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Musica

Massimo Scocca e il suo sconfinato archivio punk'n'roll anni Novanta

Il fondatore di Two Bo's Maniacs e Lame ci ha prestato un po' dell'incredibile materiale che presto raccoglierà in un documentario.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

Tutte le foto per gentile concessione di Massimo Scocca. Da dx a sx: Massimo, Jack Oblivian, Gisella (2016).

ERRATA CORRIGE: la prima versione di questo articolo indicava Massimo Scocca come co-fondatore di Hate Fanzine. In realtà la sua collaborazione è iniziata al terzo numero e i fondatori della 'zine sono Pierluigi Bella, Chicca Blasetti e Francesco Panatta.

Uno pensa che nel 2016 ci sia un nome per ogni sottogenere e nicchia esistente, soprattutto se si parla di vecchia musica rock con le chitarre di legno dei nonni. Eppure ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne possa battezzare Julian Cope. Tra la fine degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta emerse negli Stati Uniti un movimento alieno, un esercito di outsider che pareva destinato a rimanere ben nascosto nelle cripte della musica mondiale. E così è stato, in gran parte.

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Un'ottima risorsa per capire di che cosa si sta parlando sono i cataloghi della fondamentale Crypt Records, con cui il fondatore Tim Warren ha inondato per anni le caselle postali dei suoi clienti, scritti in uno stile a metà tra Lester Bangs sveglio da una settimana e un bambino di otto anni tirato su a Piccoli Brividi, Cramps e film di John Waters. No-Fi, punk'n'roll, trash garage punk, punk-a-billy… è tutta terminologia valida. Negli ultimi anni, Eric Davidson, cantante dei New Bomb Turks, ha scritto un libro sulla scena che li ha accompagnati per tutta la loro carriera, chiamandolo (bel tentativo di diventare portavoce di una scena che non ne ha mai avuti) Gunk Punk. Ciò che accomunava queste entità era, a grandi linee: una passione infinita per il punk Killed By Death più sconosciuto, i Cramps, il Sixties Punk, il vandalismo e la bassissima fedeltà. Si formò un'ondata di gruppi minimalisti, grezzi e nichilisti come il punk, ma che producevano musica ballabile orientata al far festa come il garage.

Backstage con i Devil Dogs (1995).

Anche in Italia qualcuno è rimasto contagiato da questa febbre. Il torinese Massimo Scocca, tra tutti i fanatici, è stato uno dei primi e uno dei più accaniti (e organizzati). Folgorato dai Gories nel 1990, per il decennio successivo si è dato da fare suonando, organizzando concerti e girando l'Europa e il mondo alla ricerca di quel brivido che solo un riff rubato a Chuck Berry suonato con una chitarra da 20 dollari ti può dare. Nel fare questo ha raccolto una quantità di materiale video, audio e fotografico impressionante.

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Io e Massimo ci siamo conosciuti a inizio anno a un concerto dei Lame, il gruppo che ha formato un paio di anni fa con Stefano Isaia (Movie Star Junkies, Gianni Giublena Rosacroce, Piramide Di Sangue). Io non vedevo l'ora di parlargli perché pur essendo troppo giovane per vivere gli anni d'oro di questa scena ne sono stato sempre affascinato, fin da adolescente, e conoscevo le sue band precedenti. Quando, qualche mese fa, ha cominciato a caricare alcune foto sulla sua pagina Facebook non ho resistito e gli ho chiesto un'intervista e qualche pezzo del suo archivio per Noisey. Siamo finiti per stare al telefono un'ora e mezza, e il risultato è quello che potete leggere, vedere e ascoltare qua sotto.

Noisey: Ciao Massimo, come va?
Massimo Scocca: 'Nsomma, forse avrei fatto meglio a non fare così tardi ieri sera al concerto di Jack Oblivian. Non ho più l'età!

