La guida di Noisey per cominciare ad ascoltare gli Iron Maiden
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La guida di Noisey per cominciare ad ascoltare gli Iron Maiden

Con 43 anni di attività e 16 album in studio, approcciarsi a queste leggende viventi del metal potrebbe risultare difficoltoso. Niente paura, ve li spieghiamo noi con cinque comode playlist.

Quarantatre anni di attività. Sedici album in studio. Decine di migliaia di concerti in giro per il mondo. Una delle più grandi band metal, rock e probabilmente della musica popolare in senso ampio, nonché principale influenza musicale sulla mia vita e la mia brutta personalità. Scrivere degli Iron Maiden non è meno difficile che scrivere dei Beatles, degli Stones o dei Pink Floyd, quantomeno per me, un tizio qualunque loro fanboy da quando “populismo”, “hipster” e “reddito di cittadinanza” erano concetti per lo più astratti. E adesso che mi hanno portato via le mezze stagioni, la prospettiva di una pensione e i treni che arrivavano in orario (e di questo passo i treni in generale), posso dirlo apertamente: questi signorotti che ormai si avvicinano ai sessanta sono una delle poche certezze che mi rimangono. E in un momento di sconforto e débacle bisogna ripartire dalle certezze.

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Casomai ci fosse qualcuno che per qualche ragione non si fosse mai confrontato con la band capitanata da Steve Harris (in Italia i loro regolari concerti vanno altrettanto regolarmente esauriti, ma sempre dalla stessa gente, ormai discretamente attempata), niente paura: anche tu come me puoi trovare una certezza nella band di punta della NWOBHM. All’anagrafe New Wave Of British Heavy Metal, è quel movimento di capelloni brit che riuniva gli ultimi hard rocker settantiani e i primi protometallari ottantiani con un sacco di chitarre e degli atteggiamenti spacconi sul palco, all’interno del quale i Maiden rappresentano un unicum assoluto.

Senza scendere troppo nei dettagli storici, perché per quelli c'è almeno una cinquantina di libri a disposizione, il percorso dei Maiden è particolare (soprattutto) per due ragioni. La prima è che, a differenza dei loro colleghi, anche quelli più famosi e musicalmente interessanti, l’impianto originale della band londinese non derivava soltanto dall’hard rock zeppeliniano e dai riffoni spessi di Toni Iommi, ma affondava le sue radici anche nella modernità del punk di periferia. Nessuno al mondo nel 1979 aveva dei suoni classici, tipicamente inglesi, e allo stesso tempo così nuovi e attuali, e Iron Maiden, il debutto omonimo classe 1980, è ancora oggi uno spartiacque tra vecchio e nuovo. La seconda è che, in un panorama affollatissimo di gente che parlava di motociclette e ad andar bene qualche strega, i Maiden hanno avuto una capacità espressiva tra le più ampie e variegate: soprattutto dall’ingresso in formazione del supereroe Bruce Dickinson, uomo dal multiforme ingegno e ugola impareggiabile, non c’è un argomento che non sia stato esplorato dalla Vergine di Ferro.

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Tra una ballad sulla solitudine e un uptempo in 4/4 sulla pioggia, però, è possibile individuare un nucleo forte di temi all’interno di questi quarant’anni di musica, argomenti cui Harris e la sua ciurma sono particolarmente legati e che si sono divertiti a sviscerare. Tanto per non ripetere la solita tiritera del “per iniziare con gli Iron Maiden devi ascoltare tutti i primi sette dischi e il Live After Death in ordine cronologico”, qui trovi una manciata di playlist tematiche per avvicinarti al magico mondo di Eddie. Però fai il bravo, dopo averle ascoltate ascolta anche tutti i primi sette dischi e il Live After Death in ordine cronologico: nonostante i trent’anni rimane il modo migliore per diventare fanboy.

Gli Iron Maiden saranno in Italia a luglio. Per maggiori informazioni visita il sito di Vertigo Concerti.

