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Música

Il futuro dell'umanità è il passato dei Gatekeeper

Intervista al duo di producer e curatori Gatekeeper, su futuro, passato, videogiochi e boy band.

Inizialmente i Gatekeeper sembravano una creatura totalmente retromaniaca: suonavano roba fatta di arpeggioni horror e beat quadrati, tra il Carpenter-revival e tutti i suoni sintetici nati—come loro—a Chicago nei primi anni Ottanta, cioè i Ministry periodo Twitch e i primi embrioni house. Poi è venuto fuori che più che una band vera e propria, Aaron David Ross e il compare Matt Arkell vedono Gatekeeper come un progetto multimediale sfaccettato, che assume forme diverse a secondo dei concetti che, di volta in volta, gli interessa sviluppare, proseguendo di fatto il loro lavoro di curatori di arte contemporanea anche nella musica. Di fondo resta un interesse per la riflessione sull'immagine e la tecnologia attraverso cui si riproduce, e il rapporto che l'immagine ha con il tempo e la fantasia. Sempre su questa linea si muove Exo, il loro primo vero e proprio LP, completato da un videogioco di pura esplorazione spaziale, che anche musicalmente abbandona la nostalgia dell'analogico per buttarsi nell'alta definizione, in un mondo virtuale iperrealistico. Un'estetica che paradossalmente riconduce a un'idea di fantascienza molto pomposa e luccicante che fa tanto anni Novanta, quindi di nuovo al collasso tra passato, futuro, l'idea che di quest'ultimo ci si può costruire e il modo in cui si riproduce.

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Ci è voluto parecchio perché arrivassero finalmente in Italia a suonare live, e quando finalmente si sono palesati a Milano (grazie alla provvidenziale S/V/N/), non mi sono fatto scappare l'opportunità di farci due chiacchiere, approfondendo anche altre loro uscite parallele come la "boy band ad alta definizione" #HDBOYZ.

VICE: Non avete fatto uscire ancora tanti dischi ma mi sembra che il vostro stile sia già molto cambiato. Nei primi EP sembravate inseguire un'estetica da VHS e retro sci-fi, mentre con Exo e il concept dedicato all’alta definizione sembra che abbiate guardato meno al passato.
Matt Arkell: In un certo senso abbiamo seguito l’evoluzione della tecnologia, anche se qualcuno ha cercato di liquidarlo come uno spostamento dal revival anni Ottanta a quello anni Novanta. 
Aaron Ross: Inizialmente per noi la musica era una sorta di macchina del tempo, con cui muoverci magari non in maniera troppo esplicita ma sempre in modo da evocare un certo senso di nostalgia. Exo è un tipo completamente diverso di macchina del tempo, evoca nostalgia più per il futuro che per il passato, magari per un’epoca che non c’è mai stata. È un concetto più ambiguo, ma ci serve a creare un mondo in cui possiamo immaginare quello che vogliamo.
Matt: Un mondo chiuso, di cui possiamo dettare le regole. Mettiamola così: è come se fossimo tornati al videonoleggio per riportare i vecchi horror e affittare Avatar o una roba del genere [ride].

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Questa ambiguità tra futuro e passato è molto interessante, è un sentimento tangibile e diffuso, direi. Come se qualcosa si fosse perso…
Matt: Sì, ci si sente come se tutto stesse accadendo nel presente; futuro e passato non sono più lontani.

Ma vi considerate futuristi, ad ogni modo?
Aaron: Direi di sì, non ho perso la speranza, ancora. Ma quello su cui stiamo lavorando ora è una specie di scontro tra musica medievale e barocca, da una parte, e roba super cyber-futuristica, da Mech giapponesi.
Matt: Sound design ad alta definizione insieme a liuti, archi, clavicembali…
Aaron: L’unico modo per sottolineare gli aspetti futuribili di quello che fai è evidenziare questo contrasto, in modo che elementi diversi si sovrappongano. In questo modo il passato acquista un sapore più arcaico, e gli elementi più avveniristici sanno davvero di futuro.

Ma diventa anche più evidente quanto l’idea di tempo passato-futuro stia collasssando.
Matt: Certo, sta sparendo.. ora con Internet puoi avere letteralmente a disposizione ogni epoca, tutta la cultura dell’umanità.
Aaron: Sicuramente la possibilità di avere accesso alla cultura e all’informazione ha distrutto l’idea di passato, ma non credo valga anche per il futuro. Sicuramente quell’approccio alla conoscenza ci ha regalato un modo veramente nuovo e incredibile di affrontare il futuro, ma rimane sempre qualcosa di incerto, a cui non abbiamo davvero accesso.

