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Musica

I Sxrrxwland cantano storie di vampiri materialisti

Abbiamo parlato con il trio trap romano del nuovo disco, di problemi mentali e del capitalismo che li causa.
sorrowland vipra tremila osore

I Sxrrxwland (si legge Sorrowland) sono un trio romano di musica trap composto da Giovanni Vipra (prima voce), Gino Tremila (direttore artistico, seconda voce), Osore (produttore).

Il materialismo dei Sxrrxwland è venato di sconfitta, come una condanna dalla quale non ci si può smarcare. I Sxrrxwland sembrano essere il punto insieme di arrivo e di non ritorno della trap, intesa come musica che abbraccia il realismo capitalista: dalla loro terra futuribile, venata di dolore, i Sxrrxwland piangono sulle macerie di un capitalismo sfiancato, sono i portavoce della classe disagiata, “troppo ricca per rinunciare alle proprie aspirazioni, ma troppo povera per realizzarle”. Li ho intervistati.

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I Sxrrxwland presenteranno dal vivo il loro album Buone maniere per giovani predatori alla serata Asian Rave, organizzata da Asian Fake e Linoleum in collaborazione con Noisey al Rocket di Milano venerdì 26 ottobre. Per entrare in lista a prezzo ridotto registrati a questo link.

sxrrxwland buone maniere per giovani predatori

La copertina di Buone maniere per giovani predatori. Cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

Noisey: Buone maniere per giovani predatori, uscito per Asian Fake, è il vostro primo disco. Trovo che abbia una sensibilità pop molto spiccata. Siete soddisfatti del risultato finale?
Sxrrxwland: Sì. Con la nostra musica cerchiamo sempre di proporre qualcosa che sia ascoltabile o condivisibile, se non di facile ascolto. Cerchiamo di rendere complessità popolare: la comprensione delle nostre opere può avvenire su più livelli, ciascuno può recepirle fin dove la sua sensibilità riesce ad arrivare.

Il vostro pezzo preferito di questo disco?
Forse "Eli Lilly".

Mi fate lo spiegone?
Vipra: Un giorno ho scoperto questo nome, "Eli Lilly", che è un farmaco per la schizofrenia, e ho chiamato Gino dicendogli: facciamoci un pezzo sopra. Eli è un nome maschile che suona come un nome femminile, ed oltretutto è un nickname perfetto per Instagram: queste due cose insieme mi piacevano molto. Abbiamo costruito il pezzo intorno a questa metafora: le persone si ingeriscono l’una con l’altra come se fossero pillole. Le consumano in modo totalmente disinteressato. E quando una ragazza guarda il mio profilo Instagram, è perché è pronta a farsi ingoiare. Io parlo proprio di questo egotismo vuoto, senza senso, una cosa frustrante e squallida, che però c’è e non si può ignorare; e neanche demonizzare, perché entrano anche in gioco dei meccanismi neurologici. Non è che puoi dire: “che schifo, se mi faccio una sega vengo”. Sarà pure una cosa effimera, ma non per questo è meno reale, tangibile. Anche prendere un antidepressivo è una costruzione della scienza chimica, però l’effetto è concreto. Lo stesso vale per l’approvazione sociale, che è il motore della musica italiana: gli artisti parlano tutti del proprio cazzo. Quanti artisti in meno ci sarebbero, in Italia, se le pischelle lasciassero di meno i fidanzati?

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I Coma Cose cantano: “Musica italiana? Te la spiego: lei lo lascia, lui va in para”.
Pure Fabri Fibra lo dice in "Squallor": pensano di essere depressi ma li ha solo lasciati la fidanzata. Il punto è che quando si parla di certe cose, in generale, c’è una certa ombelicalità, un certo… ripiegarsi su sé stessi.

Quindi dici che parlare di depressione è, in un certo senso, una cosa solo speculare all’ostentazione morbosa della prima ondata di trap.
Sì, perché sempre di guardare il proprio cazzo si tratta. Noi cerchiamo di fare una cosa un po’ più complicata, proviamo a rendere le nostre esperienze personali dei paradigmi delle dinamiche umane. Il modo in cui le cose hanno una umanità, una vita, una caducità… è una cosa che ci ammazza.

Non ricordo dove ho letto: la tristezza è superficiale quando una parola giusta di qualcuno può bastare a salvarti.
Le persone confondono i concetti di “depressione” e “dinamica emotiva presa in modo tragico”. Essere depressi è un’altra cosa: significa non volersi alzare dal letto, non aver voglia di scrivere. Quando sei depresso, vuoi morire e basta.

La depressione ha più a che fare col realismo capitalista che non con una storia d’amore finita male.
Vipra: Sì. Il punto è che… quando il realismo capitalista mostra un limite, ti deprimi. Hai un’aspettativa, ti scontri con la realtà capitalistica e stai male. Noi siamo tutti nati negli anni Novanta e alla televisione ci dicevano costantemente che eravamo tutti speciali, ma non era vero un cazzo. Pensa i ragazzini del 2000 quanto sono facilitati in questo.

