La guida di Noisey per cominciare ad ascoltare Tom Waits
Illustrazione di Jacob Read

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La guida di Noisey per cominciare ad ascoltare Tom Waits

Un viaggio nella discografia di quell'ubriacone col fegato spappolato, emulo dei poeti beat e bluesman dalla gola che brucia che è Tom Waits.

Tom Waits ha scritto canzoni in una quantità strabiliante di stili riuscendo sempre a sembrare sé stesso. In 45 anni di carriera è riuscito a tramutarsi da un emulo di Dylan in un signore del canzoniere alternativo americano scrivendo blues da beatnik, jazz criminale, polka apoplettica e tanghi arrabbiati, folk di tradizione statunitense ed europea, hip-hop, canti carnascialeschi, cabaret brechtiani e molte altre cose. Se non vi siete mai impegnati davvero ad ascoltarlo, sappiate che non è un'impresa semplice, specialmente dato che stiamo parlando di un artista a cui piace un sacco raccontare storie. A dir la verità - cosa che lui non fa molto spesso - è impossibile avvicinarsi veramente a lui. È un ventriloquo, un impostore che assomiglia molto al Thomas Alan Waits nato sul sedile posteriore di un taxi a San Diego, California, nel 1949. Sempre che anche questa non sia una baggianata.

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La carriera di Waits può essere suddivisa in due grandi periodi: il trovatore ubriaco mezzo scorato che era prima di conoscere e sposare la cantautrice, artista e producer Kathleen Brennan, e l'attore ruvido che è diventato durante la sua vita coniugale. Quando si incontrarono – la Brennan stava lavorando come editor di copioni per la Columbia Pictures, mentre Waits stava scrivendo la colonna sonora di Un sogno lungo un giorno di Francis Ford Coppola – Waits aveva esaurito la sua personalità da inetto dei sentimenti. Fu la Brennan a incoraggiarlo a esplorare i suoi modelli musicali e a fargli ascoltare Captain Beefheart in un modo nuovo. La Brennan divenne parte integrante del mondo di Waits: venne accreditata come co-autrice su album come Alice, Real Gone e Blood Money e ispirò suo marito a prendere una nuova direzione lungo il corso degli anni Ottanta. Indipendentemente da chi abbia scritto cosa, possiamo dire che è responsabile della personalità da specchietto per le allodole dell'ultimo Tom Waits tanto quanto Waits stesso.

Forse ti interessa: il Tom Waits "accessibile"

Cominciamo dicendo che non esiste davvero un Tom Waits accessibile. Il che potrebbe essere un controsenso da dire in questo paragrafo, ma molto del bello di Waits sta proprio nel suo praticare il controsenso. Una regola di base che potete seguire è: se la canzone è stata coverizzata da qualcuno di più famoso di Tom ed è diventata più famosa dell'originale, allora sarà probabilmente in qualche modo accessibile. Pensate a “Ol’ ‘55” degli Eagles, “Jersey Girl” di Bruce Springsteen, “Downtown Train” e “Tom Traubert's Blues” di Rod Stewart, “Whistle Down The Wind” di Joan Baez, “Time” di Tori Amos e “Martha” di Tim Buckley. Sono tutti pezzi ok – tranne quello di Rod Stewart, ovviamente – ma nessuno ha reso davvero giustizia alle originali del caro vecchio Tom. Scarlett Johansson ha addirittura registrato un album di sue cover nel 2008, Anywhere I Lay My Head, assieme a Dave Sitek. Il motivo di questa tendenza alla cover è probabilmente la tenerezza che trapela dalle sue canzoni, nonostante sia piuttosto difficile da percepire quando sta abbaiando come un mastino in una casa in fiamme.

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Alcune delle canzoni più amate di Waits furono pubblicate sul suo primo album in cui, come avrebbe ammesso più avanti, non sapeva davvero quello che stava facendo. Inoltre, alcune ballate rock più tradizionali come "Downtown Train" e "Hang Down Your Head", tratte da Rain Dogs, dimostrano bene la sua tendenza a scrivere ritornelli irresistibili e ficcarli in mezzo a materiale più impegnativo. Un altro esempio è "Cold Cold Ground", una canzoncina perfetta per essere fischiettata suonata su una fisarmonica che nel giro di poco comincia a parlare di morte e povertà. Anche quando i pezzi di Waits sembrano accessibili, ascoltandoli fino alla fine c'è sempre una buona possibilità di incontrare una sorpresa piuttosto sinistra.

