La promessa di "Io centro con i missili" di Pop X si è avverata
Tutte le immagini sono screenshot dal video di "Io centro con i missili".

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Musica

La promessa di "Io centro con i missili" di Pop X si è avverata

Ora che ha raggiunto un milione di views, "Io centro con i missili" può splendere nel tempo infinito per sempre come simbolo di un artista unico.

Ieri sera Pop X ha condiviso un post su Facebook con cui annunciava che "Io centro con i missili", probabilmente la sua canzone più famosa, ha raggiunto un milione di visualizzazioni. Lo definisce un "traguardo ridicolo ma divertente", ed è effettivamente così—ridicolo, dico, "oggi che ogni cosa viene misurata in base alla popolarità online". Ma non posso negare che mi sia salito un leggero magone positivo a leggere le parole di Davide, che trovate qua.

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Il suo è un ricordo un po' scalcagnato ma sentito (entrambi aggettivi adatti a descrivere bene il modo in cui scrive i suoi testi) di un tempo in cui studiava e non gli importava di niente, in cui c'aveva vent'anni e componeva d'estate, mentre studiava al conservatorio di Milano. C'è anche dentro un tocco di monelleria infantile ("quell’altro appartamento di viale Doria ove lanciavo gusci di uova e spazzatura dal tetto del sesto piano sul tetto del palazzo limitrofo") e uno di carnalità a casaccio ("quand'anche i merli e le studentesse più pudìche immolavano a nudo i propri fuorvianti petti d’acciaio e metilene"), entrambe caratteristiche che è facile ritrovare nella sua musica. Sembra quasi di stare di fronte alla bozza di quello che potrebbe essere un suo testo, una serie di memorie che—filtrate dalla sua scrittura—potrebbero fluttuare in un tempo infinito per sempre, disordinate come le stelle nello spazio.

Per quanto l'atemporalità sia una parte fondamentale del perché le cose di Pop X sono evocative, "Io centro con i missili" sta saldamente nel suo passato. Anzi, azzarderei che è l'esplosione all'origine del suo universo. La caricò sul suo canale Superblutone il 6 giugno 2009, in una versione differente da quella che stava su una delle sue migliori collezioni di brani, quell'Abete di pile in free download caricato su un sito bellissimo estetica web 1.0 oggi svanito e magari visitabile solo grazie alla cache a macchie della Internet Wayback Machine—se solo qualcuno si ricordasse l'URL esatto. Quello con la copertina azzurra e la facciona del vecchio amico Walter sparaflashata nella fronte come se fosse depositaria di una saggezza invitante e pacifica. Fu quella che scaricai, chissà quando, un giorno di tanti anni fa, dopo aver letto il nome "Pop X" da qualche parte sull'internet, chissà dove.

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La copertina di Abete di pile, edizione 2009.

Chi si innamora di un album spesso considera il primo brano del suddetto come un primo bacio, quello in cui non sai bene come mettere le braccia attorno all'altra persona e capisci per la prima volta che il modo in cui muove la lingua ti titilla tutto il corazón. "Io centro con i missili" questo faceva. Introduceva alla perfezione i temi e i suoni di Abete di pile, un album fatto a macchie in cui futuro e passato si spiaccicano in un presente fantasmagorico in cui convivono macchine coscienti sorprese della loro esistenza ("Sono robot") e vecchi in campagna pronti a morire ("Anziani"), aghi nella pelle che lacerano la fantasia ("Drogata schifosa") e favole del buongiorno della tradizione italiana rattoppate in digitale (la bellissima cover de "La casa di Hilde" di De Gregori).