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Sembra anche venuta un po’ meno la tendenza a prevedere come si svilupperà la tecnologia. Il mondo della fiction è pieno di idee di futuro che si sono rivelate completamente sbagliate. In genere, al limite, si propende verso un futuro fatto di catastrofi naturali.
Matt: A me piace molto ogni tipo di narrativa distopica, è difficile non farsi affascinare da questo genere di paranoia sempre presente.
Aaron: Pensa ad esempio al fatto che molta gente, noi compresi, era carichissima per l’apocalisse del 2012, che non c’è stata. Tutti presi a fare del loro meglio prima che il mondo finisse.

Sembra quasi che la distopia abbia preso il posto dell’utopia, come condizione ideale che non si verificherà mai. 
Matt: E se si verificherà sarà sicuramente più graduale e impercettibile di quanto pensiamo. Insomma, il futuro non arriva mai di colpo, no? Probabilmente prima o poi arriveremo alla  singolarità tecnologica, ma ci vorrà molto tempo.
Aaron: Per il fatto che la nostra giornata dura 24 ore e non viviamo davvero alla velocità di internet, la nostra prospettiva può essere più diluita nel tempo, e certe cose rappresentano elementi normali della nostra vita. In questo momento sto fumando una sigaretta elettronica, lavoro in uno studio pieno di apparecchiature digitali… Non ci si rende mai conto di essere arrivati nel “futuro”.
Matt: Allo stesso tempo, la nostra generazione si rende conto del cambiamento avvenuto con l'organizzazione digitalizzata del tempo.

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E come pensate che queste tecnologie abbiano influenzato l’idea di identità? L’hanno distrutta?
Matt: Sì, ma hanno anche permesso la costruzione di nuove identità, al costo di parte dell’interazione umana: più si è connessi più si è isolati. Si vive seduti, come un pilota di jet, ma anche come bloccati su una sedia a rotelle.

In sostanza come un pilota di droni. Tornando alla musica: Exo ha avuto una ricezione molto strana, non è stato molto capito. Questo perché è un disco piuttosto strano… Molto kitsch, a me piace per quello.
Aaron: “Kitsch” è una parola che può significare molte cose, no? Credo che la gente si aspettasse qualcosa di molto diverso, e non sarebbe andata così se fosse stato il nostro primo lavoro. In un certo senso gli aspetti più kitsch sono parte di una nostra ricerca, ma non c’è ironia, non è uno scherzo. C’è dello humor, nella misura in cui ce n’è in tanta altra musica, solo meno nascosto. All’inizio usavamo tutti questi suoni orrorifici e drammatici, ma per noi era umoristico, come una parodia o un’esagerazione di quegli aspetti.
Matt: Stavolta abbiamo cercato di essere meno citazionisti e creare qualcosa di più unico. Ad esempio con l’uso degli effetti durante la produzione.

È proprio questo che fa strano: i suoni sono così esagerati che sembrano venire da una pubblicità, anzi la cosa che mi fanno venire in mente più spesso è il vecchio jingle/audio test del sistema THX
In coro: Esatto!
Matt: È il nostro suono preferito, e un po’ abbiamo cercato di omaggiarlo, come parte del discorso sull’HD.

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Cos’altro vi ispira, ultimamente?
Aaron: Be’, abbiamo uno spettro di influenze molto ampio, e cambiano sempre. Exo per noi è roba dell’anno scorso, ma direi che mentre lo stavamo producendo ci ha influenzato ascoltare tanta IDM…
Matt: Ma forse più roba visuale che musicale… 
Aaron: Sì, è vero. Però ho anche ascoltato molta jungle e breakbeat, e molta hard house. Abbiamo iniziato a distanziarci da tutta la house e italo disco a cui eravamo legati prima.
Matt: Soprattutto dalla scena dance di New York, che è molto chiusa e dogmatica, tutti sono fissati con gli strumenti analogici come se fosse una religione. Voglio dire, noi li adoriamo, ma vogliamo anche poter campionare da YouTube.
Aaron: Sì, abbiamo voluto un po’ reagire a questa tendenza. Appena ci siamo trasferiti a New York abbiamo notato che molta gente lì fa musica interessante, che ci piace molto, ma con quest’attitudine rigida con cui non ci troviamo affatto.