Il tuo archivio di foto e registrazioni varie è sterminato, che cosa pensi di farci?
Eh sì! Devi sapere che io e la mia compagna Gisella, tra il '90 e il '99, abbiamo organizzato concerti e girato per tutta l'Europa inseguendo le band legate alla galassia Crypt, In The Red, Sympathy For The Record Industry, Bag Of Hammers, e in molte di queste situazioni portavamo la macchina fotografica oppure la telecamera, oppure il registratore, oppure tutte e tre le cose insieme. Quindi abbiamo raccolto una montagna di materiale. Poi ci sono locandine, foto, fax che ci scambiavamo con i vari amici… tonnellate di roba. Così qualcuno ha cominciato a dirmi: "Non puoi lasciare tutta questa roba a marcire in casa!". Ma cosa farne? Un documentario? Mi sono rivolto a gente che lavora in questo campo e che fosse appassionata di questo genere, perché non mi va di lavorare con gente che non ci capisce un cazzo. Abbiamo iniziato a parlare di un filo conduttore, una specie di trama, per inserirci sia il materiale d'archivio sia, per renderlo più attuale e interessante, interviste con gli stessi protagonisti. Molti di loro suonano ancora, alcuni gestiscono un'etichetta, però a volte quelli che sono finiti a fare tutt'altro sono i più interessanti. Il progetto è partito davvero da pochissimo, abbiamo buttato giù le idee circa un mese e mezzo fa. Abbiamo iniziato con le interviste e per adesso abbiamo già Jon Spencer, Ben Wallers [the Rebel, Country Teasers. N.d.R.], King Khan, e ieri sera abbiamo incontrato Jack Oblivian. Sono tutti personaggi di cui ho materiali o interviste dell'epoca, per cui è molto bello fare un confronto, mostrargli le vecchie foto, ecc. È molto interessante anche da un punto di vista umano, non solo musicale. Solo che è un progetto enorme, per cui sto ancora cercando di capire come procedere con questa cosa. Ho capito che ci vorranno almeno due anni per saltarcene fuori. È un lavoraccio.

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Massimo e Gisella a casa di Tim Warren e di sua moglie Micha ad Amburgo (1993).

Potresti mettere insieme un documentario e affiancargli un sito internet con l'archivio di extra e materiale vario…
Bravo! Esattamente quello che mi consigliava ieri una che se ne intende. Perché io le ho detto: "Ma scusa, come cazzo faccio a far entrare tutta questa roba in un documentario di un'ora? Capisco che la sintesi è un dono importante, ma si rischia di lasciare fuori cose fondamentali". E lei mi ha consigliato proprio quello che hai detto tu. Magari una cosa ad abbonamento. Perché alcune delle interviste che stiamo facendo sono interessantissime. Figurati che abbiamo un video di settanta minuti girato a casa di Ben Wallers con lui che prepara il tè, suona con il game boy… una roba pazzesca. Per quelli malati come noi è una miniera d'oro, magari non proprio settanta minuti, ma quarantacinque…

Torniamo al principio. Com'è iniziata la tua fissazione per la musica?
Da piccolissimo ho scoperto i Beatles e per un sacco di tempo non ho ascoltato altro. Dopodiché sono passato alla classica British Invasion, Rolling Stones eccetera, avrò avuto undici anni, era la seconda metà degli anni Settanta. Poi alle medie ho iniziato ad approfondire il classic rock, però essendo un ragazzino e non avendo un soldo compravo un disco ogni due mesi. Durante l'adolescenza però ho subito il fascino del fermento anni Ottanta: mi piacevano il punk, il post punk e la new wave, però avevo sempre la testa negli anni Sessanta. La dimensione anni Ottanta delle spalline, dei new romantic, dei Duran Duran mi faceva cagare, in più Torino a quei tempi era una città orrenda: una città-fabbrica, grigia, piena di eroina, senza luoghi di aggregazione.

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Però c'erano i punx, no?
C'erano molte scene. Col senno di poi è stato un periodo molto figo, ma anche molto duro, difficile. Giravano band che adesso sono nell'olimpo della musica, ho visto i Gun Club, i Cramps, i Suicide, i Ramones, i Talking Heads. Poi c'era l'esplosione del punk hardcore. Ma era difficile fruire di tutta questa musica, perché erano eventi che avvenivano in mezzo al deserto culturale. La gente si divideva in categorie, spesso ci si odiava. Non c'era la cultura del crossover, del mescolare i generi, quella è arrivata molto dopo, sostanzialmente negli anni Novanta, con il grunge. In Italia forse ancora dopo.

