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Selezioni naturali

Un pomeriggio con Morgan, Elio, Simona e le stelle del futuro alle audizioni milanesi di X-Factor.

Al Teatro Dal Verme ci sono migliaia di persone in fila. Anche l’ultima volta che sono venuto qui ho trovato la gente pronta a spingersi per non rimanere fuori, per Matteo Renzi in quel caso, ma ora è il turno di altre persone che vogliono diventare qualcuno grazie a un programma SKY. Sono le selezioni di X-Factor.

Davanti all’ingresso è possibile incontrare tutto lo scibile umano. Ci sono adolescenti, ventenni, i genitori di entrambi e quelli che potrebbero essere i loro genitori, ma concorrono contro.

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Prima di iniziare c’è il solito MC che deve scaldare il pubblico. Racconta storie sui “VIP”, si mette a ballare da solo e provoca le persone con una cadenza da door selection a un gay bar. “Se avete qualche problema venite pure da me,” urla indicando della gente. “Che tanto non ce ne frega niente." Poi una voce fuori campo riempie il teatro con degli ordini. “Ok, ragazzi, adesso dobbiamo registrare le vostre reazioni,” dice la voce. “È il vostro compito più importante oggi, quindi non sbagliate.” Inizia una delle cose più assurde a cui abbia mai assistito. La voce dice alla gente di prepararsi ad applaudire. Non c’è nulla sul palco, non sta accadendo niente. “Al mio tre cominciate ad applaudire come se aveste sentito una delle esibizioni migliori della vostra vita.” E allora la gente comincia un applauso fragoroso, oceanico. La tizia seduta accanto a me compie pure dei saltelli per quanto si eccita. Passano i minuti e la voce non interviene. Dura così a lungo che riesco a leggere un intero editoriale di Marco Travaglio sul mio telefono mentre migliaia di persone applaudono, che immagino essere la stessa cosa che visualizza Travaglio ogni volta che scrive.

Poi La Voce è soddisfatta, ma fa un’altra richiesta. “Ora dovete reagire come se sul palco fosse salito il peggior sfigato che abbiate mai visto. Voi lo odiate perché è un incapace che non c’entra nulla con la trasmissione. Dimostratemelo.” E la gente fa buuuh e fischia e scuote la testa disgustata e urla all’aria di andare via. Sono seduto in prima fila e il mio campo visivo è completamente occupato dal logo gigantesco di X-Factor che continua a pulsare e amplificare la sensazione di essere dentro una puntata di Black Mirror. Quella puntata di Black Mirror.

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La gente che si incazza con il vuoto digitale, gente che poi verrà sovrapposta in montaggio a cantanti che potrebbero essere loro piaciuti o meno. A Simona Ventura che fa una battuta. A un greatest hits di Auschwitz-Birkenau. A nessuno frega un cazzo di essere in pratica ridotti a una clip di Final Cut Pro da copia-incollare. Anzi la tizia di fianco a me si gira di scatto e mi guarda stranita; perché non partecipo? Poi arriva l’ordine di smettere e me lo chiede veramente. “Perché non hai partecipato anche tu?” mi dice. “Se poi mi tagliano dalla puntata mi incazzo con te.”

Torna la voce, ma questa volta per annunciare l’arrivo dei giudici. Per una trasmissione che non smette mai di auto-congratularsi per la propria “modernità” è piuttosto curioso vedere come dal vivo operi con gli stessi manierismi di un qualsiasi show da tv commerciale anni Ottanta. Esce del ghiaccio secco, escono i giudici da una voragine apertasi sul palco, e il pubblico esplode. Non avevo mai visto qualcuno applaudire un buco che espelle degli esseri umani, ma del resto non avevo neanche mai visto 2.000 persone alzarsi in piedi per congratularsi con l’anidride carbonica.

I giudici sono vestiti da gente che sulla carta d’identità ha insistito per far scrivere “artista”. In particolare Morgan, che vorrebbe apparire come un compositore barocco—completo pure di codino—ma che ormai da qualche anno sembra un extra del video di "Prince Charming" che non trova più i vestiti per cambiarsi. È anche uno dei giudici del contest freestyle MTV Spit, anche se ormai è impossibile capire cosa stia cercando di dire. Si muove a scatti, i suoi pensieri vanno spesso in buffering e quando riprendono mancano pezzi fondamentali; il più delle volte l’effetto di ascoltare Morgan non è dissimile da quello di qualcuno che vuole vedere un film in Blu-Ray facendoselo faxare dalle Filippine.

