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Musica

Il corazòn maledetto di Miguel Bosé

L'album 'Bandido' del 1984 nasconde un'anima molto più sordida e sexy di quello che sembra.

Quelli del rock sono bravi ragazzi. Hanno un aspetto che ti può spaventare, ma alla fine scrivono le ballate più belle, si sposano e mettono su famiglia. Gli spregevoli siamo noi del pop.
(Miguel Bosé)

Durante il viaggio di nozze a Tenerife con mia moglie (come da intro), due erano gli ascolti principali della nostra permanenza: Julio Iglesias e Miguel Bosé. Le motivazioni di questa scelta sono probabilmente insite nel fatto che ci trovavamo in Spagna e nonostante fosse novembre (dell'anno scorso) in quelle isole si è indietro climaticamente di almeno due mesi e si sta ancora egregiamente, per cui era il sound che serviva a riscaldare gli animi.

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Sicuramente, fra i due, il soggetto la cui carica caliente mi è sempre risultata più moderna e dinamica è proprio Miguel Bosé: di lui ascoltavo in quel periodo principalmente Milano Madrid, con le sue canzoni pop generazionali che incominciavano a staccarsi dal cliché del Bosé acqua e sapone. Anche se già con "Bravi ragazzi" il nostro aveva portato al successo una canzone che, furbescamente nascosta da una spensierata armonia in maggiore, trattava invece di eroina, come ammesso dallo stesso autore in un'intervista a Dagospia.

In Milano Madrid, comunque, a parte la bella copertina di Warhol, ci sono molti piccoli cambiamenti stilistici che cominciano a virare verso la wave, con collaboratori di culto trans-mainstream come Maurizio Fabrizio e Valerio Negrini dei Pooh—la cui "Linda" tradotta in spagnolo (anche quella tutto sommato poco rassicurante a livello di soggetto, sostanzialmente parla di farsi una vergine pensando a un'altra) è stato il trampolino di lancio per il successo del bel Bosé.

Miguel, figlio della mitica attrice Lucia Bosé e dell'altrettanto leggendario torero Luis Miguel Dominguín (grazie al quale conobbe anche Hemingway, noto per la sua passione per le corride e per il materiale umano che le circonda) è naturalizzato italiano, oltre ad avere una cittadinanza onoraria in Colombia: per questo motivo eccoci qui a parlarne come una delle punte massime del meticciato artistico di casa nostra (in tempi di Ius Soli). Ma, a parte Milano Madrid, c'è un disco, e in particolare una canzone che a questo disco dà il titolo, che in qualche modo sono fondamentali nella genesi del mio matrimonio. Sto parlando di Bandido, anno 1984.

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Bandido è l'LP che viene subito dopo Milano Madrid ed è una sterzata netta rispetto alle scelte del passato: esce in due versioni, una in spagnolo e una ovviamente in italiano, ma ci sono anche interventi in inglese a cura del grande Peter Hammil dei Van Der Graaf Generator, cosa che già fa capire un cambio di rotta deciso. Si mette sul piatto questo lavoro e si viene spazzati via da una precisione chirurgica nel piazzare il suono digitale, da una cura dei dettagli come cristalli sonori di Boemia apparecchiati su un'elettronica buia, contemporanea ai grandi nomi quali Grace Jones, sempre attenta a inserire ritmi latini e calienti nelle proprie glaciali composizioni. Viene alla mente anche Bowie, con il suo funk dance bianco e i suoi sassofoni drammatici e serpeggianti (qui opera del grande jazzista Maurizio Giammarco), o i Japan che sono esplicitamente citati con un fretless alla Mick Karn ed esotismi Sakamoto style, sicuramente molto diffusi in quegli anni, ma ancora adesso punto di riferimento per intere generazioni elettroniche.

Insomma, è un disco che un ascoltatore abituato al Bosé buonista potrebbe pensare apocrifo, e invece no: questo è un Bosé che viene dall'inferno, che puzza di zolfo e di vizi, e il messaggio di questo bandido ladro d'amore sembra proprio quello di un pansessuale postatomico che fa cruising nelle tenebre di un buco nero, armato di un codino ossigenato e barba incolta, con andazzo quasi soft porno completamente inedito per quella che era la consueta immagine del nostro.