E tu a che sottocultura appartenevi?
A fine anni Ottanta ero in fissa con il garage, e soprattutto con le compilation che stavano uscendo in quel periodo: Pebbles, Back From The Grave, tutto quello che faceva la Crypt. Ma anche gruppi come Gravedigger V, Morlocks, Chesterfield Kings. Tutta quella ondata di metà anni Ottanta che riprendeva suoni anni Sessanta, anche se i più pettinati, tipo i Fuzztones, già ai tempi non mi facevano impazzire. Preferivo la roba più selvaggia. All'epoca la Crypt faceva solo compilation di vecchi singoli, gli unici gruppi contemporanei erano Wylde Mammoths e Raunch Hands.

C'è stato un momento in cui hai capito che dovevi ritagliarti la tua scena al di là delle divisioni pre-esistenti?
Quello che è successo è che nel 1990 sono andato negli USA per la prima volta nella mia vita, in vacanza con alcuni amici. Eravamo a New York e io mi sono trovato a sfogliare la rivista con gli eventi della settimana, e ho visto che c'erano Raunch Hands e Gories. Non li avevo mai veramente approfonditi, però li conoscevo perché erano su Crypt, così ho deciso di andare a vedere 'sto concerto. Hai presente i Blues Brothers, "Ho visto la luce", epifania totale? Una roba da battesimo. I Gories sono stati pazzeschi. Facevano garage, ma non era garage come lo facevano gli altri. C'era questa batteria con due fusti, senza cassa e senza piatti. C'era Mick Collins con la sua voce soul incredibile, suonavano tutti scordatissimi… poi dopo mezz'ora o quaranta minuti hanno dovuto interrompere il concerto perché si è rotta la chitarra di Mick. Non una corda, gli è rimasto proprio in mano il manico! E non è perché l'avesse spaccata contro il muro, era solo una chitarra talmente di merda che si è spezzata a metà mentre suonavano! E il concerto è finito così. L'impatto è stato fortissimo, sembravano una versione primordiale dei Cramps. Già lì sono rimasto totalmente pietrificato, ma non è finita lì, perché dopo hanno suonato i Raunch Hands, tipo dall'una alle tre di notte, senza mai fermarsi, dal surf al rock'n'roll al rhythm and blues alla ballata. Erano la party band definitiva. Dopo cinque o sei pezzi è salita anche sul palco una spogliarellista, che poi ho scoperto essere una Margaret Doll Rod giovanissima.

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Insomma, questo concerto è stata un'iniezione di attitudine che mi ha fatto capire quale strada imboccare. Prima di allora non avevo mai pensato di formare una band, ma appena tornato in Italia è stata la prima cosa che ho fatto. Così sono nati i Cave Dogs: eravamo io, Gisella, Fausto e Piera (che poi formarono i Killer Klown). La cosa buffa è che questa band non aveva il basso, cosa che adesso è perfettamente normale, ma all'epoca ti assicuro che suonare senza basso era una cosa stranissima. Nella migliore delle ipotesi ci chiedevano se volevamo emulare i Doors—nessuno pensava ai Cramps. Il fatto è che non eravamo, come dicevamo prima, né un gruppo garage né un gruppo punk, era un ibrido sconosciuto qua in Italia. Ci vorrebbe un libro per parlare di tutte le divisioni, le micro-scene, il provincialismo italiano.

Jon Spencer in uno squat a Lione (1993).

Così adesso c'era il gruppo, ma mancava il pubblico, giusto?
Oltre all'illuminazione riguardante il suonare, al concerto di New York capii anche che in Italia c'era bisogno di gente che questa musica la ascoltasse. Così ho cominciato a contattare Tim Warren, che nel frattempo si era trasferito ad Amburgo. Questa cosa ha cambiato molto il panorama europeo. Lui spostò la sede Crypt dal New Jersey alla Germania, aprendo le porte europee per tutte queste band. Ai tempi mettersi in contatto con la Germania significava aspettare mesi per una lettera di risposta perché le telefonate costavano un occhio della testa. Comunque riusciamo a stabilire un contatto e cominciamo a sbatterci per portare queste band in Italia, e lì cominciano i casini. Tanto per cominciare si trattava di convincere i locali e i centri sociali ad ospitarle. Da un lato avevano il vantaggio, rispetto ai Cave Dogs, di essere più professionali: avevano le foto promozionali, i dischi su etichette internazionali, e poi erano americane; dall'altro avevano lo svantaggio di voler essere pagate decentemente, perché erano in tour. E quando ti chiedevano che musica facevano era sempre un problema. "Sono punk ma fanno anche un po' blues, sai tipo i Cramps…", ma nessuno capiva un cazzo. Era inspiegabile. Non potevi dire punk perché non era né grunge, né hardcore, né crossover, né punk77; non potevi dire rock'n'roll perché altrimenti si immaginavano i ciuffi imbrillantinati e i raduni di Cadillac; garage nemmeno, perché voleva dire stivaletti alla Beatles e chitarre vintage col suono perfetto. Una volta superato questo problema, nemmeno la gente era molto pronta, perché era pesantemente influenzata da quelle divisioni anni Ottanta di cui ti parlavo. Non rientravano negli stereotipi di genere, e il pubblico non li riconosceva.

