Carl Brave, la città che canta

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Musica

Carl Brave, la città che canta

Nel terzo episodio di Unlock The City, abbiamo riportato Carl Brave in alcuni dei luoghi fondamentali della sua carriera, dal campo di basket al palco.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

Unlock The City è un progetto realizzato da Noisey in collaborazione con Timberland per raccontare il rapporto tra la città e gli artisti che l'hanno esplorata e vissuta tramite la loro musica.

Carl Brave, insieme al resto della Love Gang 126, è arrivato ormai a rappresentare Roma per il pubblico italiano. Quello che racconta nelle sue canzoni, che si tratti di quelle cantate insieme al socio Franco126 in Polaroid o nel suo Notti Brave, è un romanticismo urbano, quotidiano, in cui la città gioca un ruolo fondamentale e in cui si inserisce in modo naturale, come se la voce del cantautore sgorgasse direttamente dalle fessure tra le pietre millenarie.

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Abbiamo incontrato Carl Brave a Milano, città che per lui ha rappresentato una svolta: il cambio di vita e di carriera, da giocatore professionista di pallacanestro a musicista e cantante. Una rampa di lancio che lo ha portato allo studio di registrazione, alla scoperta della musica elettronica e poi dell'ibrido tra rap e cantautorato che è diventato il suo marchio di fabbrica. Siamo stati al circolo Magnolia, sul palco dove per la prima volta si è reso conto di poter toccare il grande pubblico, e sul campetto da basket, per ricordare le sue radici.

Noisey: Quanto hanno influenzato la tua poetica le città in cui hai abitato?
Carl Brave: Molto. Prima di tutto c’è da dire che ho vissuto in tre città diverse: Roma, Milano e Berlino; e ognuna di queste città ha le sue sfumature. Roma è molto caotica, una città bipolare, in cui puoi stare tranquillo o fare il panico. Da là ho preso la poetica di strada, se vogliamo pure un po’ trash, oltre a tutti i miei ricordi d’infanzia.

Invece a Milano e Berlino ho conosciuto una nuova parte di me. Lì sono uscito di più, ho frequentato i locali, ho conosciuto gente nuova e ho visto nuove situazioni. E da lì ho preso spunti più musicali. Quindi si può dire che la poetica dei testi sia romana, mentre la musica l’ho “annusata” tra Milano e Berlino.

Che cosa ti ha portato a Milano e che impressione hai avuto della città?
Sono venuto a Milano perché avevo smesso di giocare a basket e volevo studiare musica. Volevo cambiare vita e imparare il mestiere del musicista. Facevo il rapper già da prima, ma non avevo mai toccato uno strumento o un programma per fare musica al computer: le prime lezioni di Ableton le ho prese da Ketama. Da lì ho imparato che con la musica puoi dire qualcosa, e mi è nata una passione pazzesca. È una cosa che è arrivata dal niente quando avevo 20 o 21 anni. Una nuova grandezza. E così sono venuto a Milano, al SAE Institute, per studiare Electronic Music Production. Milano mi ha aperto la mente, perché ho avuto la possibilità di vedere tantissimi concerti di artisti di livello mondiale. E poi mi piaceva andare in giro la notte, sui Navigli o a Parco Sempione, a trovare ispirazione per scrivere.

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Da giocatore facevo un altro tipo di vita, molto più quadrata. Le giornate erano scandite dagli allenamenti, bisognava andare a dormire presto, mangiare bene. Invece qua a Milano ho avuto la possibilità di essere più wild, di osare di più, di esplorare di più certi percorsi. Quindi è stato importante per conoscermi in altri modi.

Il paesaggio urbano nei tuoi testi è uno scenario molto naturale, uno sfondo che si nota a malapena ma che definisce senza ombra di dubbio la tua estetica. Il fatto di essere cresciuto in una città come Roma ti ha fornito una chiave per capire le altre città in cui hai vissuto?
Mi ha aiutato sicuramente a capire Milano. A Berlino invece mi sentivo molto più straniero, ma lì entra in gioco anche il problema della lingua. Roma secondo me è una città che ti prepara molto, perché, insomma, ti succede un po’ di tutto, dalle cose belle alle cose brutte. C’è una forte dimensione “di strada”.

Come hai iniziato a rappare?
Tutto è iniziato quando ho comprato un disco di Will Smith da un ambulante sulla spiaggia. Prima ascoltavo cose diverse, tipo i Clash. Ma da lì mi sono innamorato del rap e ho scoperto Tupac, Notorious B.I.G., gli Outkast, eccetera. Dopo un po’ ho sentito la necessità di scrivere anch’io e, vabbè, i primi testi sono terrificanti, speriamo che nessuno li legga mai. Però è importante iniziare perché inizi a capire, inizi a sfogarti, e piano piano impari a raccontare te stesso e gli altri.

