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Musica

Jerry Calà, l'ultimo vero punk italiano

La sua attitudine ha trasformato Jerry in un vero e proprio idolo punk, tanto che i veri punk lo chiamavano al telefono dopo i concerti.

"I tuoi capelli unti sono come mortadelle" (Joe Lurido)

Ragazzi miei, anche quest’estate volge al termine e sembra volata via, ahimè, proprio come la sabbia fra le mani. Un'estate che, senza dubbio, è stata caratterizzata da una serie di mischiozzi e di controsensi stilistici inquietanti che in qualche modo sigillano definitivamente un’era. Chiappe al vento mai tanto esposte, in una dose superiore allo storico delle estati, ma nello stesso tempo vige la regola "annusare e basta", l’immagine dell’amore è definita da due persone che siedono a un tavolo guardandosi i telefonini anziché negli occhi in uno spontaneo slancio no future, una certa predilezione per i grassi in cucina o all’opposto, perfettamente speculare, per le diete vegan e bio: in generale basta che la regola sia L'Estremo. E appunto, come scrivevo nel mio articolo sulle feste patronali, la fa da padrone uno schiamazzo musicale che missa cose inconciliabili, a patto che siano di facile presa nervosa (che sia un wobble insensato o un ritornello melodico).

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Insomma, chiamerei questo fenomeno il punk della Vita Smeralda: vivere sopra le proprie possibilità, e nel frattempo covare un nichilismo senza speranza della serie “happy to have and not to have not,” come diceva uno fra i primi profeti dell’incontro fra yuppies e borchiati. Ma mentre John Lydon in Inghilterra si viveva gli anni merdosi della Thatcher volgendo una situazione penosa a suo favore, qui in Italia musicalmente non abbiamo mai avuto, spiace dirlo, un personaggio alla sua altezza. O forse sì: il suo nome, udite udite, potrebbe essere JERRY CALÀ.

Voi mi direte: ma Jerry Calà quello delle commedie comiche anni Ottanta? Quello che faceva lo yuppie? E poi non era un attore? Che ci azzecca? Eh, cari miei, lasciate a casa i pregiudizi, perché invece ci azzecca eccome: la sua attitudine potrebbe trasformarlo nel John Lydon di casa nostra, se non addirittura in una versione all’Italiana del suo compare bassista dei Pistols, ovviamente con tutti i nostri vuoti vizi italiani (

Sid Calà Vicious

insomma). Infatti, il sessantenne Lydon ha un passato da investitore immobiliare a Los Angeles, con conseguenti soldi a palate, nello stesso periodo in cui Calà traduceva in pellicola gli anni Ottanta dell’edonismo senza limiti, gonfiando giocoforza il proprio portafogli.

Lydon, dopo questo fortunato exploit ha lentamente disceso il monte. Negli ultimi anni ha partecipato a reality discutibili e fatto diverse marchette, oltre ad aver intensificato le sue prestazioni attoriali prendendo parte, tra le altre cose, a pubblicità inverosimili per giungere ai suoi sacrosanti scopi (ovviamente riesumare i PIL, con risultati alterni).

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Pure il nostro Jerry ha da poco spento sessantacinque candeline e se ne va in giro con uno spettacolo opinabile per riesumare anche lui anni d’oro che non torneranno manco per scherzo. Addirittura, è passato dall'essere cantante occasionale a performer a tutto tondo: in pratica riesegue dal vivo tutte le colonne sonore dei suoi film di cassetta—principalmente le grandi hit del periodo Ottanta—davanti a platee da tutto esaurito di gente impellicciata anche d’estate tra Porto Cervo, Forte dei marmi e via discorrendo. La questione punk è che il nostro non sa cosa voglia dire il bel canto e quindi in qualche modo massacra, oltre alle sette note, anche la sua memoria, com’è giusto che sia. E in un certo senso è proprio questo il motivo per cui la gente lo va a vedere.