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Insomma, l'incubo di ogni promoter.
Ci sono state una serie di situazioni veramente surreali. Una volta hanno pagato i Gaunt con i soldi falsi e loro se ne sono accorti troppo tardi. Un'altra volta siamo riusciti con mille difficoltà a organizzare una data ai Beguiled, che erano una delle mie band preferite, e ai Fireworks (Crypt spesso accoppiava le band per risparmiare), in un locale della periferia Nord di Torino che era gestito da un mezzo mafioso, e abbiamo rischiato di farci spaccare le gambe dopo aver accidentalmente rotto un tavolo di cristallo.

Poi decidete che spostare la montagna è troppo faticoso, e che vi conviene muovervi…
Per un po' siamo andati avanti a sbatterci, ma dopo un po' non ne potevamo davvero più, perché non ne valeva la pena. Era difficilissimo trascinare fuori le persone, i locali non erano d'aiuto, mantenere i contatti era una fatica infernale. A noi questa musica piaceva troppo, non potevamo aspettare il locale del mafioso. Così iniziamo a girare l'Europa per vedere concerti. Vivendo a Torino avevamo la fortuna di essere vicini alla Francia, così abbiamo cominciato a farci questi viaggi con la nostra Panda 45, attraversando il passo del Moncenisio per evitare di pagare il Fréjus. Erano imprese epiche. A volte partivo appena uscito dal lavoro, tipo alle cinque, alle nove arrivavo in Francia, parlavo un po' con la band, magari l'intervistavo, poi guardavo il concerto, mi bevevo un po' di birre con loro, ripartivo per l'Italia, arrivavo a casa, mi cambiavo e tornavo al lavoro. Ma quando un concerto è imperdibile… Le abbiamo fatte tutte: autostop, treno… poi ci siamo comprati un vecchio Transit tutto arrugginito in cui abbiamo messo i materassi per dormire. Come si dice, con ogni mezzo necessario.

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In quegli anni siamo andati anche negli USA tre volte, alla ricerca di dischi, band, etichette. Siamo stati a trovare Long Gone John della Sympathy con la scusa di intervistarlo, anche solo per vedere casa sua, che è un vero e proprio museo. Lì ci abbiamo trovato anche l'ex bassista dei Gun Club, per cui siamo finiti per intervistare anche lui. Poi siamo stati a casa di Eric e Jack Oblivian, abbiamo fatto dei viaggi nei posti più sperduti degli USA alla ricerca di quel negozietto di dischi imperdibile di cui avevamo sentito parlare. In questo modo abbiamo fatto dodicimila chilometri in un mese. Molto del mio materiale viene da questi viaggi. Ci tengo a dire che tutto veniva fatto da lavoratori, nel mese di ferie o tornando distrutti dopo il weekend, nessuno di noi era ricco di famiglia.

Un approccio Do It Yourself.
Sì, lo possono fare davvero tutti. Non eravamo dei privilegiati. Eravamo degli sfigati qualunque che utilizzavano i loro pochi soldi per andare a concerti e comprare dischi. Quello che abbiamo vissuto all'interno di questa scena ci ha permesso di suonare in un certo modo e di vedere le cose in un certo modo. All'interno di questa comunità ristrettissima potevi essere contemporaneamente musicista, spettatore, promoter e critico. In Italia era una scena fantasma, ma in Europa cresceva per l'influsso della Crypt.

