Non ci sono le tigri in Congo! Una chiacchierata con In Zaire

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Musica

Non ci sono le tigri in Congo! Una chiacchierata con In Zaire

Dopo averci fatto ascoltare in anteprima il nuovo album 'Visions of the Age to Come', il quartetto ci spiega la sua idea di musica, gioco e psichedelia.

Un paio di giorni fa vi abbiamo presentato in anteprima il nuovo disco degli In Zaire, una delle migliori band italiane, unione dei "vecchi" G.I. Joe (con uscite su etichette che amiamo molto come Holidays, NO=FI e Troglosound) con Claudio Rocchetti e Stefano Pilia, che speriamo non abbiano bisogno di presentazioni per i lettori di Noisey.

Se invece avessero bisogno di presentazioni, vi ricordiamo che entrambi (come anche Valerio Tricoli) hanno fatto parte dei mai abbastanza lodati 3/4HadBeenEliminated per poi passare nel caso di Rocchetti principalmente alla carriera solista tra ambient e noise (vi abbiamo presentato in anteprima il suo ultimo, splendido Memoria Istruttiva); mentre Pilia, tra i migliori chitarristi italiani, ha prestato la sua opera agli Afterhours, ha formato un trio con (quel gran genio di) Andrea Belfi e nientemeno che Mike Watt (Il Sogno del Marinaio), ed è entrato in pianta stabile ad arricchire la formazione dei Massimo Volume. Non bastasse tutto questo, ha trovato anche il tempo per coltivare la sua carriera solista - per esempio con l'ultimo, bellissimo, Blind Sun New Century Christology, uscito per Sound of Cobra, etichetta fondata proprio dal batterista degli In Zaire, Ricky Biondetti.

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Visions of the Age to Come esce il 2 maggio per Sound of Cobra ed è una vera mina, un disco potente e divertentissimo, che mescola elementi psichedelici al kraut, al metal, all'hard rock e alla musica nera africana meglio di quanto riesca a fare chiunque altro provi non solo nel nostro Paese ma anche a livello globale.

Ci siamo fatti raccontare qualcosa di più via mail dai diretti interessati.

Noisey: Le domande sull'origine del nome di una band sono assolutamente insopportabili, ma cercando In Zaire su Google la maggior parte dei risultati rimanda a una canzone di Johnny Wakelin. C'è qualche strano aneddoto per cui il nome si riferisce alla canzone o è soltanto un caso?
Ricky Biondetti: In Zaire nasce da una particolare attrazione verso l´esotico e il finto esotico come pretesto di intuizione e ispirazione… Ci capitò tra le mani un disco di Round One che remixavano in versione afro dance proprio il pezzo che citi, con in copertina una tigre (non ci sono le tigri in Congo!) e pensammo fosse perfetto per il nome del gruppo!

Sono passati quattro anni dal disco precedente, vi sembra che il nuovo ne sia figlio in tutto e per tutto o che ci sia stata qualche evoluzione stilistica? Se devo dire la mia, mi sembra che questo arrivi più dritto in faccia, abbia meno spazio per le mezze misure e i panorami offuscati. E che se insieme alla psichedelia restano la vena kraut e l'elettronica forse a questo giro ho sentito meno presente l'elemento black-africano del vostro suono.
Alessandro De Zan: C'è stata sicuramente un'evoluzione stilistica rispetto al disco precedente. Abbiamo provato a inserire cose nuove, stili e generi diversi anche in relazione agli ascolti che facevamo e da cui eravamo influenzati. Ci siamo divertiti molto a sperimentare cose nuove, devo dire. Probabilmente abbiamo messo meno l'elemento black e di più quello rock e metal.

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Stefano Pilia: Direi che è figlio di un percorso che abbiamo fatto assieme in questi anni e che comprende tante cose tra cui anche l'esperienza del disco precedente e i concerti dal vivo fatti fino a qui, ma anche lo scambio di idee, musiche e passioni varie. A dire il vero non sentivo prima e nemmeno ora sento molto questo elemento "black" a cui accenni. C'e nel modo di calarsi ed improvvisare dentro il groove in modo ipnotico qualcosa che succede molto in molta musica africana. Quindi direi piuttosto afro che black. Delle due mi sembrano forse più espliciti in questo senso un paio di riferimenti presenti nel ultimo disco. In particolare nelle tracce di apertura dei due rispettivi lati.

