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Musica

Il ritorno dei The Secret dalle tenebre

Ci siamo fatti raccontare da una delle band metal più devastanti d'Italia come sono morti e rinati, dai concerti davanti a tre persone alla fama mondiale.
The Secret live, foto per gentile concessione della band.

“Veloci, furiosi e fucking hostile”. Così sei anni fa il solito Pitchfork definiva The Secret, all’epoca sulla cresta dell’onda e sulla bocca di tanti, un po’ per il fruttuoso sodalizio con la Southern Lord di Greg Anderson iniziato con Solve Et Coagula (2010), un po’ perché i ragazzi del nordest suonavano ovunque e in qualunque momento, e sembravano proprio sul punto di farcela, di essere a un passo dal poter dire: “Nella vita facciamo i musicisti”. Il quartetto triestino era una mina incredibile: accantonato il non riuscitissimo esordio -core e ripartiti da zero, The Secret avevano trovato una sintesi perfetta tra strutture articolate, furia black metal e attitudine hardcore che li rendeva apprezzabili più o meno da chiunque amasse le chitarrone e le urla disperate. Flirtando via via sempre di più con il crust, la band era riuscita a trasformare la lezione dei Converge in qualcosa di molto più oscuro, marcio e sofferto, tra l’altro proprio grazie all’aiuto di questi: Kurt Ballou figura in veste di produttore su entrambi i dischi targati Southern Lord, e proprio di spalla ai Converge fu il tour di supporto ad Agnus Dei, che portò la band a suonare più o meno ovunque. Per dirla a modo loro, insomma, The Secret e la loro musica erano una pecora nera che sanguina rabbia dagli occhi.

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Dopo quella badilata di taglio sulle gengive che era Agnus Dei, proprio all’apice della loro esposizione mediatica, però, sulla band cadde il silenzio. Oltre un lustro di oscuro, abissale e impenetrabile silenzio. Persino degli Slowmotion Apocalypse, progetto parallelo del batterista Tommaso Corte, si è ormai persa ogni traccia da quasi una decade, e l’unico segno di vita dei quattro del nordest arriva da Lorenzo Gulminelli e dai suoi Hierophant. L’annuncio di un nuovo EP della creatura di Michael Bertoldini e Marco Coslovich che mi sono ritrovato nella casella di posta quindi è stato un fulmine a ciel sereno.

Lux Tenebris, non fa mistero del lasso di tempo intercorso da Agnus Dei, e nel 2018 ritroviamo una band molto più concentrata e focalizzata, non più prona ad una rabbia incontrollabile, ma padrona del proprio odio, in grado di canalizzarlo secondo la propria volontà. La sensazione di avere davanti una scheggia impazzita è scomparsa, in favore di un’impressione di completa lucidità e piena consapevolezza dei propri mezzi. Suoni più profondi e claustrofobici e un riffing death metal fanno bella mostra di sé in questi tre pezzi, che sembrano assorbire molto di quanto fatto proprio dagli Hierophant. Originariamente previsto come uscita esclusivamente in vinile e riservata ai fedelissimi di Southern Lord in occasione delle celebrazioni per il ventennale dell’etichetta, a quanto pare Lux Tenebris verrà invece distribuito su più ampia scala, anche se non si hanno ancora notizie certe. Spinto dalla curiosità, dò appuntamento a Mike davanti a un'aranciata amara per farmi raccontare…

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Qualcosa di questi anni lontano dalle scene.
Guarda, sono successe un sacco di cose. Diciamo che da quando è uscito Solve Et Coagula le cose sono diventate molto più “serie”, c’era più interesse nei confronti della band e abbiamo avuto tante possibilità in più di suonare dal vivo. E noi abbiamo cercato di prendere il prendibile andando in tour regolarmente, una cosa che prima non avevamo mai fatto se non con qualche piccolo gruppo di date qua e là. Per un paio d’anni o poco di più la musica è stata il nostro principale lavoro: un mese a casa, un mese in tour, registrazioni, prove.

E riuscivate a campare così?
Sì, più o meno, ognuno poi faceva anche delle piccole altre cose, ma bene o male si stava a galla. Ovviamente non è che riuscissimo a portare a casa più di tanto, ma ci andava bene. Il discorso è che far diventare la musica un lavoro ha cambiato molto l’atmosfera nella band, soprattutto perché siamo persone molto molto diverse. Alcuni di noi stavano bene, diciamo che metà della band stava bene andando sempre in tour, mentre l’altra metà ne soffriva abbastanza.