Poi l'Europa è anche finita per essere l'ultimo bastione di questo tipo di punk rock'n'roll, ben oltre il suo tramonto negli USA a metà anni Duemila. Forse si è un po' cristallizzato in una specie di formula, eppure in Europa la fissa per certe sonorità non sembra essere ancora passata.
Ne parlavo proprio ieri con Jack Oblivian. Il fatto è che le band americane sono al 99 percento più fighe di quelle europee. Questo è dovuto a una marea di fattori. Negli anni abbiamo chiesto a molti americani quale fosse il loro punto di vista, e ognuno ha dato una risposta diversa. La risposta più ovvia è che loro hanno una tradizione musicale molto coerente con questo genere: come mio padre ascoltava la musica napoletana, loro ascoltavano il rock'n'roll come forma di musica tradizionale. Jerry Lee Lewis e Bo Diddley sono i loro Mino Reitano e Toto Cutugno, in pratica. Altri dicevano che la lingua inglese fosse molto più adatta a suonare quella roba lì. Altri davano il merito allo spirito competitivo che viene instillato negli americani fin da bambini; è una società selettiva e violenta, e se non ti sbatti e non dai il meglio di te rischi di non ottenere proprio nulla. Allo stesso tempo suonare negli USA è problematico perché le distanze sono proibitive, ci sono tante band, la competizione è spietata, la paga è più bassa… Mentre in Europa tutti vanno a vedere il gruppo americano, è tutto più compatto e soldi, cibo e posto per dormire non si negano a nessuno. E poi dicevano che la gente qua conosceva i dischi e le canzoni, mentre a casa non se li cagava nessuno.

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Nel 1994 tu e Gisella formate i Two Bo's Maniacs…
Sì, forse era il '93. Se i Cave Dogs erano strani perché non avevano il basso, figurati che cosa doveva sembrare un gruppo formato solo da un chitarrista e una batterista…

Circa dieci anni prima che i White Stripes conquistassero il mondo con la stessa formula!
Esatto! Era esattamente la stessa cosa. All'epoca era una stranezza assoluta.

Negli studi Motown con Mick Collins (Gories, Dirtbombs) e Pierluigi e Kikka di Hate Records .

Però in Italia c'era Hate records/fanzine.
Sì, lì fu quando scoprimmo di non essere soli in Italia. Siamo venuti a sapere che a Roma c'erano questi tizi che lavoravano da Helter Skelter e ogni tanto pubblicavano dischi fighi, così li siamo andati a trovare portandoci dietro una delle nostre cassette registrate nello scantinato. Loro avevano appena fatto partire la loro etichetta e ci hanno proposto di fare un singolo. Da lì è iniziato il sodalizio e quasi tutti i nostri dischi sono usciti per loro. Poi abbiamo cominciato a collaborare con la fanzine Hate, che secondo me all'epoca era abbastanza all'avanguardia e parlava di tutta questa roba qui.

Io sono arrivato un po' in ritardo, ma la ricordo. Ne comprai un numero a un banchetto perché conteneva un 7" split tra Gories e Lord High Fixers.
Sì, uscì anche uno split tra noi e Lightnin' Beat Man, che penso sia stata la sua prima uscita. Qualche tempo dopo, abbiamo deciso di registrare un 10" in studio invece che in casa come al solito, per provare ad avere un suono sempre ruvido ma un po' più professionale. Mentre tornavamo dallo studio, in auto, di notte, io e Giz ascoltavamo la cassetta e parlavamo di quanto il suono ci facesse cagare, ci sembrava freddo e patinato. Così abbiamo buttato il nastro dal finestrino e abbiamo contattato Tim Kerr, che avevamo conosciuto a Los Angeles l'anno prima. Pensavamo che non ce lo saremmo potuti permettere come produttore, ma ci abbiamo provato comunque, e lui in cambio ha voluto solo un biglietto aereo e che ospitassimo lui e sua moglie a casa nostra!

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A quel punto facciamo un accordo con uno studio che aveva appena aperto, dicendo: "Ti portiamo questo produttore americano, questo è il suo curriculum. Poter dire che lui ha lavorato da te ti farà una bella pubblicità!". E così non abbiamo pagato nemmeno lo studio. Era nuovo di zecca, però Tim ha usato dei nastri vecchi, infatti se ascolti con molta attenzione il nostro 10" si sentono altre registrazioni in sottofondo. Lì abbiamo imparato un sacco di robe sulle registrazioni e anche sul modo che hanno gli americani di lavorare: Tim era abbastanza sconvolto dal fatto che noi facessimo la pausa pranzo. Poi faceva il vero e proprio produttore, dandoci suggerimenti su come suonare. Noi eravamo super autodidatti, e poi ai tempi senza Internet era difficile avere informazioni.