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Arrivano i cantanti. La prima è una ragazza di 19 anni. Indossa jeans rotti e una vecchia t-shirt; per tutto il tempo si stringe il braccio destro con la mano per la tensione. È imbarazzata e nervosa, come chiunque sarebbe davanti a telecamere e pubblico, ma la gente sugli spalti ride e la schernisce perché non parla come un’annunciatrice RAI. A X-Factor sei ridicolo se non sei sicuro di te stesso come un professionista televisivo, se le aspettative che abbiamo ogni volta che accendiamo la TV non vengono rispettate dalle persone che pretendono di occuparla.

Quando passano anche gli altri capisci come la narrativa di X-Factor sia piuttosto semplice e prevedibile. Passano velocemente ragazzi giovani, simpatici e di bell’aspetto. A una ragazza con tacchi a spillo e minigonna chiedono come mai sia qui. “X-Factor è l’unico modo per diventare famosi e farsi conoscere,” risponde citando uno dei passaggi più commoventi dell’opera di Martin Luther King. Passa, come anche tutte le altre persone che rispondono la medesima cosa. Simona Ventura è contenta. “Cerchiamo proprio persone sicure come te, non è importante solo una bella voce, ma soprattutto il carisma e il look.” Ma sono importanti anche i casi umani. I giudici hanno tutti schede dettagliate sui concorrenti e via auricolare hanno gli autori che consigliano loro come pungolare chi sta sul palco. C’è un tizio poco convinto e sanno già come farlo confessare che sono stati i genitori a costringerlo a esibirsi. Ma data la sua “onestà” viene salvato. Applausi del pubblico che apprezza i tre atti del personaggio. Dello stesso filone fanno parte i molti che dimenticano le parole delle canzoni, o le cantano in modo orribile tra i fischi, per poi redimersi fra le standing ovation con le versioni a cappella non previste.

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Ma ci sono anche molte persone che non comprendono la loro ridicolaggine. Gli autori li individuano subito e li mandano al macello fra le pernacchie della gente sugli spalti e le risate della Banda dei Quattro. La loro colpa è quella di essere malvestiti, goffi, brutti. La gente ride perché qualcuno di brutto e malvestito e goffo non può andare in televisione. Noi lo sappiamo, ma quelli sul palco no. Fa ridere.

X-Factor ha però una sua utilità. Il talento puro è noioso. Ci vogliono anni per affinarlo, bisogna fare sacrifici, avere fortuna e mandare a fanculo qualcuno per ottenere qualcosa. Il talento non abbassa la testa e non ringrazia quattro giudici con un ghigno da self-important cicatrizzato in modo permanente sul viso. L’eliminazione del talento, del lavoro che ti emancipa da chi non ne ha abbastanza come te ci ha lasciato con la mediocrità come nuovo paradigma del meglio che abbiamo a disposizione. Ma non una mediocrità qualunque. Ci vuole il mediocre che riesce a rialzare la testa e a dimostrarci che abbiamo fatto bene a non scaraventarlo da una montagna greca mentre era in fasce. Siamo contenti quando riesce a ribaltare le nostre aspettative. Ci fa riflettere sulla nostra vita. Ci ispira a fare meglio. Applaudiamo per loro, facciamo il tifo per loro, e se ballano e canticchiano in modo abbastanza soddisfacente gli permettiamo anche di fare spot pubblicitari per i provider di telefonia. E senza il mediocre che fa da fondo del barile l’unico altro sistema di riferimento che abbiamo al momento è il ridicolo. Non è un caso che le uniche persone che diventano popolari tramite internet e video virali ora siano proprio in queste due categorie. I personaggi mediocri e i casi umani ridicoli che ci fanno ridere perché non hanno abbastanza autocoscienza. X-Factor ha la capacità di avere entrambe le cose.

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