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Musica

Recensione: Deerhoof - Mountain Moves

Ascoltare l'ultimo album dei Deerhoof è come farsi una doccia colorata alle orecchie e al cervello.

Quando ho preso questo promo, mi hanno avvertito: "Sono i soliti Deerhoof, sono quello che i loro fan si aspettano". Così mi chiedo: hanno ancora senso i Deerhoof nel 2017? Forte di questa premessa, ho infilato scettico il CD nell'apposito lettore ed è bastato un primo ascolto per affermare che sì, hanno ancora senso. Certo, non abbiamo più i Deerhoof di primo pelo, quelli che ancora ospitavano personaggi che gravitavano intorno ai Fat Worm of Error; il loro piglio è effettivamente riconoscibile e segue delle regole compositive peculiari ed evidenti: ma il loro nuovo disco è sicuramente una delle cose più fresche che hanno fatto da quando li conosco.

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È una freschezza paragonabile a quella dei Beach Boys del sequel di Smile (più che altro il suo sostituto, Smiley Smile), ma il caleidoscopio di stili musicali, di effetti sonori e di spunti non lascia dubbio alcuno: ci troviamo di fronte a un disco sentito, ispirato e direi anche sofferto. Perché in effetti si tratta di una specie di appello politico agli USA affinché rovescino pacificamente il governo di Trump, la cui ascesa ha sicuramente scombussolato molti artisti, tra cui i nostri eroi. Mountain Moves, quindi, è una specie di viaggio in autostop negli Stati Uniti odierni alla ricerca della libertà perduta, con una sorta di retrogusto neo-hippie, tanto che i paragoni con l'eclettismo di band come (appunto) The United States of America non sono poi così campati in aria.

Tra l'altro il neo-fricchettonismo va fortissimo un po' in tutto il mondo, per cui i Deerhoof a modo loro assorbono questa situazione, con la cantante Satomi che sembra sempre più un Vocaloid umano, molte linee melodiche sembrano create automaticamente con un sintetizzatore vocale e poi riproposte dal vero. I suoni sono calibratissimi e colorati, una psichedelia cucita addosso all'era che viviamo. Come già detto, si tocca un po' ogni genere musicale, dal pop al jazz alla no wave, al toy pop, all'afro beat, ecc., con aperture orchestrali che attraversano il Medio Oriente e le colonne sonore di film drammatici. Stili che diventano a volte, sovrapponendoli, uno solo, indefinito.

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Per la prima volta ci sono svariati ospiti perché "non è il momento per gli artisti di operare in isolamento". Ospiti che a volte sono indiretti: troviamo per l'appunto tre cover che la dicono lunga sul concept, che precipita nella nostalgia di un Eden ormai lontano: "Gracias a la vida" di Violeta Parra, "Freedom Highway" degli Staple Singers e "Small Axes" di Bob Marley, brano anticipato da un anthem come "Kokoye" che sembra uscito dalla penna di una Yoko Ono periodo Approximately Infinite Universe.

Insomma, ascoltare l'ultimo album dei Deerhoof è come farsi una doccia colorata alle orecchie e al cervello; hanno ancora gli occhi fatati di bambini che non riescono a capacitarsi della bruttezza del mondo adulto e con le loro manine ci salutano e ci danno la sveglia. Non sarà un discorso "nuovo", ma la bellezza non ha scadenze giusto?

Mountain Moves è uscito venerdì 8 settembre per Joyful Noise.

Ascolta Mountain Moves:

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