Tra le foto ne ho vista anche una con Greg Shaw. Come fu conoscerlo?
Passammo un pomeriggio con lui a Cahuenga. Ricordo che mangiammo in un ristorante messicano. Me lo ricordo come una persona estremamente disponibile e gentile. Ho una C90 di lui che racconta il libro della Genesi. Sì, perchè senza di lui, tutto quello che è venuto dopo non sarebbe esistito.

Greg Shaw al ristorante messicano.

Con l'arrivo del nuovo millennio però hai un po' perso interesse…
Be', sì, sono cose che capitano, ma la scena aveva perso forza, nel '99 tutti i gruppi fighi si erano sciolti, la Crypt era in difficoltà… e poi nel 2000 c'è stata l'esplosione di popolarità del garage rock, con i White Stripes e gli Strokes. Questo ha portato a un certo distacco e disinteresse per chi come me ci era stato dentro per tutto questo tempo, e ora si vedeva circondato di facce nuove (e gruppi pettinati). Così ci siamo presi un po' di pausa. Rispetto alla bulimia degli anni Novanta, dal 2000 in poi sono andato a molti meno concerti, anche se ovviamente non riuscirei a vivere senza musica.

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Una pausa che, perlomeno dal punto di vista della tua partecipazione a una band, è durata fino al 2013, quando sei entrato a far parte dei Lame. Come mai hai deciso di ricominciare a suonare?
È stato un vero caso. Conoscevo Stefano [Isaia] da quando lui era un ragazzino che suonava la batteria in un gruppo surf, non siamo mai stati amici-amici per via della differenza di età, però ci conoscevamo. Un giorno ero in pausa pranzo, stavo in fila per ordinare un panino, ed è entrato lui. Mi dice: "Sto formando una nuova band, ma non voglio reclutare nessuno dai miei altri gruppi, voglio fare una cosa nuova. Ti va di provare?" Mi sono preso qualche giorno per pensarci, lui nel frattempo mi ha mandato dei demo… e ho semplicemente detto sì. Mi facevo un sacco di problemi perché non volevo che diventasse una cosa tipo dopolavoro, sai, andare alle prove come altri vanno a giocare a calcetto. Ma mi sono reso subito conto che si trattava di un gruppo vero, vivo, e non ho resistito.

Lame al Binic Festival, in Bretagna (2015).

Che cosa è cambiato nel tuo punto di vista e nella scena punk/garage in questo tempo?
Lo sto scoprendo in particolare adesso, perché ho ricominciato a frequentare molto i concerti, un po' perché suono, un po' perché ho queste interviste da portare avanti. Per certi versi mi piacerebbe avere vent'anni di meno, perché la scena oggi è molto più viva. Specialmente in Europa, non c'è paragone rispetto agli anni Novanta. Il panorama europeo, non solo italiano, è molto migliore. Magari manca la cosa stratosferica che ti cambia la vita, ma ci sono molte più band che fanno musica bella, c'è grande varietà e la qualità media è molto più alta. E poi ci sono le scene, la gente che viene ai concerti conosce la musica che sta andando ad ascoltare, è tutto più facile. Una volta avevi l'impressione di essere un alieno, non si riusciva a comunicare. Adesso non è più così, è più facile farsi capire, al di là della tecnologia. Nel pubblico trovi ventiduenni che conoscono esattamente il genere, hanno riferimenti interessanti per ogni cosa.

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Negli USA invece la qualità è un po' calata. All'epoca ogni gruppo che usciva sembrava una novità clamorosa, erano tutti diversi. Per esempio i Country Teasers [che sono inglesi, ma debuttarono su Crypt, N.d.R.], la prima volta che li ho sentiti, ho detto: "Ma che cos'è questa roba? Mettono insieme il country, i Joy Division e i Fall?". Erano davvero strani. Poi dopo di loro arrivava Jon Spencer, totalmente diverso. Poi i Gories, un'altra cosa ancora. I Nine Pound Hammer, i New Bomb Turks, i Teengenerate, i Cheater Slicks… queste band erano tutte incredibili e tutte diverse. Adesso non mi sembra ci sia qualcuno in grado di prendere il loro posto. Forse è perché quello è il mio Pantheon, però niente riesce a emozionarmi come le cose che ti ho citato.