Playlist: “Ol’ ‘55” / “I Hope That I Don’t Fall In Love With You” / “Martha” / “Jersey Girl” / “Downtown Train” / “Hang Down Your Head” / “Cold Cold Ground” / “Take It With Me” / “Hold On”

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Forse ti interessa: il Tom Waits stanco ed emotivo

E adesso entriamo nella fase da gentiluomo sentimentale di Waits. Il suo secondo album The Heart Of Saturday Night, con la sua quasi-titletrack malinconica sull'effimero piacere che è il bere nel weekend, ci avvicina all'incarnazione ubriacona, roca e sfortunata che cominciò a renderlo famoso. Ma è Small Change, uscito nel 1976, che rappresenta la sua prima grande trasformazione e può essere considerato il suo primo vero capolavoro. È il suono di un poeta assetato che trova la sua musa sul fondo di una bottiglia, e canta per lei con una voce modellata dal fumo di cinque pacchetti di sigarette al giorno accompagnandosi con un pianoforte (fu il produttore Bones Howe a convincere Waits a mettere da parte la chitarra). Tom si impegnò a dare un'aura di realtà all'immagine desolante che si era creato – il suo album dal vivo Nighthawks at the Diner prende il nome da un famoso dipinto di Edward Hopper, e nella versione di quel brano ispirato a Kerouac che è “Bad Liver And A Broken Heart (In Lowell)” c'è una citazione improvvisata a Casablanca. Frattanto, “Tom Traubert's Blues (Four Sheets to the Wind in Copenhagen)” è la canzone più vicina al senso di precarietà che possiate immaginare, nonostante per qualche motivo inspiegabile preceda la bush ballad "Waltzing Matilda”.

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Durante gli anni Settanta, il Waits sentimentale fu come un lavandino che gocciolava. Quando la Brenner lo conobbe, nel 1980, si mise d'impegno e ci mise una pezza. Ogni tanto, però, ricomincia a perdere per qualche minuto: vale la pena citare la splendida ma tronca “Johnsburg, Illinois”, una delle sue canzoni su sua moglie più commoventi ("È il mio unico vero amore / È tutto quello a cui penso / Guarda qua nel mio portafoglio / Eccola.") Dura a malapena un minuto e mezzo, è su Swordfishtrombones ed è praticamente una strizzata d'occhio all'ancien régime, come per dire "adesso basta, dai".

Playlist: “(Looking For) The Heart of Saturday Night” / “Tom Traubert's Blues (Four Sheets to the Wind in Copenhagen)” / “I Wish I Was In New Orleans (In The Ninth Ward)” / “Bad Liver and a Broken Heart (In Lowell)” / “The Piano Has Been Drinking (Not Me)” / “Christmas Card For a Hooker in Minneapolis” / “Burma-Shave” / “Johnsburg, Illinois” / “Time” / “New Years Eve”

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Forse ti interessa: Tom Waits l'hipster, ma quello vero

Prima di arrivare alla sua reinvenzione sismica, dobbiamo parlare del Tom Waits più jazzato, sapientone e hippy, un amalgama di tutti i poeti beat che considerò figure paterne a partire dal momento in cui suo padre lo abbandonò verso la fine degli anni Cinquanta. Agli inizi della sua carriera, Waits venne messo ad aprire concerti di artisti con lui incompatibili, come Frank Zappa. Ma con il passare del tempo si costruì una reputazione live di tutto rispetto, affiancando jazz fumoso e conversazioni semi-comiche recitate meticolosamente, come su “Eggs and Sausage (In a Cadillac with Susan Michelson)”.

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Forse la miglior canzone del Tom Waits hipster è “Step Right Up”, che fornisce all'ascoltatore sei minuti di esilaranti jingle pubblicitari ("Sfiletta, tagliuzza, scubetta, affetta / Ti taglia l'erba e va a prendere i tuoi figli a scuola"), senza mai specificare di quale prodotto stia parlando. È un sardonico pezzo di pop art che prediceva il disprezzo di Waits per la pubblicità, specialmente quando alcuni astuti pubblicitari provarono ad assorbire l'essenza della sua personalità e finirono a pagarla cara. Waits continua a giocherellare con il jazz, ma solitamente con un approccio più noir, come su "Shore Leave", o più fumoso, come su "Alice".

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Forse ti interessa: il Tom Waits teatrale e weimariano

"Underground", il pezzo con cui si apre Swordfishtrombones, deve essere stato un bello shock per chi lo ascoltò appena uscito, nel 1983, tutto chitarre appuntite, fiati stonati e ritmi da stop-motion alla Captain Beefheart. La sua etichetta Asylum si rifiutò di pubblicarlo, e quindi la palla passò alla Island Records. Solo che, ironicamente, più strano Waits si fece, più i critici lo adorarono e più dischi vendette, nonostante all'epoca reinventarsi in maniera così completa era considerato un rischio enorme. "Quando uscirono Swordfishtrombones e Rain Dogs pensai che fossero entrambi dischi molto coraggiosi, dato che all'epoca aveva questa personalità costruita attorno all'iconografia e ai valori hipster che aveva preso da Kerouac e Bukowski", dice Elvis Costello nel libro Tom Waits on Tom Waits: Interviews and Encounters . "Penso invidiassi non tanto la sua musica quanto la sua abilità di uscire dall'angolo in cui si era messo da solo". Anche canzoni più dirette come “In the Neighborhood” sembrano suonate da una banda dell'esercito composta da mutanti.