Tu di che metà facevi parte?
Di quella che stava bene, anche andando sempre in giro, mai avuto problemi, era una cosa che mi piaceva e ho sempre voluto avere la musica come “cosa” principale nella vita. È uno stile di vita molto duro: fai tante serate fighissime, ma anche tante serate di merda, e se non le prendi con filosofia possono essere molto deprimenti…

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A caldo, la serata peggiore che avete avuto?
Guarda, una volta abbiamo suonato a Roma, appena uscito Agnus Dei: eravamo in pompa, mille recensioni, tutto figo, gasatissimi, eravamo andati in tour coi Converge, coi Kvelertak, la band iniziava ad essere un po’ meno underground. Arrivati a Roma, ci troviamo davanti quindici paganti. Alla fine la prendi sul ridere, ma sul momento ci siamo rimasti di merda. Poi se suoni in casa, a Trieste, i numeri sono diversi. Al release party dell’album c’erano quasi quattrocento persone. Va tutto molto a caso, è difficilissimo capire questo tipo di dinamiche.

Se ti può consolare, a Milano ho visto i Vader davanti a meno di trenta persone.
Sì, sì, purtroppo succede. Mah. Il peggior tour che abbiamo mai fatto in termini di partecipazione è stato coi Deafheaven. Sei mesi dopo hanno fatto uscire Sunbather e hanno venduto forse ottantamila copie: adesso suonano in locali da millecinquecento persone e li riempiono. Ma tornando al discorso originale, secondo me anche il fatto di non essere stati perfettamente allineati sugli obiettivi che volevamo raggiungere ha fatto crescere delle tensioni tra di noi. A un certo punto suonare è diventato meno divertente, c’era meno comunicazione, si andava alle prove, si suonava e si tornava a casa, ci vedevamo solo ed esclusivamente per fare le cose che dovevamo fare. Dopo i concerti tutti correvano a casa e nessuno aveva voglia neanche di bere una birra. C’era un'atmosfera abbastanza strana, e tutti e quattro abbiamo un carattere non facile. Ci siamo trovati anche a litigare tanto, roba da metterci le mani addosso.

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Una convivenza semplice.
Non ne hai idea, in tour è successo il delirio. Poi io mi sono trasferito ad Amsterdam, ma abbiamo continuato a suonare e la band continuava a funzionare bene anche a distanza. L’atmosfera però era una merda a livello umano: non ci parlavamo se non era strettamente necessario. A quel punto è successo un casino. È stata annullata una data all’ultimo secondo, era uno showcase di Southern Lord, la nostra etichetta, a Utrecht. Era molto figo, c’erano Sunn O))), Goatsnake, Today Is The Day, eccetera. E noi abbiamo dovuto cancellare la data all’ultimo secondo per motivi di cui non posso parlare [ride]. Quello è stato il momento in cui ho detto: “Ok, fare le cose così non ha senso. Perché sto facendo ‘sta roba? Non mi diverto più”. Abbiamo parlato molto, ma dal mio punto di vista non c’erano più i requisiti minimi per andare avanti, non c’era il minimo indispensabile per poter continuare a suonare, nemmeno a livello professionale. E a quel punto, per anni, ho tagliato i ponti con alcuni dei membri della band, non ci siamo proprio più sentiti.

Tutto questo nonostante formalmente voi siate sempre rimasti attivi, non c’è mai stato uno scioglimento ufficiale.
Io ho detto a tanta gente che non avrei mai più suonato con la band, però non abbiamo mai ufficializzato la cosa, nessuno voleva davvero farlo. Però credevo che non avremmo mai più suonato, non funzionava più. In tour sei 24/7 in spazi molto ristretti sempre con le stesse persone. Se non è divertente è dura, è alienante, ti senti isolato.

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Viste queste premesse, come siete tornati a suonare?
In tutto questo tempo ho continuato a sentire soltanto Lorenzo, il nostro bassista, e secondo me questi anni di silenzio ci hanno permesso di sviluppare le nostre vite in una maniera diversa e più indipendente, non dovendo tenere la band al centro ognuno è stato libero di fare altro. Ci ha permesso anche di rendere le cose più oneste, almeno per me. Prima, per esempio, mi dicevo di non poter trovare un impiego vero perché pensavo fosse inconciliabile con la band, ma a posteriori mi rendo conto che era una scusa. La verità è che, volendo, puoi fare la band strabene e avere una carriera allo stesso tempo. Ovviamente non puoi essere in tour 10 o 12 mesi l’anno, ma puoi comunque suonare. E fermarci per un po’ ci ha dato la possibilità di fare altro e di trovare un equilibrio.

