L'ultima tentazione di Serpentwithfeet

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Musica

L'ultima tentazione di Serpentwithfeet

Abbiamo intervistato Josiah Wise, vitale punto di connessione tra identità LGBTQ, musica classica, liturgia e R&B.

Tutte le foto sono di Sam Clarke.

Durante il suo primo anno di università, Josiah Wise si vide costretto ad affrontare la prospettiva per cui, se avesse percorso la strada sbagliata, Dio non avrebbe più avuto uno sguardo benevolo su di lui. Crescendo, aveva frequentato una chiesa pentecostale nondenominazionale—ci andava fino a quattro volte la settimana—ma quando si trasferì a Philadelphia per studiare arte, decise di abbandonare quel particolare lato della sua routine. Una volta tornato a casa a Baltimore, in Maryand, per le vacanze invernali, dovette dare a sua madre una notizia-shock: non avrebbe preso parte alla funzione di fine anno.

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"Mi disse che, se non ci fossi stato a Capodanno, tutto il mio anno successivo sarebbe stato maledetto," mi racconta Wise, seduto di fronte a me in un bar etiope in un caldo pomeriggio d'agosto. "Ho pensato che fossero tutte stronzate… E se invece avesse avuto ragione?"

Wise, ventott'anni, parla con entusiasmo, buttando lì una frase dietro l'altra senza soluzione di continuità, anche quando affronta argomenti complessi come la solitudine, il suo cuore infranto e la sua identità. Ha tirato fuori quell'aneddoto perché, secondo lui, emblematico di come la sua formazione religiosa abbia alimentato alcune delle sue fisse più oscure. Le stesse che ora si è deciso ad esplorare a nome serpentwithfeet—un riferimento ad uno degli episodi più scuri della Bibbia, la caduta dell'uomo. Lasciando da parte la narrativa salvifica del cristianesimo, Wise sembra riconoscere la malinconia insita in qualsiasi tradizione religiosa occidentale. "Ho una leggera ossessione per le favole, e la Bibbia è una favola fantastica," mi dice. "E, come la grande maggioranza delle favole, anche la Bibbia è mostruosamente dark. Se non mangi la mela sbagliata può essere tutto a posto, ma fallo e resterai pietrificato."

Wise ha finalmente incanalato tutta questa materia oscura in un EP uscito ad agosto, blisters, al quale ha lavorato assieme al compositore sperimentale inglese the Haxan Cloak. Sono cinque pezzi fatti di strumenti classici e percussioni elettroniche capaci di sembrare, di volta in volta, grandosi, lividi, strazianti e pacifici. In mezzo a tutto questo dramma, la voce di Wise sta al centro di un metaforico palcoscenico, illuminata dal cerchio di un faro bianco; è straordinariamente emotiva e suadente nel modo in cui sussurra, gracida e geme a metà tra desiderio e angoscia. Dopotutto, la Bibbia è un libro pieno di morte, distruzione, caos, vendette e prostituzione. E allora in fondo ha senso che le canzoni di Wise sembrino al contempo raffinate e macchiate, costruite su dolcissimi archi appesantiti da una negatività latente. Un po' come il verso in cui "penance" tocca il suo climax: "Non c'è stima del male che ho commesso."

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È facile leggere queste preoccupazioni sul volto di Wise, seduto di fronte alla vetrina del bar, sia in senso figurato che letterale. Sulla sua fronte c'è un tatuaggio: "HEAVEN", in maiuscolo. Sulla sua tempia destra, un altr: "SUICIDE." I suoi capelli sono rasati in una strana forma circolare che ricorda più o meno quella di un monaco. Ogni dettaglio è quasi un souvenir del suo rapporto con la chiesa—un tributo alla gioia, al dolore e all'attrazione perversa nei confronti di un bello spettacolo. Anche le sue primissime canzoni—pubblicate su SoundCloud e oggi cancellate per motivi che Wise non riesce a esprimere chiaramente quando gliene parlo—erano composizioni fragili, leggere come piume, che affrontavano implicitamente le più grandi domande della vita: Chi sono? Qual è il mio posto nel mondo? Come posso fare ad andare avanti? "C'è stato un momento in cui mi sono reso conto che, se volevo continuare a vivere, avrei dovuto essere onesto con me stesso e toccare dei punti difficili," dice Wise, appoggiando le mani sul tavolo e fissandomi negli occhi.