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Come hai conosciuto il resto della Love Gang 126?
Ho iniziato con un altro gruppo chiamato Molto Peggio Crew, quando ero al liceo. Andava abbastanza bene, facevamo concerti e veniva anche tanta gente. Era musica totalmente diversa, nel senso che si trattava di rap old school, però a risentirla ne vado ancora fiero. Così ho conosciuto Drone, il producer della 126 che faceva le basi anche a noi. Tramite lui ho conosciuto Ketama, e loro due sono diventati i nostri producer. A quel punto siamo diventati amici di tutti gli altri: Franco, Solero, Ugo Borghetti, Asp126, un'amicizia rinforzata da varie vicissitudini, e abbiamo iniziato a collaborare. La Molto Peggio Crew ha chiuso i battenti dopo il primo disco, e così io mi sono accollato ai 126.

E come hai sviluppato lo stile di Polaroid con Franco?
Ci siamo arrivati dopo tante tante prove. Prima siamo passati per un disco trap che per fortuna non è mai uscito. A quel punto stava già emergendo quel tipo di testo, questo raccontare la nostra quotidianità, la nostra vita, solo che non si sposava bene con lo stile trap. È difficile cantare di queste tematiche leggere sopra la musica trap. A quei tempi io stavo registrando un disco solista, Fase REM. Ho ribeccato questo mio amico, che è anche uno dei nostri chitarristi, Massi, e abbiamo pensato di provare a fare qualcosa di acustico. Poi c’era una violoncellista, che era la mia vicina di casa: una volta l’ho fermata per strada e le ho detto “vieni a registrare”. E da lì è uscita “Solo Guai”. Ho chiesto il featuring a Franco e abbiamo visto che era molto forte, un pezzo semplice, che parlava di una Roma estiva. L’abbiamo buttato fuori subito, senza pensarci troppo, e ha avuto un grande riscontro. A quel punto ho detto: “Franchi’, famo sta roba, famola insieme”.

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Quando vi siete accorti che questo progetto stava funzionando, e cosa avete provato durante il tour che l’anno scorso vi ha effettivamente lanciati, sold out dopo sold out?
Devo dire che ce ne siamo accorti subito. Già da “Solo guai” e da “Sempre in due”. Facemmo un concerto a Roma nel solito posto minuscolo da 300 persone, e ne vennero 500. Duecento restarono fuori. A quel punto capimmo che qualcosa si era mosso. L’altro punto di svolta è stato il Mi Ami, perché lì abbiamo scoperto che piacevamo anche ai milanesi, cosa che ci aveva sempre fatto paura perché usavamo molto slang romano, in Polaroid in particolare. Quando abbiamo visto che anche i milanesi capivano questa poetica, è stato un bello shock positivo. Ci siamo trovati davanti questo mare di persone, in una città nuova, che cantava le nostre canzoni usando il nostro slang… quella sera abbiamo fatto diventare Milano un po' più romana.

E come è avvenuto il passaggio al disco solista, Notti Brave?
Viene dal mio bisogno di far uscire i pezzi. Io ho bisogno di scrivere, di buttare fuori, di lasciarmi alle spalle quello che scrivo. Passare a Notti Brave è stato facile, perché avevo già le canzoni pronte in testa, anzi, fra le mani. Io sono uno che lavora molto in ambito di produzione, è la mia cosa preferita e mi alleno tanto. Avevo tante basi non utilizzate che rischiavo di perdere, quindi le ho trasformate in canzoni per Notti Brave. Polaroid è fatto di soli strumenti acustici, mentre Notti Brave è un disco fatto con molte tastiere, synth, pianoforte. Ho cercato di dargli un’ottica più pop, più aperta a chiunque: c’è sempre Roma, ma c’è anche il resto. Poi è un disco solista per modo di dire, perché ci ho messo duemila featuring, tutti diversi: Fabri Fibra, Giorgio Poi, Emis Killa, Gemitaiz, Frah Quintale. Mi piace fare il playmaker della musica e tirare fuori i talenti diversi.

Il 3 ottobre i tre protagonisti di Unlock The City, Carl Brave, Rkomi e Coma Cose, saranno in concerto a Milano per un evento gratuito offerto da Timberland. Registrati sul sito per assicurarti di riuscire a entrare e ricevere in regalo una t-shirt realizzata da Timberland e Asian Fake, e se porti le scarpe giuste avrai anche la possibilità di farti un giro nel backstage.

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