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It’s heavy metal, baby. Non potrebbe esistere un gruppo metal che non facesse del conflitto una parte della propria poetica - a parte forse quelli power finlandesi, ma loro hanno un problema più ampio. E gli Iron Maiden prendono i conflitti molto seriamente, soprattutto con un cantante laureato in storia e letteratura. Dalla Charge of the Light Brigade durante la guerra di Crimea (che ispirò anche un componimento di Alfred Tennyson) di “The Trooper” allo sbarco in Normandia di “The Longest Day” passando per la guerra del Golfo raccontata in “Afraid To Shoot Strangers”, i Maiden hanno dato una loro personalissima lettura di parecchi scontri e battaglie, spesso lanciando il povero Eddie nel mezzo della mischia, ferendolo, mutilandolo e facendogli vivere tutti gli orrori del caso.

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Playlist: "The Trooper" / "Aces High" / "Tailgunner" / "Afraid To Shoot Strangers" / "Paschendale" / "The Longest Day"

Forse ti interessano: gli Iron Maiden che parlano di storia

Iniziamo ad entrare nel vivo della questione: è sempre interessante vedere dove vanno a parare i Maiden, quale particolare episodio andranno a ripescare nella prossima canzone. Fin dalla Vergine Di Norimberga stessa, uno strumento di piacere settecentesco, Harris e compagni si sono sempre dilettati a raccontare storie di storia. “Invaders” parla dei raid vichingi sulle coste del continente europeo, “Run To The Hills” della conquista del Far West a scapito dei nativi americani, “Powerslave” della maledizione di Tutankhamon, “Alexander The Great” della vita del Macedone, “The Clansman” delle lotte indipendentiste scozzesi (eh sì, quell’anno era uscito Braveheart), “Empire Of The Clouds” del dirigibile sperimentale R101. Negli anni, con l’invecchiamento la maturazione, i Maiden hanno perso la verve ironica che caratterizzava le loro goliardate da ventenni in favore di un approccio più serioso e da vecchi tromboni, e la differenza tra “Iron Maiden” ed “Empire Of The Clouds”, un singolone da quattro minuti e una suite con pianoforte da quasi venti, è abissale. Vedi tu, ce n’è per tutti i gusti.

Playlist: "Iron Maiden" / "Invaders" / "Run To The Hills" / "Powerslave" / "Alexander The Great" / "The Clansman" / "Empire Of The Clouds"

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Nettamente la fonte d’ispirazione più prolifica per il gruppo, la letteratura spunta più o meno in ogni dove, soprattutto verso la metà degli anni ‘80 - Piece Of Mind, del 1983, è senza dubbio il disco letterario per eccellenza all’interno del suo vasto repertorio. I Maiden hanno sempre voluto mettere in musica parte delle loro opere preferite: dal Fantasma Dell’Opera (il romanzo originale, il musical uscì solo diversi anni dopo la pubblicazione della canzone) al Signore Delle Mosche, anche in questo caso la gamma è ampia e comprende narrativa occidentale, asiatica, racconti, romanzi, poesie. Qualche chicca sparsa: “To Tame A Land”, da Piece Of Mind, è una canzone che parla di Dune, ma quando la band chiese a Frank Herbert il permesso di utilizzare il nome del romanzo per il titolo, l’ufficio stampa di questi rispose che “Herbert non apprezza la musica rock, tantomeno la musica rock estrema, in particolare gli Iron Maiden”. “Still Life”, sullo stesso disco, è invece un racconto lovecraftiano all’inizio del quale viene registrato un messaggio al contrario fintamente satanista, per sfottere i benpensanti statunitensi che da The Number Of The Beast tacciavano la band di adorare il demonio. Per la rubrica “onore italiano”, invece, “The Sign Of The Cross” (The X-Factor, 1995) è liberamente ispirata a Il Nome Della Rosa di Eco.