Buttando letteralmente tutto in vacca, Jerry sigla una vittoria totale anche nel perdere clamorosamente—almeno nel cinema, dove oramai è un reietto completo. Anzi, riciclandosi come cantante ed entertainer pare che si sia costruito una carriera parallela e cocciutissima (obiettivamente il nostro Jerry non ha intenzione di mollare nemmeno se gli mancano le idee, in questo non è diverso… Che so… Dai GBH che portano in giro i loro soliti show, anche se oramai vanno a regime dialisi. Se non è punk questo…). La cosa interessante è che il nostro attira un bel po’ di giovani, magari per i motivi sbagliati, come d’altronde fa anche il punk. Gallina “vecchia” fa sempre buon brodo.

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E allora che musica sia. A prescindere dai paragoni scomodi sui quali si può tranquillamente discutere, la storia che lega il nome di Jerry Calà al punk italiano risale al 1987. Sempre sensibile alle tematiche balneari, il nostro Jerry fu protagonista di una serie TV chiamata Professione Vacanze in cui impersonava un animatore in un villaggio turistico in crisi, catturando gli umori del periodo e caratterizzando subito (come da tradizione del nostro) la figura emergente del momento (ricordiamo suoi precedenti illustri ne Il Ragazzo del Pony Express, nello scapolo impunito di Vado a Vivere da Solo e via discorrendo).

Sennonché ad un certo punto a rovinare l’armonia del villaggio arriva una masnada di punk agguerritissimi che, a furia di atti vandalici, occupano il posto senza se e senza ma. A quel punto Jerry deve trovare un modo per tenerli a bada ed ecco qui l’idea geniale che segnerà un’era: si fingerà punkrocker truccandosi di tutto punto, cresta inclusa, ed esibendosi in un concerto per sola voce, chitarra distorta scordata e ampli settato rigorosamente sulle medio alte, con grande spazio alle smerdate soniche con la leva. Nasce JOE LURIDO. Ovviamente straapplaudito dai punks in questione che lo idolatreranno fino a che, riconosciuto, non sarà quasi linciato.

L’impatto di questa emanazione di Jerry sull’immaginario punk anni Novanta sarà devastante: per il piglio prettamente demenziale, il testo e la musica di “Pattini e ti Spettini” sono figli dei

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Sorella Maldestra

più che degli Skiantos, con una zoraggine che porta direttamente a quelli che saranno gli anni del grunge. Perdipiù nel testo la confusione totale fra dark, punk e skater lo rende subito un classico del sincretismo che verrà: tanto che molti dei gruppi punk dell’epoca impararono a suonare proprio con “Pattini e ti Spettini” (fra gli insospettabili, alcuni membri degli Assholes… Ebbene sì).

A parte questo, il nostro eroe ha sempre lanciato messaggi chiarissimi rispetto al suo amore per la materia. Principalmente nel film cult I Fichissimi, una sorta di Warriors all'italiana nel quale Jerry fronteggia Abatantuono, il capo della banda rivale di teppisti: un film tutto droga, metropolitane, periferie cupe e slang a volte incomprensibile, che è a tutti gli effetti una commedia punk italiana. Tanto che mentre Jerry ascolta il walkman dimenandosi in metro esclama “come mi acchiappano i Sex Pistola!”.

Seguono altre citazioni fra le quali quella tributo agli Skiantos di “Mi Piaccion le Sbarbine”: si potrebbe obiettare che Jerry lo faccia solo per attirare fette di giovanilismo, ma già dai tempi dei Gatti di Vicolo Miracoli dava segni di squilibrio. Nel film Una Vacanza Bestiale, finisce a guidare un tassì con una bella cresta moicana, citazione ovvia di Taxi Driver, ma ibridiata evidentemente con le “avanguardie storiche”. Negli stessi singoli dei Gatti di Vicolo Miracoli, intrisi di post-beat (Jerry ha fra i suoi miti assoluti Celentano e suonava in un gruppo beat di Verona, i Pick Ups, che finirono anche fra le pagine di Qui Giovani godendo i loro quindici minuti di notorietà) e di “disco rock demenziale” anche qui non lontana dai ritmi di “This Is Not a Love Song”, il nostro inanella una serie di slogan con attitudine tipica del punk italiano (pensiamo ai Decibel o a Ivan Cattaneo, famosi per l’utilizzo di un linguaggio mutuato dalla pubblicità e dalle parole anglosassoni) “io ti spacco il Flipper sulla testa e ti spedisco a Bergamo in tassì” è la frase contenuta in "Discogatto" che non ha fatto dormire generazioni nella sua lucida follia luddista e che consegna Jerry alla storia come il “non cantante”, il performer scatenato fuori dal coro e dalle regole.