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Nascono disillusi in partenza.
Sì, ce l’hanno nel DNA la rassegnazione, ci sono immersi come noi ma in compenso lo sono da subito.

Noi siamo nati con la testa di fuori, poi siamo stati schiacciati sotto piano piano. Oggi le cose estetizzate sono più semplici, o comunque più vicine e raggiungibili: vivere con un io osservante sempre presente, che schiaccia like di continuo alle nostre auto-rappresentazioni, è molto facile. Vipra, come dici in "Facebook": “Ti senti famoso t’ha scritto una troia”.
Vipra: Ci tengo a specificare che quando dico troia non è un giudizio morale, sessista. È una fotografia di squallore x che ho scattato nel momento in cui mi sono reso conto che, per “fare musica seriamente”, mi sono lasciato alle spalle tantissime cose che prima, per me, avevano un valore. La verità è che le cose non resistono molto spesso ad un percorso così tortuoso e ricco di sacrifici come quello della musica. Quando te ne rendi conto, la reazione naturale è quella di dare validità a qualsiasi approvazione arrivi, da ovunque arrivi. Avrei potuto dire: “ti senti famoso e la tua fama è di cartone”, solo che la stessa immagine non sarebbe stata tanto forte. Tutto questo, la fama eccetera, è una specie di metadone.

E se vi chiedessi perché fate musica, allora? È il discorso del rimanere, del “lasciare un’impronta”?
Vipra: Mi piacerebbe lasciare un’impronta, certo. Però… la verità è che non potrei fare altro. Ci ho anche provato, eh, ma niente. Nonostante sia difficile e non ti dia alcuna certezza, so che non potrei fare altro. Ecco.
Tremila: Per quanto mi riguarda, la realtà è molto banale e semplice: fare musica è molto appagante. E, in generale, creare cose mi risolleva fisicamente e anche psicologicamente. Sento un sacco di endorfine nel corpo quando faccio qualcosa in un modo che mi piace e che funziona. È una cosa che mi placa un sacco di… boh.

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Demoni?
Tremila: No, pensieri estremamente dedalici che s’incastrano in delle cose lunghissime: quando creo delle cose e li incanalo bene, poi spariscono.

Allora qual è il problema? La paura della bomba, che sia quella atomica o quella del riscaldamento globale?
Vipra: Ogni secolo ha avuto la sua bomba, solo che prima magari si chiamava peste. Il problema, diceva un amico, non è guardare la vita quando sei vivo, ma guardarla nel suo complesso. Se pensi che la vita è soggetta ad una corsa verso l’entropia, allora… le cose diventano terrificanti. E io guardo sempre la vita da questa prospettiva totale. Aspetto la bomba in una giostra già di per sé terrificante.

La vostra musica dunque parla di rassegnazione, o forse più precisamente di assuefazione. Possiamo uscirne?
No. Dovremmo smettere di essere umani, svincolarci dalla nostra condizione. In ogni caso tristezza sarà sempre un business, come la morte. È vero che è facile “arrendersi”, ma la nostra tristezza non è arrendevole. Anche un soldato può continuare a combattere sapendo di star facendo una cosa inutile, senza per questo però rinunciare a farla.

Avete nominato la morte. Vi spaventa?
La morte mi spaventa, ma non abbastanza da essere disposto a rinunciare alla mia condizione di essere umano, caduco e mortale. Perché quello che c’è dall’altra parte è ancora peggio.

Porterete in giro dal vivo questo disco?
Vipra: Sì, venerdì suoniamo al Rocket di Milano, alla prima serata Asian Rave, e facciamo una prèmiere con tutti i pezzi del disco, alcuni come sono usciti e altri in versione diversa, da live. Questa estate siamo stati fermi a lavorare al disco, e siamo molto contenti di ritornare a suonare.
Tremila: Per me il live è una cosa estremamente terapeutica, una performance prima di tutto fisica. Mi purifica da un sacco di stress, e cose che mi stanno addosso. Non ho per niente ansia da prestazione, ma una volta sceso dal palco crollo a dormire. Comunque, cantare a dei volumi anche abbastanza alti delle nostre esperienze è molto bello.

Dove arriveranno i Sorrowland?
Non lo sappiamo, ma non abbiamo fretta. I nostri risultati dimostrano che possiamo prenderci il tempo necessario per fare quello che vogliamo con calma. Comunque stanno cominciando a fare i meme su di noi, da Diesagiowave a Hipster Democratici.

Allora siete quasi arrivati, dai. Ultima: se doveste dare una definizione di Sorrowland, quale sarebbe?
Tremila: Una tristezza che non si lamenta.

Matteo è su Instagram.

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