Perché non mi piace Calcutta?
Foto via Bomba Dischi.

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Musica

Perché non mi piace Calcutta?

La risposta breve è che non sono più un adolescente, ma c'è dell'altro.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

Venerdì 25 maggio uscirà Evergreen , il nuovo album di Calcutta su Bomba Dischi. Per l'occasione, abbiamo pensato di dedicare una serie di articoli al cantautore di Latina. Qualche giorno fa abbiamo pubblicato "Perché mi piace così tanto Calcutta?". Ora, per bilanciare, l'opinione contraria.

Fondamentalmente io, a Noisey, non ci dovevo proprio lavorare. Quello che doveva succedere, una volta passati i primi sei mesi di prova, era che Noisey si rendesse conto che ero troppo anziano e spocchioso, e che io, forte di un’esperienza stimolante nell’editoria, trovassi il coraggio di seguire la mia vera strada, che mi avrebbe portato al successo mondiale su Netflix con villa a Los Angeles eccetera.

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Il motivo è che non sono per niente adatto a fare il critico musicale. Il mio motto è, parafrasando Voltaire: “anche se ho un’opinione contraria alla tua, darei la vita per non affrontare mai l’argomento”. Quindi capite bene che non mi trovo proprio a mio agio a scrivere questo articolo che dovrebbe spiegare perché non mi piace Calcutta.

Togliamo subito di mezzo le banalità: tra i miei album preferiti, quelli che fungono da canone di bellezza per quello che mi passa per il cervello, si trovano principalmente deliri da eroina di una quarantina di anni fa. Sono un boy scout del punk: non ho il coraggio di prendere i voti e piantarmi le spille da balia nelle guance, ma è quello il clima in cui mi sento più a mio agio e, dopo vent'anni di musica nelle orecchie, certe cose suonano semplicemente familiari, mentre altre mi fanno immediatamente storcere il naso. Insomma, ho dei gusti. In questa sede me ne vergogno, ma ce li ho.

Ora, messo in chiaro, perlomeno in senso lato, che la mia opinione non vale più della vostra e che questo articolo non serve a convincere nessuno, ma soltanto ad avere una visione più completa e sfaccettata dell’artista Edoardo D’Erme detto Calcutta, tuffiamoci come un sol uomo dove non si tocca e parliamo di quanto la sua musica mi dà fastidio.

Fondamentalmente, soprattutto quando si tratta di musica italiana, le persone che amano un artista lo fanno per tre motivi: si identificano nella sua poetica, vorrebbero identificarcisi (nel senso che l’ammirano e vorrebbero essere come lui/lei) oppure se ne innamorano. Della musica parleremo dopo. Ma io e il mio pessimismo cosmico rimarremmo abbagliati se indossassimo gli occhiali dalle lenti rosa di Edoardo, che sembra vedere il mondo come una grande casa di Hansel & Gretel, che magari ti fa male ma è comunque dolce e buona; non sono a mio agio a pensare alla mamma che mi mette in guardia dalla pornografia online, né trovo suggestivi o romantici o comici i riferimenti alla pizza, alle birre e a quella che fondamentalmente è la mia vita quotidiana. La mia vita quotidiana è molto poco romantica. Quando un mio amico disegna una svastica in centro a Bologna prima rido e poi gli dò uno scappellotto. Probabilmente finiamo per andare comunque a far festa, o continuiamo a bere su qualche marciapiede.

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I riferimenti pop-culturali non mi piacciono perché sono cresciuto programmato per disprezzare la TV d’intrattenimento. Ma soprattutto mi fanno imbestialire le canzoni d’amore, perché mi danno la sensazione di essere sempre menzogne. Odio sentire gli uomini che ritraggono donne senza nome e senza volto con immagini abbozzate, appuntate mentalmente durante il sesso o una litigata o una cena. Trovo la canzone d’amore, specialmente quella modesta e tenerona, un tentativo di manipolazione, di aggressione nei confronti dell’ascoltatore. Non solo vuoi farmi credere che tu abbia dei sentimenti molto profondi pur essendo un proverbiale ragazzo normale, ma vuoi farmi cadere in una trappola per cui un po’ tutto è sentimento profondo: è amore se mi piacciono i tuoi nei, se mi volti le spalle, se ti dico che mi sta sul cazzo qualcuno, se parliamo di Nino Frassica (ok, in questo caso è amore davvero). Ancora una volta, probabilmente ha ragione lui e io sono soltanto una persona molto triste e arida.

Dal punto di vista musicale, Calcutta mi è simpatico. Quando non esagera con le piacionerie e soprattutto evita i nonsense buffi (quel verso sulla Tachipirina ha su di me lo stesso effetto delle unghie di uno zombie che graffiano una lavagna ricoperta di vomito), il suo pop vecchio stile che ammicca di qua e di là, a volte ad outsider lo-fi, a volte a leggende della musica italiana, a volte direttamente a Grandi Autori tipo Roger Waters o Robert Wyatt. Odio “Gaetano” e “Frosinone”. Mi piacciono “Cosa mi manchi a fare” e “Pesto”. Nell’ultimo album, che sto ascoltando in anteprima, mi infastidisce particolarmente l’onnipresenza del pianoforte e preferisco i rari momenti in cui passa in secondo o ultimo piano (tipo “Orgasmo” o "Saliva", i cui testi però mi fanno digrignare i denti dal nervoso).

È facile fare la parodia di Calcutta, talmente facile che in tantissimi online fanno notare la somiglianza tra il testo di “Paracetamolo” e la “canzone indie senza talento” dello youtuber Mark The Hammer, “La scatola del cuore”, il cui testo è un cut-up senza senso di memi presi da internet. Ma del resto è molto facile anche fare la parodia di Iggy Pop o di Beethoven (uno è sempre a torso nudo e dice sempre “come on”, l’altro era sordo e sempre incazzato, soprattutto a cena). Calcutta e le sue canzoni, come tutta la musica di successo oggi, sono dei memi. C’è un livello di lettura più profondo in cui i nomi di città a caso, i riferimenti ai presentatori televisivi di una volta, i suoni un po’ casalinghi innestati su un impianto sanremese e i video con la saturazione vintage non importano: è il livello di lettura dell’adolescente che in queste canzoni si riconosce o da queste canzoni impara ad amare o semplicemente impara a memoria testi che gli o le danno uno spunto poetico finalmente extrascolastico. Ma io adolescente non lo sono più da circa dieci anni, e questo rapporto ce l’ho già avuto con altra musica.

Gran parte della produzione di Edoardo mi fa un po’ ridere, un po’ imbarazzare, un po’ arrabbiare e un pochino anche sorridere e canticchiare. Ma non vedo l’ora di mettere un punto fermo a questo articolo per poter premere stop su Evergreen e non pensarci più almeno per qualche giorno. Quella di Calcutta sarà un’estate grandiosa, che io passerò a cercare di evitare di parlarne quando tutti non vorranno fare altro.

Giacomo non ha assolutamente voglia di discutere di questo argomento, ma se vuoi farlo lo stesso almeno abbi la decenza di seguirlo su Instagram.

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