"Io centro con i missili" conteneva tutto ciò che l'avrebbe seguita narrando la storia incompleta di un uomo, o una creatura, o una donna, che si fa esplodere delle cose sotto o dentro per raggiungere il cielo per capire da dove viene, e anche sé stesso, ma mica ce la fa. Perché ci arriva, là sopra, e si rende conto di essere inutile—e pure irraggiungibile, ormai troppo lontano perché qualcuno possa venire a riprenderselo. Una storia di una malinconia clamorosa, ma appoggiata su una composizione turbopop alienante e sbagliata, capace di evocare contemporaneamente lo spirito della grande italodance degli anni Novanta e quello del prog-pop d'autore di scuola Battiato, e di farli incontrare, e apprezzare l'un l'altro, e limonare peso.

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A tutto questo si aggiungeva una sensibilità estetica che dieci anni fa, in Italia, solo pochi avevano concepito come il futuro—anche provvisorio, ma sempre futuro—dell'espressione visiva. Il mondo di Pop X era disordinato e glitchato, sfocato e geometrico. Nel video di "Io centro con i missili" il battere della cassa funzionava come chiave che apriva e chiudeva loop ipnotici, contrapposizioni violente, attacchi grotteschi e gioiosi alla quiete e alle aspettative dell'ascoltatore. Era post-internet della seconda ora, mezzo dada e mezzo surrealista, e invece del pennello c'era la musica, e invece della pittura c'erano i pixel. Guardare i suoi clip era come prendersi uno schiaffo, ma rendersi subito conto che era BDSM e non un affronto.

Infine, "Io centro con i missili" rappresenta l'approccio di continua ridefinizione che ha sempre definito Pop X come artista. Pur mantenendo una coerenza estetica ed espressiva all'interno della sua opera, Panizza ha frullato gli elementi che lo definiscono assieme a frutti diversi, creando beveroni dai gusti anche strani ma sempre comunque meritevoli almeno di un sorso. Ha fatto il liscio ruttato e il folkettino sintetico in levare, le sigle dei telegiornali in versione montanara e la teknazza progressiva, l'acustico lo-fi malato e l'ambient puro da video art. Sono molti i suoi brani passati per remix, versioni alternative e ridefinizioni, ma "Io centro con i missili" è un brano che Davide ha rilavorato e riproposto continuamente già ai suoi inizi. Sul suo Bandcamp c'è ancora un vecchio singolo con sei versioni di "Io centro con i missili"—futuri alternativi, vie da prendere tutte ugualmente eccitanti per essere ignorate o per restare nascoste.

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Pop X è per me, e per chi lo ha scoperto con quei primi free download ormai quasi dieci anni fa, qualcosa di diverso della fiera edonista che sembra essere oggi quando scarrozza per l'Italia portando gioia, tamburelli, neon e umori in giro per i palchi. Era la possibilità di un'evoluzione della musica italiana di divergere dalla tradizione senza rinnegarla, la dimostrazione che si poteva creare qualcosa di bello e condiviso tramite il passaparola internettiano e non la promozione, e semplicemente un progetto che ci faceva sognare, e divertire, e pensare, e commuovere. Sono tutte cose che fa ancora oggi, anche se è cresciuto e cambiato. Non mi sarei mai aspettato che Pop X facesse un disco, che avesse un'etichetta, che venisse intervistato da Repubblica e facesse le sigle per la RAI. Per me Davide era come il protagonista di "Io centro con i missili": un weirdo simpaticone e un po' malinconico, pieno di cose da dire che cercava di capire un pochetto quello che aveva dentro e attorno partendo verso l'ignoto. Oggi, la storia di quell'astronauta non è più solo la mia e la sua, come sembrava sarebbe sempre stata, ma è stata raccontata un milione di volte. Qualcuno ci avrà visto quello che ho visto io, altri ci avranno visto solo un pezzone ignorante per muovere il culo, e altri ancora se la saranno fatta passare per le orecchie concependola come qualcosa che sta al centro tra questi estremi. Essendo una traccia scritta in un alfabeto creativo mutaforme, colma di significato, gaiamente ambivalente, posso dire che "Io centro con i missili" è arrivata alla migliore delle sue conclusioni possibili.

Elia è su Instagram.

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