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Da piccolo, Wise faceva parte del coro dei bambini della sua chiesa. Le prove erano almeno due sere a settimana. Di fronte a lui, ogni settimana, c'erano migliaia di persone. L'esperienza liturgica era una scossa continua, uno stimolo: sedeva in mezzo a queste folle, a cantare assieme a loro, assorbendo il potere di quelle voci in unisono, della strana mascherata di ogni domenica mattina popolata da famiglie con addosso i loro vestiti buoni.

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"Era praticamente l'apice della performance art, ancora prima che sapessi cosa fosse," dice. "La chiesa della mia comunità era così carismatica—era letteralmente lo spettacolo migliore che potessi desiderare. Per alcuni è andare a vedere Kanye, per altri il nuovo tour di Beyoncé. Per me è andare in chiesa. Un concerto ogni domenica."

Guardandosi indietro, Wise dice di non avere mai avuto una particolare fede negli aspetti più teologici della cristianità: "Non mi è mai importato troppo di Gesù. Dell'esibizione che è la messa, dello sfarzo, invece sì."

Wise fu particolarmente sorpreso nel rendersi conto di come la chiesa fosse uno spazio accogliente, almeno per quanto riguarda la sua sessualità. "Ho sempre saputo che essere gay e parte della chiesa non era ok. Ma non ricordo nessun riferimento esplicito alla cosa. C'erano un sacco di omosessuali in quella chiesa, me compreso. Per loro era ok che fossi una principessina. Non ho racconti terribili come molti altri hanno."

Spinto da sua madre, Wise iniziò a pensare di cantare anche fuori dalle mura della sua chiesa. Alle medie, fece un'audizione per il Maryland State Boys Choir. Venne preso, ma per un po' credette che non sarebbe stata una cosa duratura. "Inizialmente non mi piaceva molto stare lì," dice. "Ero in questo coro assieme a un botto di ragazzini bianchi totalmente diversi da me. Io volevo cantare pezzi di Usher!"

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Il natale successivo, il coro imparò "Carol of the Bells," che Wise conosceva perché aveva sentito in uno dei momenti più drammatici di Mamma ho perso l'aereo. Se ne innamorò. Il pezzo, scritto dall'ucraino Leontovyč, soddisfò un bisogno di magnificenza che aveva dentro dai tempi in cui cantava nel coro della sua chiesa. La voce umana può essere uno strumento decisamente potente, e Wise stava imparando a renderlo un'arma. Gli sembrava che un'educazione classica rendesse chi canta pienamente conscio delle proprie capacità, un senso di appartenenza a sé, il che è cruciale quando si tratta di toccare temi operatici come la morte e la distruzione. Non è proprio una coincidenza che gli stessi argomenti sarebbero diventati un'ossessione per Wise nella scrittura dei suoi pezzi.

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Più avanti, Wise si unì a un coro del suo liceo che partecipava attivamente a una serie di competizioni. Provava cinque volte a settimana ed era sempre in viaggio. Dopo quattro anni, che paragona a un "addestramento militare", si trasferì a Philadelphia per continuare a studiare canto classico all'università. Ebbe diverse difficoltà lungo la via, ma presto ebbe la realizzazione che avrebbe dato forma al suo futuro da artista. "Volevo diventare un cantante d'opera, era un mio sogno," dice. "Ma non ero il migliore. I miei insegnanti dicevano, 'Non prenderti male, fai quello che riesci a fare, ma finita la triennale non riuscirai a entrare in un Master. Sei bravo a fare R&B. Forse puoi trovare un'intersezione tra quella roba e la classica.'"

Per il saggio del suo ultimo anno, Wise scrisse delle parti per strumenti ad arco per accompagnare la sua performance vocale. Cantò brani di Čajkovskij e canzoni pop. L'ispirazione, dice, gli venne da Björk: aveva sentito dei suoi pezzi in una cassetta che suo fratello gli aveva registrato quando era piccolo, e iniziò a pensare alla sua sintesi tra musica pop e parti di archi come un modello a cui aspirare. Anche se descrive i sui tentativi usando l'aggettivo "terribili", quella fu la prima scintilla che avrebbe poi acceso il fuoco che è serpentwithfeet.