Ricky: Sono stati quattro anni in cui siamo cresciuti come persone sia individualmente che socialmente, questo sicuro si rispecchia negli ascolti e e nel modo di suonare. Il black funk ha lasciato spazio al black metal! Il panorama sociale e politico in cui viviamo necessitava a mio parere di una forma di espressione più diretta ed energica. Abbiamo anche cercato di sperimentare in territori nuovi, ci siamo avvicinati alla forma canzone, abbiamo cercato di dare maggiore importanza alla chitarra e alla voce.

Claudio Rocchetti: Il suono si è evoluto in alcune direzioni inedite, come sempre prendendo spunto dalle nostre esperienze come singoli, ma sempre risultando più della semplice somma delle parti. Abbiamo viaggiato e suonato molto, è passato un po' di tempo e anche la gestazione del disco non è stata lineare: tutto questo ci ha portati a muoverci all'interno di un flipper. Alla fine del processo il disco come entità risulta sorprendentemente coeso, come parte di un piano, ma credo che ce ne siamo resi conto solo a lavoro praticamente concluso.

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La voce negli In Zaire è poco presente ma esiste. Da cosa dipende il suo uso o meno? È considerata uno strumento come un altro? (Mentre tante band ne fanno un punto cruciale)
Stefano: Non è un strumento come un altro nel senso che il suo ruolo non potrebbe essere sostituito da nient'altro. Ha una funzione precisa, che è quella di evocare nell'immagine sonora una presenza inequivocabilmente "umana". Non ha un ruolo al centro della scena ma è comunque un ruolo molto specifico ed importante, unico. Non è l'elemento verbale ad essere significativo quanto la presenza vocale di per se. Ed in questo senso quando si palesa non si tratta mai di canzoni vere e proprie, ma porta con se il senso di un'apparizione sulla scena, di evocatrice di immagini.

Alessandro: La voce è sempre stata usata come un quinto strumento e viene inserita quando ne sentiamo la necessità, quando sentiamo che manca qualcosa. La voce per noi non è un punto cruciale nel senso di testo scritto ma è piuttosto un colore musicale aggiunto. I testi comunque ci sono e sono sempre stati usati in maniera evocativa, per creare immagini nella mente, con linguaggio descrittivo ma al tempo stesso volutamente criptico.

Claudio: È cruciale pur essendo uno degli elementi del nostro suono e non l'Elemento come in certo pop/rock. È funzionale ai singoli pezzi, una sorta di velo che ogni tanto decidiamo di schiudere.

Ricky: Nel suono di In Zaire non c'è un elemento che sia più cruciale degli altri. Ogni piccola parte e strumento è quel particolare che tende al tutto. Un equilibrio alchemico non indotto tra le parti che vuole servire da punto di partenza per un processo di riflessione e individuazione.

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Vi ho visti spesso inserire nel calderone dell'Italian Occult Psychedelia, è una formula giornalistica di cui non vi importa granché o trovate che sia una definizione in cui vi potete riconoscete?
Stefano: Italiani lo siamo, la psichedelia ci piace. Occulti in qualche possibile senso di questa parola forse lo siamo. Per cui si ci possiamo anche stare. A me non convince molto come "etichetta", restituisce poco immaginario. Però va bene anche cosi.

Ricky: L'Italia ha una tradizione autoctona avant-pschidelica molto caratteristica, nasce se vuoi con Morricone, si sviluppa con artisti e compositori originali come Alessandroni, Umiliani, band incredibili come Sensations Fix, Futuro Antico, Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza solo per citarne alcuni… È bello vedere che ci sono gruppi che portano avanti l'idea dello "spaghetti sound" facendone una bandiera e uno stile musicale, e creando quasi una vera e propria scena italiana. Esserne riconosciuti come parte e condividerla con tanti cari amici è una bella esperienza. Sull'aspetto occulto della scena non saprei… non vedo In Zaire come una band occulta… quando penso ad occultismo penso alla Golden Dawn e ai massoni. Vedo la musica di In Zaire carica di un significato e di una pratica spiritualistica e gnostica.

Mi sembra un disco molto pestone, dove emerge forse ancora di più il vostro lato hard o propriamente metal. È un'impressione sensata?
Claudio: Credo che sia parzialmente giusto, anche se non vedo molta differenza tra gli elementi metal, quelli psichedelici o sperimentali in questo senso.

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Ricky: Di sicuro abbiamo dato spazio ad un suono più forte che riflette il nostro amore per heavy metal e band come Iron Maiden e Sabbath.