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Per non parlare dell’ostinato di "Capito?", in cui appunto, non fa altro che pronunciare la parola “capito” come un ritardato, manco fosse Paska: insomma il nostro non si risparmia, tanto che nella sua comicità la musica è onnipresente e sempre legata a un atteggiamento della serie “non mi frega un cazzo”. Nella storica pellicola “Vacanze di Natale” impersona perciò un pianista di pianobar che pensa a tutto tranne che a suonare bene e cantare decentemente, guidato in questo dallo slogan punk” non sono bello ma piaccio”, ed ho detto tutto. In "Vado a vivere da solo" poi c’è un altro mito ineguagliabile, in altre parole la tazza punk. Si insomma la tazza del cesso che quando ti ci siedi per rilasciare inevitabilmente rumori molesti attiva la musica di un juke box collegato elettronicamente da un semplice circuito on- off. Un rimedio da autodidatta musicale, quale il nostro confessa di essere, cosa che lo mette sul piano dei Ramones del prendi, suona, e quel che esce esce.

Il linguaggio comico di Calà poi è prettamente sonoro, come se insomma campionasse delle parole a caso che non fanno ridere per storpiarne il suono e renderle in questo modo comiche, anche se non vogliono dire un cazzo. Un esempio micidiale è in tutto il film

Bomber

, quando tipo viene colpito da una secchiata di acqua fredda ed esclama

"AAH SCIAQUAFRESH”

citando una pubblicità d’epoca in maniera tanto decontestualizzata che un ragazzo di oggi potrebbe ridere (se ride) solo per il modo in cui viene pronunciata, smontando così il meccanismo réclame/merce, con un détournement sbeffeggiante. La stessa “Libidine coi Fiocchi” è una battuta che si regge solo per la mimica vocale, per non parlare del campionamento comico e cantato lì per lì di

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“è tanto che aspettavo un’occasione così”

, tratto sempre da una pubblicità d’epoca della Opel che caratterizza l’altra epopea cineestiva di

Rimini Rimini

.

E poi ovviamente l’italo disco. Ma quella appunto dell’Italian Records dell’ultimo periodo, non solo per i suoni ma proprio per attitudine: sberleffo per fare i soldi, anello mancante fra il punk irriverente dei due-accordi-due e lo yuppismo che vuole successo ora e subito. Da qui la trasversalità del personaggio che unisce non solo grandi e piccini, ma anche viveur e weird scoppiati col crestino. Anzi, in un certo senso si erge pure a criptico paladino della new wave esibendo un Juno 70 della Roland in Abbronzatissimi del 1991, dal quale escono basi preregistrate in un assoluto cortocircuito synth-punk, anche se da quella macchina ottenere questo è impossibile (Martin Rev ha tentato di fare una cosa simile con l’album dei Suicide American Supreme, ma forse a Jerry la cosa è venuta meglio).

A differenza del suo collega Umberto Smaila, compositore preparato e forse per questo completamente a suo agio nell’epica autoreferenziale dei club notturni pieni di sfattume cui aderisce, il nostro amico Jerry mantiene quel piede in due scarpe che gli permette anche di prendere le distanze e autoprodursi in totale DIY, senza farsi schiacciare dall’industria, e di girare un assoluto capolavoro dell’assurdo quale Pipì Room, un film cult destinato solo alla televisione per ovvie ragioni: trattasi di un’opera girata tutta nei cessi delle discoteche, tirando fuori quadretti indigesti di sesso, droga e compagnia bella, insomma un film come un album degli Exploited: Sex and Violence versione club—e ovviamente alte dosi di cattivo gusto—uno spettacolo dei GWAR patinato e senza costumi, un “Atrocity Exhibition” cocainomane in cui non si ride, ma si rimane completamente impietriti dal degrado umano che, purtroppo, esiste veramente.