Pochi dei pezzi che Wise scrisse appena uscito dall'università sopravvivono oggi, ma quelli che ce l'hanno fatta dimostrano la qualità ammailatrice della sua voce. Che si concentri su una sola nota, che faccia riecheggiare le sue frasi come un mantra, o che si tuffi in strutture più complicate, riesce a creare una sorta di confidenza tra sé e l'ascoltatore. La sua è una voce di cui ti puoi fidare, anche se pone più domande di quante risposte riesce a dare—come spesso è nella vita.

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Alcuni cercano sicurezza nella religione, è il loro centro di gravità nei momenti di caos. Ma Wise non ha mai frequentato la chiesa per i suoi dogmi, e non crede che la vita sia semplice. Si è reso conto che gli esseri umani cercano in continuazione di sentirsi "affini a qualcosa più grande di loro," e ha lentamente imparato a gestire parte dell'incertezza e dello sconforto che sono parti fondamentali della scoperta di sé. La sua musica, conseguentemente, ha spesso orbitato attorno all'idea dell'oltre: oltre la propria esistenza, oltre la propria realtà.

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È difficile abbandonare vecchie abitudini e, anche se sono anni che Wise non va più in chiesa regolarmente, Dio è sempre rimasto alle sue spalle, pronto a riapparire. Quando Wise canta, "prendi questo corpo come se fosse tuo" su "flickering," è difficile non percepire la cosa come una preghiera, o un invito alla comunione. Wise estende lo stesso pensiero a un amante. "Sono le cose che sentivo crescendo," dice. "Mangiami. Prendimi. Lascia che ti circondi. Lascia che ti ricopra del mio amore. Vorrei calarmi su di te e scendere lungo la tua spina dorsale come una cascata. Mi sono reso conto che mi piace particolarmente schiacciare le persone e sentirmi schiacciato dalle cose." Wise ha sempre ammirato il modo in cui la musica sacra, e persino la Bibbia, parla del creatore—il modo in cui lo esalta e lo pone su un trono, chiedendo letteralmente ai fedeli di consumarlo. Su blisters, usa quella stessa lingua per sciogliere alcuni dei nodi più complessi che si sono creati nella sua vita, dando un significato ai momenti più insignificanti o ingrandendo l'importanza di quelli che possono cambiare il corso delle cose: questo, parlando di ogni situazione come una manifestazione del divino.

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Le sue canzoni non rendono solo la fraseologia cristiana sorprendentemente sessuale. Suggeriscono che il sesso stesso possa essere un atto sacro. Le connessioni romantiche sono sottili, leggere, come "un filo di ragnatela." Le labbra possono essere "acqua", e possono far esondare gli oceani. L'amore, come Dio, può spostare le montagne. I suoi giochi di parole non sono una risposta alle grandi domande che lo tormentano, ma gli offrono un modo per affrontare le certezze che non ha. Elevare questioni umane a un livello divino rende le sue difficoltà eterne, sante. Ogni momento viene permeato da un valore irremovibile.

"Mi piace pensare che la mia vita romantica—il sesso che faccio, gli appuntamenti a cui vado—sia sacra," dice Wise. "Penso che a volte, tra i gay, si creino situazioni tipo, 'Andiamo a farci una sega in bagno e non diamo alcun significato alla cosa.' Ma io non considero nulla come inerentemente frivolo. Il bacio che ti do è calcolato—ma comunque passionale. Tutti i ragazzi con cui sono stato… significano qualcosa per me. Mi piace pensare che tutto sia importante."

Un paio di giorni dopo il nostro incontro, mi rendo conto che Wise ha annunciato un concerto di presentazione di blisters alla San Damiano Mission, una chiesa cattolica di Greenpoint, a Brooklyn, costruita nel 1911 e recentemente resa un luogo atto ad accogliere gente del quartiere che "può sentirsi abbandonata, sola, o […] insoddisfatta dalla chiesa."

Ripenso a una cosa che Wise mi ha detto il pomeriggio che ci siamo incontrati: qualche mese fa è andato a messa, una cosa che non faceva da anni. Aveva paura, ma alla fine si è sentito come se fosse tornato a casa. Almeno, lo strano potere dell'esperienza gli è sembrato familiare. "Ero nervoso", mi aveva detto ridendo. "Non ero vestito da chiesa. Avevo le mie sopracciglia finte, tutto quanto. Ma nessuno mi ha guardato due volte. C'era una sorta di gravità—una coperta pesante fatta di energia. Mi ricordavo tutte le canzoni, ma me ne sono andato appena il coro ha finito di cantare."

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