E per questo motivo intravedrei anche un certo spirito ludico nel disco, sembra un disco che vi siete particolarmente divertiti a suonare, è così? Per esempio "The Seven Sermons of the Dead" mi sembra avere un'atmosfera quasi da festa.
Alessandro: Suonare con In Zaire è sempre stato prima di tutto un gran divertimento, e continua a esserlo. Come dicevo prima, in questo nuovo disco ci siamo molto divertiti a sperimentare cose nuove come il metal, mi ricordo che mentre registravamo in parecchi momenti suonavamo col sorriso stampato in faccia.

Stefano: Questo è vero, sì, c'e un forte spirito ludico. C'e sempre stato nella musica di In Zaire, e serve ad evocare i giusti demoni. In questo caso è anche accaduto piuttosto spontaneamente di avvertire dentro ad alcuni riferimenti un'eco del passato, e il modo in cui questo si riflettesse in una visione futuribile descritta invece dal nostro suono. Questa specie di retrovisione ha finito anche per avere una funzione espressiva peculiare, come a indicare un passato che spinge dentro una coltre di nebbia opaca, in cui è imprigionato il futuro. Per reclamarlo, renderlo visibile e possibile. Personalmente ho trovato questa combinazione piuttosto espressiva pensando anche ai tempi in cui stiamo vivendo.

Claudio: Quello ludico è un elemento sempre presente in In Zaire. Fin dall'inizio è stato parte del nostro stare insieme e suonare, senza questa euforia che il lavorare insieme comporta non avrebbe molto senso continuare. Può essere che in alcuni pezzi in studio questo si senta più che in altri, ma se ci vedi suonare dal vivo la prima cosa che si palesa è l'energia e la vera e propria euforia che invade il palco.

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L'idea che date è quella di una band per cui conta molto l'improvvisazione più che il songwriting. I pezzi nascono suonando in giro o improvvisando in saletta? Come funziona "la composizione" e quando un pezzo si può considerare finito?
Stefano: Nascono dall'improvvisazione, sempre, sia dal vivo che in studio, a cui segue un minimo di lavoro sulla forma. Non siamo però troppo interessati a compierli in una bella forma compositiva, li immaginiamo più come dei talismani sonori dentro i quali immergerci, ognuno con una sua specifica energia. È più l'energia e l'atmosfera a conquistarci, e la possibilità di creare movimenti dinamici al suo interno. Quando sentiamo che questo è possibile allora significa che il pezzo c'è.

Ricky: Mi piace pensare ai pezzi come dei piccole esperimenti alchemici, degli esercizi empirici che integrano l'inconscio suggerendo un senso di realtà in espansione, una conoscenza ed un sentire più larghi e più ampi. L'improvvisazione in studio quindi diventa una parte fondamentale del processo di esperienza e comunicazione. Ma viene lasciato spazio per l'improvvisazione anche nel momento del live, in modo che l´energia e il processo di comunicazione non sia unilaterale ma tenda a una vera a propria interazione con chi lo fruisce.

Ovviamente il grande amore del gruppo è sicuramente quello per la psichedelia. Quali sono i vostri numi tutelari, e soprattutto ci sono nomi nuovi che sono stati in grado di accendere il vostro interesse?
Ricky: Wow la lista è lunga… citerei sicuramente Hawkwind, Franco Falsini, Fripp, Terry Riley, Charlemagne Palestine, Basic Channel, Can…

Quello psichedelico è un approccio esclusivamente artistico o esiste anche un discorso di esperienze lisergiche?
Stefano: Entrambe le cose.

Ricky: Le droghe sono attivatori di processi di esperienza e conoscenza, lo stesso tipo di conoscenza ed esperienza che cerchiamo attraverso la musica. Esperienze lisergiche non hanno magari un diretto impatto nel processo di creazione della nostra musica… a parte qualche bel concerto sotto effetto di MDMA non abbiamo mai portato le droghe in studio. Ma sicuramente hanno impatto nel processo di individuazione e crescita personale.

In Zaire è un progetto che ha un'estetica e un'iconografia di stampo un po' esoterico. È solo un tributo a un certo immaginario da sempre molto presente in certi ambienti musicali o è qualcosa che va a toccare anche la musica stessa?
Stefano: Anche qui entrambe le cose, ma prima che la musica sono aspetti che riguardano le nostre vite, e quindi poi anche la nostra musica.

Federico è su Twitter: @justthatsome.

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