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Ma il mondo di Calà non è solo iperrealista, è anche basato sull’eccezione, succedono cose mai viste, al limite del dada: nello sfortunato sequel di Vado a Vivere da Solo (ovvero il prevedibile Torno a Vivere da Solo), Enzo Iacchetti impersona un gay che, come in una specie di redenzione per salvare generi e cavoli, si mette insieme a un trans e i ragazzini pensano alla fica tutto il tempo invece che a giocare. Insomma cose belle, manco fossimo nell’immaginario dei Mr Bungle.

Tornando alle capacità testuali / vocali del nostro, forse il più grande capolavoro nichilista di Calà è l’interpretazione di Parola, ovvero la spalla muta di Lino Banfi in Al bar Dello Sport. In questo film Jerry non pronuncia neanche una sillaba, mima solo in maniera straniante qualcosa che non si sarebbe capito neanche se avesse parlato (appunto, le sue battute). Lo vediamo però mimare un Toto Cutugno d’annata, “L’Italiano”, phon in mano a mo' di microfono, prima di sputtanarsi i soldi vinti al Totocalcio in un atto (appunto) dissacrante nei confronti della canzone-manifesto dell’Italia nazionalpopolare che si rivendica una qualsivoglia etica. Tant’è che il nostro, dopo un po’ di tempo sarà diretto da uno fra i registi più anarchici dello stivale, in altre parole Marco Ferreri: quest’ultimo, dopo averlo “scoperto” durante le sue notti insonni a fare zapping con la tv, lo fa recitare da protagonista in Diario di un Vizio nella parte (ovviamente) di un disturbato.

Nonostante la stampa abbia amplificato lo sdoganamento di Calà alle nuove generazioni dovuto alla sua comparsata hip hop nel programma Sorci Verdi, voluta fortemente da J-Ax, il nostro non ne aveva assolutamente bisogno. Lo ribadiamo: il suo posto è fra i punks, non fra i rappettari. Infatti, addirittura fra le pagine del quotidiano satirico punk Hardcorella Duemila si parla di una denuncia da parte dell’attore ai danni di tutta la comunità hardcore-punk a causa delle chiamate anonime nel cuore della notte e richieste di saluti da parte di gente ai festival di genere.

Esiste in effetti una pagina facebook a riguardo ed è tutto verissimo, tanto che perfino il nostro Birsa può testimoniare l’esasperazione di Jerry dall’altra parte della cornetta di fronte a tanto affetto (pare che ad un certo punto l'unico modo per farsi rispondere fosse chiamare col numero criptato e far sentire a Jerry la voce di una donna), che solo un’icona genuina può suscitare. Ma gli perdoniamo questa debolezza: d’altronde il suo libro autobiografico uscito lo scorso aprile, Una Vita da Libidine, sembra essere uno dei più letti dell’estate. Si fa mandare addirittura i selfie della gente che lo legge al mare, un po’ come il nostro Mattioli con Superonda. Non approfondiamo però chi si è ispirato a chi, prendiamo solo in considerazione l’aspetto popolar/punk/spontaneista della faccenda (Valerione, secondo me Jerry si è pure comprato il tuo libro).

Non sappiamo però cosa aspettarci dal futuro: il modello Calà “mix appeal” che è tanto in voga ci porterà alla rovina definitiva o in paradiso? Tutto sommato, a scanso equivoci, ci risponde lui stesso: “Gli anni Ottanta erano gli anni del rischio, anni in cui ci si buttava in imprese folli. Gli Yuppies ad esempio erano dei cazzoni, ma avevano voglia di fare. Credo che oggi i ragazzi siano troppo viziati, annoiati. Hanno tutto. Quando ero giovane io le cose ce le andavamo a prendere con le unghie e con i denti perché avevamo fame”. Capito? Altro che vita smeralda. Ma se “There’s no authority but yourself”, sarà comunque libidine coi fiocchi.

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