Forse la vena del genere è esaurita.
Può darsi, e forse c'entra anche il fattore emotivo. Non faccio il critico musicale, non voglio dire chi è meglio e chi è peggio. Solo secondo me gli USA sono in declino, mentre l'Europa è in crescita, da quel punto di vista. Andare a suonare in Europa oggi è molto più bello e stimolante. In Francia, ad esempio, ci sono tantissime band davvero brave. E poi chi se lo sarebbe mai aspettato che saremmo andati pazzi per i gruppi greci? Se posso fare un paragone: è come quando si dice che una volta si conosceva meglio la musica perché si compravano pochi dischi, mentre oggi hai accesso a un'infinità di roba che puoi ascoltare, ma fai tutto in modo più superficiale. È la stessa cosa con i gruppi: ce ne sono talmente tanti oggi che probabilmente nessuno riuscirà ad avere lo stesso impatto delle vecchie leggende, però è anche vero che ti ascolti un sacco di roba diversa e stimolante. È difficile avere allo stesso tempo l'estensione e la profondità.

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Gli Oblivians leggono Hate 'zine (1996).

È bello che tu dica così, non ti si può accusare di passatismo e nostalgia.
Io non rimpiango proprio nulla. Quando si invecchia si tende a mitizzare il passato, ma io me lo ricordo bene quanti cristi ho tirato. Non era figo, a parte la musica, non era per nulla figo. La gente non aveva apertura mentale, non ti supportava… non era una roba figa. Non è nemmeno fighissimo trovarsi quasi da soli, per quanto tu possa dire "però eravamo gli unici". È vero, però vissuto sul momento fa schifo. Anche perché ai tempi c'erano band di grande valore che nessuno si cagava. Ascolti i Country Teasers nel '96 e dici: "Questi la gente li deve sentire", poi organizzi le date in Italia e nessuno ci va, e quelli che ci vanno ti dicono "Ma che cos'è sta merda?". Per carità, tutto bene, non fosse che dieci anni dopo sono la band più popolare dell'Universo… che cazzo, dov'eravate nel 1996? Lo capisco se uno è nato nel '90, ma c'è gente della mia età…

Io i Country Teasers li vidi nel 2003 o 2004, dopo il passaggio su In The Red, e ricordo molta gente entusiasta…
Sì, queste sono tutte band che sono risultate molto influenti sulla scena degli anni Duemila e di adesso. Una cosa singolare è che, ad esempio, Oblivians e Gories, che sono citatissimi da Jack White (ha addirittura comprato la chitarra di Jack Oblivian), sono band che hanno influenzato l'esplosione garage del 2001, ma loro non ci hanno guadagnato veramente un cazzo. Giravano col furgone da disperati, erano trattati allo stesso modo di noi Lame oggi praticamente. Però meritavano di più.

Gisella che suona la batteria con i Dirtbombs durante le session di Chariot Of The Gods (1999).

È per questo che esistono le reunion!
Esatto! La roba paradossale è che adesso li invitano ai festival sganciando cinquemila euro a concerto, e… oh, io gli voglio tanto bene, però li ho visti l'anno scorso a Ravenna…

C'ero anch'io!
Ecco, secondo me hanno fatto un concerto veramente brutto! Ovviamente ci siamo tutti divertiti e abbiamo ballato, però il paragone con le band che erano è impietoso. Danno proprio l'idea di essere band morte, come effettivamente sono. Non è una condanna, si stanno giustamente riprendendo quello che gli spettava. Però è paradossale che la gente vada in delirio per una band morta, che rifà i pezzi di venticinque anni fa. Le band vive sono quelle che continuano a creare musica, magari peggiore, ma perlomeno vanno avanti a proporre cose nuove. Sia chiaro, il mio è il giudizio di uno che li ha visti tante volte, nel caso degli Oblivians almeno venti, e non è che oggi mi facciano schifo. Sono sempre ultra-dignitosi. Però preferisco una band di venticinquenni, mi stimola di più.

Grazie Max, ci vediamo al prossimo concerto dei Lame!
Ecco, a tal proposito, non siamo ancora mai stati a Milano…

Ascolta l'album dei Lame The Lame Shall Enter First su Bandcamp.

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