Quindi si parla di crescita personale.
Sì, parlando di me, sono riuscito a conoscermi meglio, e con il tempo ho capito anche quanto mi mancava questa forma di espressione. A parte i tour, i dischi, le etichette, ‘ste cazzate qua, quello che mi mancava di più era esprimermi attraverso la musica. Per me questa band è sempre stata qualcosa privo di limiti: se domani vogliamo fare un disco reggae lo facciamo.

Farete un disco reggae?
Non credo. Però hai capito. Non siamo una band che si definisce black metal, death metal o qualsiasi altro genere, facciamo semplicemente quello che ci piace, e la musica evolve di conseguenza. Era questo a mancarmi.

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Ci sarà stato un casus belli che vi ha fatto riprendere i contatti.
Lorenzo e Marco, il cantante, si sono visti a Trieste in occasione di una data degli Hierophant, devono avere avuto un momento un po’ romantico con della birra di mezzo, hanno parlato un po’ di ‘sta cosa, poi Lorenzo mi ha chiamato: “Guarda, dovremmo pensarci, potremmo riprovarci, ci sono delle possibilità…”

Litfiba tornate insieme…
Esatto, quel genere di cosa. Era da anni che i ragazzi di Venezia Hardcore ci chiedevano di fare una data, io avrei voluto che fosse l’ultima, ma abbiamo deciso di farla senza dire nulla. Avevamo della musica già composta, in più io da solo ho continuato a scrivere negli anni, e a un certo punto abbiamo deciso di accompagnare al concerto le registrazioni di un EP e di proporlo live, giusto per non far sembrare il concerto una roba triste da reunion. Ci siamo ritrovati scoprendo un modo completamente diverso di lavorare, addirittura oggi viviamo in Stati diversi, però funziona. Non ci incolpiamo più a vicenda per qualcosa che va bene o non va bene, perché la band non è più la nostra vita lavorativa, che oggi è fuori dall’equazione.

Lux Tenebris quindi è una cosa a sé e poi vedrete se e come continuare, oppure c’è già in cantiere qualcosa di più corposo?
Allora, mettiamola così: c’è già della musica nuova, ci sono tante idee, un paio di pezzi praticamente già fatti… Adesso vediamo. Vediamo come va tra di noi, se ci divertiamo, se funziona tutto.

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L’idea però è di rimanere a questo livello, di non tornare ad avere la band come occupazione.
No, no, adesso siamo più grandi, abbiamo tutti dei lavori più seri. Vorrei suonare, ma non mi interesserebbe più stare in tour cinque o sei mesi l’anno. A posteriori mi sono fatto l’idea che per una band europea l’impegno richiesto sia molto maggiore dei risultati che effettivamente raggiungi, e potersi concentrare di più, poter scegliere meglio e mettere più attenzione nelle cose che fai come band, perché ovviamente ne fai di meno, è meglio. Prima dovevamo accettare qualunque tour perché c’era l’affitto da pagare, adesso per fortuna l’affitto ce lo paghiamo tutti con altre cose e suonare, di nuovo, è un’espressione artistica più pura.

Che è un po’ il grande paradosso: puoi permetterti di fare cose “più pure” se sei sostenuto economicamente da cose che non lo sono.
Secondo me, per come siamo fatti noi, questa è una band che non potrà mai diventare gigantesca. Per portarsi a casa una buona pagnotta con un gruppo musicale servono alcune capacità a livello attitudinale che noi non abbiamo. E va bene così. Ci abbiamo provato, ma non ha funzionato. Ci ho pensato tanto, in questi anni, e mi sono detto che forse avrei dovuto capirlo prima, ma a posteriori è sempre facile.

