'Villains' dei Queens of the Stone Age è meno pop di quel che sembra
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Musica

'Villains' dei Queens of the Stone Age è meno pop di quel che sembra

La verità è che a Josh Homme non frega un cazzo della vostra opinione su Mark Ronson.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

Mi ero completamente perso i critici musicali che si agitavano come polli decapitati per il fatto che Josh Homme dei Queens of the Stone Age avesse convocato Mark Ronson come produttore del suo nuovo album, Villains. Tanto per cominciare, se sei un musicista famoso e vuoi continuare a essere famoso, la possibilità di lavorare con il produttore di "Rehab" dovrebbe essere per te la scoperta dell'Eldorado. E poi, di quest'epoca si possono dire tante cose negative, ma non che non spinga gli artisti a sperimentare; per rimanere relevant e continuare a farsi pagare il mutuo dal pubblico bisogna, di anno in anno, darsi fuoco e rinascere dalle ceneri, altrimenti il deficit di attenzione collettivo prende il sopravvento e la gente si dimentica di te perché c'è un capybara che fa le capyriole su YouTube.

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Non è un mistero che Homme sia, praticamente da sempre, alla ricerca del Sacro Graal del Pezzo Pop, quello che fa proverbialmente muovere il culo e battere la mano sullo sportello dell'automobile mentre si sfreccia sull'autostrada attraverso il deserto. È un calice da cui ha già bevuto in passato, con pezzi come (cito così a memoria eh) "Regular John", "Avon", "Auto Pilot", "No One Knows", "Little Sister", "Sick, Sick, Sick", "Make It Witchu" e… no, ok, …Like Clockwork era secco come l'orto dietro al Rancho de la Luna.

È quindi naturale, insomma, che dei Queens of the Stone Age alla ricerca di una luce alla fine del tunnel di negatività dell'ultimo album si rivolgano a un professionista del pop da classifica per dare una rinfrescata al proprio suono, sempre tenendo presente che Homme è un esperto uomo di studio, molto consapevole dei propri mezzi da songwriter e musicista. Il risultato è un album che suona leggero, dinamico, ma anche maledettamente strambo.

Già il fatto che abbia usato la parola "leggero" fa capire che Villains è una sterzata vigorosa per i QOTSA. L'iniziale "Feet Don't Fail Me", anche grazie a un intro studiato appositamente, lascia letteralmente a bocca aperta. Tanto dal punto di vista dei suoni quanto da quello dei testi sembra proprio che Homme voglia comunicare esplicitamente un messaggio: ormai sono al timone di questa band da vent'anni e faccio quel cazzo che mi pare, compreso un pezzo funk con il bass wah. Per questo, accentuata dalla produzione pulita, aperta e stratificata, in Villains a brillare è la varietà e una certa ironica tracotanza.

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Se le prime due canzoni dell'album sembrano concentrate su due importanti attività come ballare e scopare, già da "Domesticated Animals" ci sovviene che dietro la batteria c'è John Philip Theodore, ex-Mars Volta al debutto su disco con i QOTSA; il pezzo infatti coniuga la tipica sbruffoneria catchy di Homme con tempi dispari e una struttura piena di cambi inaspettati. Da lì in poi questa ambizione arty e complessa sarà l'aspetto dominante dell'album.

Arrivano infatti "Fortress", con un feeling quasi da moderno pop americano ma installato su linee di synth inquietanti e una batteria secchissima che potrebbe essere suonata da Robert Gotobed; l'hard-rock ultra-elettrico di "Un-Reborn Again"; "The Evil Has Landed" con Michael Schuman che si lancia in piruli bassistici da vertigini mentre il resto della band ci dà dentro di Led Zeppelin tra un cambio repentino e un coretto celestiale.

Tematicamente, Homme calca la mano sulla questione dell'età, dell'esperienza e sull'essere onesti con se stessi. Perlopiù sembra voler esprimere una certa idiosincrasia verso la società "della gioventù", rivendicando il suo diritto a essere adulto, vecchio se vogliamo (anche se a soli 44 anni), e a decidere da sé la propria direzione come uomo e come artista. In "Un-Reborn Again" si prende gioco di chi "annega nella fontana dell'eterna giovinezza", mentre in "Fortress" mette in guardia: "Ti racconto la cruda verità / Ognuno affronta l'oscurità da solo / Così ho fatto io, così farai anche tu".

L'album, rispetto al precedente, è decisamente migliore. Più maturo, più coraggioso, ma anche più divertente e stratificato. Ascoltandolo mi rendo conto del più grosso fraintendimento quando si parla della band di Joshua Tree: che siano un gruppo devoto al classico rock'n'roll e poco altro. Sì, è vero, nel disco si trovano i Led Zeppelin e il fuzz degli ZZ Top, ma con un po' di attenzione si possono notare le influenze più varie, dall'art-rock inglese al moderno pop. Quello che è vero è che i QOTSA del 2017 hanno sempre di meno a che vedere con quelli, tanto amati, di Rated R o Songs for the Deaf—ma alzi la mano chi sarebbe contento di ritrovarsi con una fotocopia dell'alternative anni Novanta quindici anni, quattro album e svariati cambi di formazione dopo.

Mentre gli aficionados si lamentano del fatto che Mark Ronson avrebbe snaturato il sound della band, a un ascolto approfondito è chiara una cosa: Homme e i QOTSA non hanno bisogno di farsi snaturare; si snaturano da soli, ogni volta che entrano in studio. E speriamo continuino a correre in ogni direzione, perché nel deserto chi si ferma è perduto.

Giacomo è su Twitter: @generic_giacomo.

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