchio per la melodia, ma se vuoi trovare chi è stato a spingere i Razorlight in una certa direzione, prova ad ascoltare la musica che facciamo adesso. Io suono blues-tango psichedelico, e lui suona della roba totalmente insipida.

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Ahio! Un'ultima domanda su questa canzone: il pezzo del video in cui Guy Pierce perde un dente è un riferimento diretto al simbolismo freudiano secondo cui sognare di perdere i denti è un segno della paura di essere sessualmente inadeguati?
Hah! Penso che l'intera parabola dei Razorlight sia una metafora freudiana dell'insicurezza sessuale maschile. Ma c'è un certo elemento sovversivo dell'idea di come una "rock band famosa" dovrebbe essere.

4. THE KOOKS - "SHE MOVES IN HER OWN WAY"

JB: Una volta un addetto ai lavori mi ha detto che i Razorlight erano visti a metà tra i Clash e i Busted—e, nonostante l'umiliazione, ho dovuto concordare. Ma usando questa stessa scala di valutazione, penso che i Kooks fossero l'anello mancante tra Razorlight e McFly.

Qualcosa è sicuramente cambiato tra i primi Yeah Yeah Yeahs e la nascita dei Kooks.
Già. Non so se abbiamo già raggiunto la vera "discarica", ma siamo sicuramente in caduta libera. Penso che ci siano due differenze qua: la prima è che musicalmente è pura formula [in confronto ai pezzi della prima ondata indie moderna]. Al trentottesimo secondo arriva quel ritornello con "Uh oh" e hai la conferma che questo prodotto è stato concepito specificamente per la programmazione giornaliera della radio. E alla band sembra andare benissimo.

La seconda cosa è che con i Libertines, e anche con i Razorlight del secondo album, c'è una sensazione di una band che suona, e all'ascoltatore si concede di prestare orecchio a questo evento speciale. Questa roba, invece, dà un'idea diversa: è molto più una rivisitazione della banalità della vita di tutti i giorni sopra una melodia fischiettabile.

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La pagina Wikipedia dei Kooks dice che andavano alla scuola BRIT e si sono conosciuti mentre compravano cappelli da Primark.
C'è da aspettarselo. Voglio dire, buona fortuna a loro—questa canzone è così inoffensiva che mi sento uno stronzo per aver parlato male di loro ai tempi. Ma il problema non è mai la band, è l'industria che la circonda. Si riescono a vedere l'etichetta, l'addetto stampa e il direttore della radio che si leccano le labbra e dicono cose come: "Questo è il disco perfetto per questo momento".

5. THE ORDINARY BOYS - "BOYS WILL BE BOYS"

JB: Di loro non si parla quasi mai—ed è facile capire perché siano stati dimenticati. Questo è puro landfill indie, nel senso di prendere un genere come lo ska, e produrre un prodotto totalmente anonimo. Non penso che l'impatto della partecipazione di Preston al Celebrity Big Brother debba essere sottostimato. Penso che abbia fatto da legame tra la "vera" musica e la peggior monnezza della cultura televisiva.

Mi ero completamente dimenticato di questa cosa.
Esattamente. Fu una cosa completamente del suo tempo. Stava emergendo un nuovo tipo di celebrità. Era diversa da Liam che usciva con Patsy Kensit, o Pete e Kate Moss. Naturalmente, ora è normalissimo per tutti lasciare accesso totale alla propria vita privata. Ma allora sembrava una cosa nuova, e la soap opera di Preston fu il punto d'accesso di questa roba nel mondo della musica. Come musicista, l'unica sua soddisfazione fu che più diventava famoso per essere "un famoso", meno importanza avevano gli Ordinary Boys come band. Inoltre, commise l'errore madornale di lasciare lo studio di Never Mind the Buzzcocks. Almeno io ho avuto il buon senso di restare lì a prendermi tutte le prese in giro che meritavo. Loro hanno contribuito al fenomeno landfill svalutando la musica con le peggiori stronzate da celebrità. Dal 2006 la discesa è stata ripida e veloce.

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6. THE VIEW - "SAME JEANS"

JB: Sembra un po' di sparare sulla croce rossa con loro—credo siano bravi ragazzi. Ma questo video mostra lo sfruttamento spietato che opera l'industria. Quanti anni hanno questi ragazzi? 16, 17? Voglio dire, hanno sicuramente talento in un certo senso; solo che non hanno avuto quei fondamentali cinque anni per capire che cosa vogliono comunicare.