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Playlist: “Phantom Of The Opera” / “Murders In The Rue Morgue” / “Revelations” / “Still Life” / “Sun And Steel” / “To Tame A Land” / “Rime Of The Ancient Mariner” / “Stranger In A Strange Land” / “The Loneliness Of The Long Distance Runner” / “Lord Of The Flies” / “Sign Of The Cross” / “Brave New World”

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Per quanto affezionato a Lucifero e al mal de vivre, il metal è sempre stato anche un grande caleidoscopio di cultura pop, soprattutto nei suoi generi più classici (heavy, prog, power e thrash). Non poteva fare eccezione la produzione maideniana, che anzi mi stupisco oggi non conti ancora un brano dedicato a qualche serie originale di Netflix. “Where Eagles Dare” è l’immancabile rappresentante della cinematografia bellica, mentre “Bring Your Daughter” è un più insospettabile contributo per la colonna sonora di quella minchiata apocalittica che fu il quinto Nightmare On Elm Street, ma non mancano le serie TV Brit (“The Prisoner”) o il ripescaggio di horror di culto (“The Wicker Man”). In particolare, The Wicker Man sembra avere un grande ascendente sul mondo del metallo, tanto che persino i compianti Agalloch ne ripresero addirittura dei dialoghi all’interno dell’EP acustico The White. A ulteriore riprova del cambio di sensibilità della band nell’arco di questi quarant’anni, poi, c’è “Tears Of A Clown”, canzone dedicata a Robin Williams: nessuna ironia, nessuna moralizzazione, solo il grido disperato di chi deve indossare una maschera per lavoro.

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Playlist: “The Prisoner” / “Children Of The Damned”/ “Where Eagles Dare” / “Quest For Fire” / “Bring Your Daughter To The Slaughter” / “Man On The Edge” / “The Edge Of Darkness” / “The Wicker Man” / “Out Of The Silent Planet” / “Tears Of A Clown”

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Va bene l’impegno letterario, il nerdismo cinematografico, l’attento studio di battaglie e guerre mondiali, ma ogni tanto ci vuole qualcosa di diverso, di più epico, di più imprevedibile. E per quanto all’interno del gruppo ci sia sempre stato un regime a dir poco austero riguardo gli stupefacenti - “calvinista”, per usare le parole dello stesso Dickinson - qualche viaggione gli Iron Maiden se lo sono fatti, almeno musicale. "Strange World" è escapismo surrealista che non fosse per quanto appena detto sembrerebbe proprio figlio dell’LSD, e “The Number Of The Beast” è un incubo avuto da Harris che diede il via a tutta la mala parata degli Iron Maiden satanisti ripresa dall’immancabile Centro Culturale San Giorgio sempre nei nostri cuori. “Infinite Dreams” è una parte di un concept album estremamente onirico, Seventh Son Of A Seventh Son, in cui il protagonista non riesce a comprendere i suoi stessi poteri. “Fear Of The Dark” è l’inno per antonomasia dei Maiden che da 25 anni infiamma stadi e arene di tutto il mondo raccontando una passeggiata al parco in compagnia di oscure presenze, mentre “Futureal” è uno dei pezzi più brutti e banali dell’intera discografia, in cui la Vergine Di Ferro si interrogava sul proprio futuro trovando discutibili risposte su un campo di calcetto. Meno male che di lì a poco Steve Harris e soci hanno ritrovato la luce, e il viaggio successivo è la ben più piacevole “Dream Of Mirrors”, sorta di ballata downtempo vagamente retorica (come tutto l’album in cui è contenuta, Brave New World), ma soprattutto sarebbe arrivata di lì a poco Dance Of Death, titletrack dell’omonimo disco del 2003. Nove minuti e svanzica di baccanale con ninfe negromanti o qualsiasi cosa siano, senza alcun ritornello, in una spirale di tensione crescente che culmina con il protagonista che cerca di salvarsi la vita scappando da un ballo con la Morte.

Playlist: “Strange World” / “The Number Of The Beast” / “Infinite Dreams” / “Fear Of The Dark” / “Futureal” / “Dream Of Mirrors” / “Dance Of Death”

Più o meno qualsiasi canzone degli Iron Maiden potrebbe tenere banco in una discussione infinita, ma se avete domande, rivolgetevi alla mia amica Carlotta, di professione mignotta. La trovate in Acacia Avenue, numero 22.

Andrea è uno dei Lord di Aristocrazia Webzine.

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