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Già dalla copertina si rimane spiazzati, con un look a metà fra i video dei Duran Duran ("Rio" o "Hungry Like the Wolf", con citazione estetica rubata ai pappagalli brasiliani ara) e il Bowie di Aladdin Sane o "Blue Jean". Oltre alla posa stile, appunto, Grace Jones, il nostro ricorda nell'androginia del capello un'altra maestra di trasformismo, cioè Annie Lennox. Ma look a parte, sono proprio i suoni a spaccare: merito di un deus ex machina che molti di voi, seguendo la rubrica, conoscono come uno dei produttori-pilastro del technopop italiano ovvero Roberto "Prezzemolino" Colombo.

Colombo, come ben sapete, è stato il fido scudiero di Camerini, portandolo al successo: pare che ahimè sia stato proprio l'incontro con Bosé a spezzare l'intesa con Alberto, che infatti dopo un po', nonostante l'ultimo tentativo di coproduzione chiamato Angeli In Blue Jeans che abbiamo già analizzato, inforcherà mestamente il viale del tramonto. Nel periodo di Bandido Colombo era il nume tutelare dei Matia Bazar, non solo per la relazione con la Ruggiero ma anche e soprattutto per le sue idee di respiro internazionale. Tant'è che nel disco tutti i Matia appaiono come coristi sotto la dicitura "La Tribù", a dimostrazione di come il cordone ombelicale fra Bosé e la loro estetica musicale fosse più che un'illazione.

Colombo, per registrare Bandido, arriva fino agli USA, missando ai mitici Power Station Studios e sperimentando una sorta d'ibrido fra il suono americano e quello italiano. Lui stesso ne parla in un'intervista a Rockstar, anno 1984, dichiarando: "Bandido lascia il segno, almeno dovrebbe… dovrebbe essere l'inizio di un segno. Bosé è stato molto più lucido di me in tutto questo, io che dovrei essere la persona più lucida! Mi è stato molto utile per rafforzare delle certezze che avevo io e per togliermi altrettanti dubbi. Ha conoscenze istintive, sicuramente, ma ci azzecca perché ha un istinto forte e vero, conosce tanta musica, dalla popolare alla classica, ha un orecchio molto allenato, sviluppato". L'intesa con Bosé porterà Colombo a sperimentare con l'Apple //e, campionando tutto ciò che gli capita a tiro grazie al programma Decillionix I.

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Purtroppo l'annunciata produzione del nostro per il successivo Salamandra di Bosé, la seconda tappa di una trilogia del torbido che finirà con l'esplicito XXX, non avverrà mai. Probabilmente per il fatto che Bandido risulterà indigesto per gran parte degli ascoltatori medi italiani, che vedevano nella musica di Bosé un rassicurante passatempo, noncuranti del fatto che sotto la legna ardeva la brace: logico che Colombo sia stato messo alla porta. Ma il contenuto dell'album è davvero così insidioso?

Beh, la prima traccia, "Siviglia", è una cosa che sarebbe stata bene in un disco di David Sylvian, dal sapore oriental/elettronico con tanto di campioni vocali improvvisi e finale all'Avalon dei Roxy Music; ma soprattutto contiene un testo gay-oriented che spicca maggiormente nella versione spagnola. Sì, perché i testi in italiano, ahimè, sono il punto debole di questo disco: forse uno dei motivi per cui nello stivale non ebbe grande diffusione di massa. In questa canzone d'amore in cui Siviglia diventa una terra promessa nella quale finalmente trovare libertà d'amare, il testo italiano abbastanza criptico svela il soggetto omoerotico del pezzo solo alla fine e proprio in lingua spagnola: "Bandido, muero por ti". Sicuramente un Bosé esplicito nella sua paradossale ambiguità.

La title track rimane una mina, ma anche in questo caso la versione italiana toglie pepe al testo originale, magistrale manifesto d'intenzioni di un vero e proprio ladro d'amore, un amante bandido recante in sé un esplicito "cuore maledetto" che qui è invece paragonato a un uragano e non si sa perché il bandido stesso viene trasformato in… un indio??? Insomma, tutto sommato Bosé mena di più nel mercato spagnolo, sicuramente più audace di quello ahimè ancora bacchettone della penisola italiana: la scelta di Avogadro e di Aldrighetti per adattare i testi rende in qualche modo tutto più intellettuale e difficile, cozzando con la sensualità spicciola dei pezzi. Strano: vedendo il palmares di Avogadro, che vanta anche una splendida "E la luna bussò" della Bertè ci si poteva aspettare il contrario.