Giusto.
Penso che sia davvero significativo. Questo periodo è stato importante per le band, ma è stato addirittura rivoluzionario per gli agenti e i discografici. Ai vecchi tempi, fare quel lavoro voleva dire andare ai concerti e tenere d'occhio i gruppi, in questo periodo è diventato stare seduto al computer a setacciare Myspace, poi Facebook e Youtube, alla ricerca della cosa in assoluto più giovane e fresca. Ai gruppi non è stato concesso di svilupparsi autonomamente prima di venire assorbiti dalla macchina.

Immagino di quest'epoca si possa nemmeno discutere senza considerare l'ascesa dei social media e il declino delle vendite di dischi.
Esattamente. E non era solo una questione di etichette. Per esempio, c'era una volta una rivista chiamata NME. Non voglio essere troppo duro con NME, mi ha aiutato molto—ogni volta che dicevo qualcosa di esageratamente cattivo per vendere dischi, loro lo riportavano per vendere copie. Poi di solito parlavano male di me due settimane dopo sempre per vendere copie, ma questo era semplicemente l'accordo che avevamo.

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Ma quello che è successo in quest'epoca è che molte riviste e programmatori radio sono passati dall'avere una reale prospettiva editoriale a essere gestiti come mirino delle aziende per vendere prodotti alla fascia 16-24 anni. È letteralmente così: si vedono gruppi di giovani in una stanza ad ascoltare demo per capire quale fa più effetto e chiedere una sponsorizzazione a Motorola o qualcosa del genere.

Non dico che serva una manica di musicisti pop falliti a istruire le masse su cosa è bello e cosa non lo è. Ma serve un certo tipo di integrità editoriale, no? L'equilibrio sembra essersene andato a farsi benedire in quest'epoca, e i risultati si vedono nelle riviste che chiudono e Radio 1 che perde milioni di ascoltatori. Per me, è questo il significato di "landfill". Le onde radio sono diventate soltanto una discarica che andava riempita con prodotti che assomigliassero ad altri prodotti che avevano venduto bene.

È molto vero. Ora siamo alla canzone finale. L'epitomo assoluto del landfill indie trito e ritrito…

7. KINGS OF LEON - "SEX ON FIRE"

JB: Questo pezzo praticamente è l'apice, la morte e il buio eterno del landfill indie tutto in una volta. Anzi, pongo una mozione per ascoltare un'altra canzone in questo momento. Cerca "Dakota" degli Stereophonics. Ok. Quando entra la voce?

A 29 secondi.
E in "Sex Is on Fire"?

A 29 secondi.
E quando inizia il ritornello?

A 53 secondi e, cazzo, è a 53 secondi anche nell'altra canzone.
Vero? È nella stessa tonalità, allo stesso tempo; è lo stesso uomo vagamente macho che borbotta nelle strofe, e poi c'è un ritornello arioso con molte vocali prolungate.

È incredibile. Anche se non penso ci sia nulla di nuovo nei furti tra band e band.
Naturalmente—ogni cosa che ho rubato, so esattamente da dove viene. È che con questo, è come se dopo aver fatto tutta questa strada improvvisamente tornassimo ai tardi anni Novanta con la formula Stereophonics. E guarda che gli Stereophonics sono davvero bravi a fare quello che fanno, e non hanno mai finto di essere nient'altro. Ma una volta che adotti questa formula… be', sei in zona landfill da stadio.

Per cui i Kings of Leon sono la band che racconta tutta la storia del landfill indie?
Forse è così. Il loro secondo disco, The Bucket, era davvero figo. Amavo quel disco. Era decisamente il miglior disco dell'anno, qualunque anno fosse. Per cui sentirli fare una cosa del genere era una vera merda.

Quindi immagino che dopo questo tutti abbiano smesso di fingersi punk e abbiano cominciato a fingersi folk.
Sì, dopo questo è iniziata l'epoca dei Mumford & Sons, quella roba lì.

Anche conosciuti come "I Razorlight con i banjo".
Razorlight con i banjo? Ahio.

Ascolta The Atlantic Culture di Johnny Borrell & Zazou su iTunes.

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