La IDM e la jungle sono state per un sacco di tempo un argomento tabù.
Matt: È vero, ma come lo era magari il synthpop minimale a metà anni Novanta, prima che arrivasse la electroclash. I primi album di Aphex Twin e degli Autechre sono i nostri preferiti. Le loro robe più recenti invece mi sembrano troppo accademiche, noiose.
Aaron: Comunque non mi interessa fare musica dance, in generale.
Matt: …Però gli piace la EDM!
Aaron: Sì, ma ovviamente non è qualcosa che suonerei, è più un interesse voyeuristico, una mia debolezza. [ride]
Matt: Una perversione.

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Così come la tua perversione per le boyband. Puoi parlarmi un po’ del progetto #HDBOYZ?
Aaron: È stato creato per una performance che avevamo fissato ancora prima di avere la band, a dire il vero. Il mio amico Ryder aveva scritto “#HDBOYZ” in un tweet, senza senso, e a me e altri amici piaceva molto quella frase, ne abbiamo parlato e cui abbiamo deciso di farla diventare un concept per una band vera e propria. Abbiamo scritto le canzoni, le ho prodotte, e insieme abbiamo creato le coreografie per lo show, e tutti gli effetti speciali video e fuochi d’artificio. Al tempo pensavamo davvero che saremmo andati avanti come boyband, ma una volta conclusa la prima performance è stato chiaro che non ce ne sarebbe stata un’altra. E non è stata nemmeno documentata granché, abbiamo solo un video in cui non si vede molto, ma se ne è parlato molto sul web e non ce lo aspettavamo. A quel punto abbiamo deciso che sarebbe stato più interessante lasciarlo così, non fornire altre informazioni e non dare un seguito. Tuttora le canzoni non sono uscite, e sono passati due anni. Non credo le pubblicheremo mai.

L’estetica da boyband è molto anni Novanta, ma ricordo che molte avevano uno stile particolarmente fantascientifico nei video. Specialmente i Backstreet Boys.
Aaron: A dire il vero, lo stesso mese che abbiamo lanciato gli #HDBOYZ, Lance Bass degli N’Sync ha lanciato la nuova boyband di cui è il produttore, lo strano tizio dietro le quinte. Non mi ricordo il nome, ma hanno pezzi in cui parlano di Facebook, video in cui ballano in stanze completamente bianche. Molto simile a quello che abbiamo fatto noi, testi pieni di riferimenti e battute su internet e simili. Chiaramente avevano molto più budget. Non credo che abbiano ingranato, però, mi sa che non sono piaciuti a nessuno.

È il classico esempio in cui qualcosa che nasce nell’arte contemporanea come commento o decostruzione di un fenomeno, magari esagerandolo, viene sorpassato da una manifestazione di quello stesso fenomeno.
Aaron: Credo che succeda sempre, solo non così in fretta di solito.

L’ultimo pezzo di Exo, "Encarta" è forse il più strano. Molta gente lo odia, lo trovano troppo pomposo, con tutti quei cori. Io lo trovo stupendo.
Matt: Be’, odieranno molto di più le nostre cose nuove, stiamo usando molti cori, e insistendo molto su quella atmosfera. Nella “storia” dell’album dovrebbe rappresentare una specie di distruzione finale.

Parliamo un po’ del videogioco, come è nato? Pensate ci sia spazio nel mercato per lavori come questo, in cui non c’è una vera e propria fine né un vero e proprio scopo?
Aaron: In realtà credo che Exo abbia uno scopo. Certo, non si vince e non si perde, ma c’è una storia. Quando ero più giovane i miei fratelli erano davvero appassionati di videogiochi, ma io preferivo esplorare le ambientazioni, puntare la camera in giro, guardare i dettagli, le architetture. Ho parlato di queste esperienze con Tabor Robak, che ha sviluppato il gioco, e ha capito cosa volevo esprimere. Abbiamo creato un gioco molto “pacifico”… Cioè, ci sono delle cose piuttosto drammatiche che accadono verso la fine, ma è per lo più esplorazione, scoperta. Non c’è una vera e propria ricompensa finale, si svolge più come un video musicale. Puoi gironzolare con la camera e guardare in giro, credo sia un approccio che richiede più arbitrio da parte dell’utente, che è completamente libero di approfondire o meno. È un modo di ricompensare chi ha voglia di giocare in questo modo. Tra le altre cose trovo che il gusto estetico di Tabor vada perfettamente d’accordo con la nostra musica ed è stato davvero eccitante vedere il gioco prendere vita.
Matt: Assolutamente, è fantastico.

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