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La passione di Waits per strumenti inusuali come la marimba sembra nascere dal suo interesse per il barbone avanguardista che fu Harry Partch, mentre un'altra influenza – almeno a quello che tutti continuavano a dirgli – era Kurt Weill. Ad allora, Waits non aveva mai ascoltato il compositore tedesco, nonostante le sensibilità europee del suo nuovo stile fossero indubbiamente radicate nella Repubblica di Weimar. Coerentemente, Waits cominciò anche a sperimentare con il teatro musicale, e negli anni ha collaborato a tre produzioni assieme all'autore Robert Wilson, tra cui The Black Rider, il cui libretto venne scritto dalla leggenda beat William S Burroughs. Waits ha mantenuto un'immagine genuina e operaia nell'immaginario collettivo, ma come sostiene lo storico critico musicale Robert Christgau "ha forgiato più alleanze con l'avanguardia istituzionalizzata di David Byrne".

Playlist: “Underground” / “In The Neighborhood” / “Singapore” / “Clap Hands” / “Rain Dogs” / “Jockey Full of Bourbon” / “Innocent When You Dream” / “God’s Away On Business” / “Kommienezuspadt” / “Misery Is The River Of The World”

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Forse ti interessa: il Tom Waits che si schiarisce la voce tra blues mutanti e beatboxing improvvisato

L'inizio della carriera di Waits è definito da una ricerca di autenticità: frequentava diner aperti tutta notte, lavorò in stazioni di servizio e ostelli sgangherati. Il vagabondo che interpreta oggi è una sorta di Dorian Gray al contrario, una versione grottesca dello straccione che sarebbe potuto diventare (in realtà, ha smesso di bere nel 1992). Una delle cose più divertenti della carriera di Waits è stato il modo in cui il suo personaggio si è evoluto dal folle bluesman di Heartattack and Vine (1980) nel bardo dell'hip-hop DIY di Real Gone (2004)

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Questo secondo album è una collaborazione tra padre e figlio: Casey Waits si è occupato della produzione e di qualsiasi aspetto percussivo dell'album. È plausibile che Tom sarebbe arrivato a partorire una sua versione dell'hup-hop anche senza il contributo di Casey: Real Gone è il frutto di una deriva di quello sporco blues che si fece sempre più rabbioso lungo il corso di quel triumvirato di classici che furono Swordfishtrombones, Rain Dogs e Franks Wild Years, e che forse trova il suo miglior esempio in “16 Shells From a Thirty-Ought Six”. Bone Machine (1992) – che, a quanto racconta la leggenda, fu scritto e registrato in un periodo in cui Waits aveva ricevuto un ultimatum da sua moglie perché beveva troppo – è appropriatamente spoglio e sepolcrale.

Playlist: “Heartattack and Vine” / “16 Shells from a Thirty-Ought Six” / “Big Black Mariah” / “Walking Spanish” / “Telephone Call From Istanbul” / “Goin’ Out West” / “Eyeball Kid” / “Filipino Box Spring Hog” / “Lucinda” / “Top of the Hill” / “Chick A Boom”

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Forse ti interessa: Il Tom Waits politicamente impegnato

Forse il cambiamento più significativo nell'opera recente di Waits è stato l'ingresso della politica nella sua scrittura. C'erano stati in momenti in cui le sue parole suggerivano una presa di posizione, come nella commovente "Soldier's Things", una lista di oggetti appartenuti a un veterano che vengono venduti in una scatola a un dollaro l'uno; "Earth Dies Screaming" immagina un futuro terrificante, probabile prodotto del riscaldamento globale, mentre "What’s He Building?” da Mule Variations racconta la paranoia dell'altro che tormenta la classe media americana. “Chocolate Jesus", dallo stesso album, è uno scaltro attacco alla chiesa evangelica, mentre "Georgia Lee" è una straziante ballata dedicata a una ragazzina dodicenne di colore assassinata per strada vicino a casa di Waits, ispirata dal sospetto che il suo caso venne a malapena trattato dai media a causa della sua etnia.

L'avvento del ventunesimo secolo ha svegliato un lato politicamente impegnato di Tom che sarebbe stato impensabile nei suoi anni di maggior surrealismo. "Road to Peace" è il racconto diafano ed emozionante di un attentato suicida in Israele, l'inno anti-guerra "Hell Broke Luce" suona come il napalm, mentre Real Gone è pieno di canzoni incazzate con George W. Bush e la guerra in Iraq, con "Hoist That Flag" come probabile momento migliore.

Il catalogo di Tom Waits, che sta venendo ristampato dalla sua ultima etichetta Anti-, potrebbe sembrare un po' intimorente. Ma esplorare il suo vasto, poetico e picaresco canzoniere è uno dei grandi piaceri della vita, o una delle sue indulgenti miserie, in base a come la vedete.

Playlist: “Soldier's Things” / “What's He Building?” / “Georgia Lee” / “Chocolate Jesus” / “Road To Peace” / “Hoist That Flag” / “Day After Tomorrow” / “Sins Of My Father” / “Hell Broke Luce”

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