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Nonostante queste pecche non manca la ballatona new romantic con il giusto testo emo come "Odio vivere adagio", che in alcuni momenti sfiora alcune cose alla OMD, mentre "South of the Sahara" spara i BPM a livello high energy ed è l'unico brano in inglese, una specie di pirofila di campionamenti percussivi e chitarre distorte direttamente nel mixer. Sfruttando analogie con i Bronsky Beat più sparati, Colombo si sbizzarrisce a riempire il pezzo di trovate elettroniche che scendono e salgono di tensione, in un afflato di dance estrema che comprende anche autocitazioni (il riff di "Bandido" aka "Indio", per intenderci), con un Sergio Cossu già in formazione nei Matia Bazar che si dimena anfetaminico alle tastiere.

"Miraggi" sembra proprio un outtake di Aristocratica dei Matia per il suo speed-synthpop tra il robotico e il mediterraneo, con poco rassicuranti versi come "Sei molto pallida / Non dormi mai".

"Festa Siberiana" è un pezzo fra Grace Jones e un Rick James piazzato in mezzo a un funkettone bianco alla Duran pieno di stacchi in odore fusion, con il testo in spagnolo che parla esplicitamente di "Sueño anarquico", parola censurata nella versione italiana e non crediamo solo per meri motivi di metrica.

"Che sia" è un altro missilone con melodie alla Gazebo e piglio alla Visage, con tanto di theremin appena accennati e colpi di scena percussivo sintetici vagamente storti e spiritati, votati anche alle percussioni FM a pioggia. "Inverno" è il pezzo più pesante del lotto con batterie profondissime e pestate, una sorta di Tears For Fears infilati nei primi Litfiba memori della lezione dei Fad Gadget.

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Ma il bello deve ancora venire: "Domine Mundi" è un technopop ancora una volta a pallettoni, in pieno Colombo style, meccanico, pre-IDM e fuori giri con un testo pessimista della serie "orribili caimani" che "venderanno le nostre donne" e poi "sarà silenzio e schiavitù". Un Bosé nel pieno del pessimismo postapocalittico. Va detto che all'epoca Bosé bazzicava il suo lato dark con una certa compiacenza, la maggior parte dei suoi amici erano drogati, la sua pansessualità a 360 gradi era meno di un mistero, anzi: in un certo modo fu pioneristico portavoce del gender elettronico post Aids.

Tant'è che, evidentemente, non siamo stati i soli a capire l'importanza di quest'album per la musica a venire, visto che Arca, nell'ultimo disco omonimo, oltre a usare l'immaginario del torero nel video di "Reverie", sembra proprio omaggiare in alcuni brani lo stile elettronico/latino del Bosé di Bandido.

In sintesi, un'attitudine che cerca l'ibridazione fra scelte sonore sulla carta estreme e melodie sulla carta orecchiabili col risultato di mandare tutto in corto, in un'infinita tavolozza di colori sonori. Come già accennato, Bandido per la sua audacia non otterrà il successo sperato in Italia, e il tentativo di bucare il mercato internazionale si fermerà alla sola Spagna e al Sud America: ma sicuramente è un disco che piazza Bosé fra gli artisti più credibili della sua era, capaci di negarsi di bruciarsi e di rinascere come la fenice, per cui il pop è solo un mezzo e non un fine.

D'altronde, come da sue stesse parole in una vecchia intervista: "Sono stato il più spregevole di tutti! Per anni, quando non c'erano telefoni cellulari né media che ti perseguitavano, me la sono passata bene. Compreso con gente dei media, grazie a complicità e discrezione. Ho fatto tutto, ho provato tutto, sono sceso negli inferi e ho conosciuto la parte oscura di me. Un bel giorno mi svegliai e mi dissi: 'I've done it'. Fatto. Da allora non sono più uscito". Hai capito questi "bravi ragazzi"? Alla fine sono più bandidos di quanto non sembrino.

Demented è su Twitter: @Demented_Thement.

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