Poi c’è anche un altro discorso da fare: spesso parlo con membri di altri gruppi che mi dicono che non si riesce a vivere di musica, è impossibile sopravvivere dedicandosi alla musica estrema e cose così. Vero, è difficilissimo, però da quando ho iniziato a lavorare mi faccio una domanda: quanti gruppi hanno tre, quattro o cinque membri che lavorano alla band per quaranta ore a settimana? Sono pochissimi. Io ho il mio lavoro, faccio le mie quaranta o cinquanta ore di ufficio e mi porto a casa tot. Quante band lavorano le stesse ore, regolarmente? Ok, il weekend sei andato a suonare, sei stato via due giorni, ma gli altri quattro o cinque della settimana non hai fatto una minchia, magari giusto le due orette di prove. C’è questa idea un po’ naïf perché siamo tutti cresciuti con il modello della rockstar, però non funziona così.

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È un mondo che non esiste più. Quant’è che non nasce una band che fa i numeri dei Sabbath o dei Maiden?
Esatto, non esiste più. Sono solo quelle band lì che sono ancora così. Lavoro nella musica, ho accesso a dati e numeri per lavoro e nel mondo del rock sono cazzi amari. Mi ricordo un paio d’anni fa, a livello di nuove uscite quella che si era piazzata meglio era il disco dei Kings Of Leon che era al quarantesimo posto dei dischi più venduti, e stiamo parlando di un gruppo in giro da quasi vent’anni. Insomma, di gruppi in giro che fanno musica rock e diventano delle megarockstar non ce n’è. Game over.

Come The Secret, ad ogni modo, tralasciando il discorso del talento, per il materiale umano di cui siamo composti, e parlo di tutti e quattro, non saremmo durati nemmeno se avessimo vinto il biglietto della lotteria. In un modo o nell’altro, avremmo finito per esplodere.

Cambio completamente discorso: in una tua vecchia intervista ho letto che odi il nome The Secret. Perché?
È una storia strana. Adesso, in questi ultimi due anni, non dico che l’ho rivalutato, ma è un nome che non mi dà più fastidio come prima.

Fastidio, addirittura. Anni dopo che la band si è sciolta il nome ha cominciato a piacerti, molto bene.
Ma sai che forse è così, non l’avevo mai pensata in questi termini, ma forse sì. Comunque è una storia stupidissima: era un periodo che ero in fissa con il rock classico, e volevo trovare un nome che non fosse la solita cosa metal, ma che allo stesso tempo avesse un che di misterioso, che portasse la gente a chiedersi “cazzo è ‘sta roba?”. Purtroppo ho scelto The Secret.

Ah, sei stato proprio tu a scegliere il nome che ti dà fastidio.
Sì sì assolutamente, da lì è iniziata la mia dannazione. Da mille anni la gente mi chiede: “Qual è The Secret?” e, beh, non c’è. È la storia più triste del mondo, non c’è alcun significato, non vuol dire un cazzo. Potrei mettertela giù in modo figo: volevamo qualcosa che lasciasse spazio all’interpretazione dell’ascoltatore, che ci fosse un po’ di non detto. Solo che abbiamo esagerato. Il punto è che più o meno in quel periodo esplosero i vari The Hives, The Strokes, The Fratellis, quell’ondata di indie rock da discobar e a quel punto è nato l’odio per il nostro nome. Anche Greg [Anderson, di Southern Lord] svariate volte mi ha detto: “Ragazzi avete proprio un nome di merda”. Poi nell’era di internet, un casino.

Trovare qualcosa che vi riguarda su Google con quel nome è pressoché impossibile.
Orribile. Su Instagram pure peggio, provi a cercare #thesecret e trovi solo frasette motivazionali. Insomma se cerchi il nostro nome trovi tutto ciò che odio. Assurdo, cazzo. Poi, come se non bastasse quella robaccia revival indie che ora per fortuna non c’è più, è uscito il libro The Secret , una roba di autoaiuto che parla di teorie dell’attrazione… No, vabbé, non puoi capire. È una "filosofia" che sostiene che se tu visualizzi nella tua mente il successo tramite un allineamento cosmico, alla fine attrai ciò che desideri. Puttanate.

Non so cosa sia più inquietante, se quello che mi stai dicendo o il fatto che tu sia informatissimo a riguardo.
So tutto perché siamo stati vittima di tutto questo, è una merda.

The Secret saranno in concerto a Milano per la prima volta dopo un sacco di tempo il primo novembre al Santeria con Yob e Wiegedood.

Andrea è uno dei Lord di Aristocrazia Webzine. Seguilo su Instagram.

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