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Musica

Il vero problema di Boiler Room Napoli

Sono i tristissimi battibecchi che si sono creati sulla bacheca dell'evento.

Il flyer di Boiler Room Napoli, dedicato con tutto il cuore a Felice Caccamo.

Stanotte ho dormito poco. Di solito il lunedì notte lo uso per recuperare le ore di sonno perse durante il weekend (e questo weekend ne ho perse parecchie) ma stavolta qualcosa è andato storto (no, non era la cena) e mi sono ritrovato, mio malgrado, invischiato in una discussione, a tratti grottesca oltre che vecchia, che vede contrapposti gli abitanti e i frequentatori delle due città che amo di più in Italia dopo la mia: Napoli e Milano.

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Partiamo dall'inizio: al calduccio del mio piumone IKEA, con il tablet già posizionato sul film che non avrei finito di vedere per addormentarmi, do l'ultima sbirciata alla mia home di Facebook, in barba alle raccomandazioni degli esperti di lasciare gli smartphone lontano dal letto durante la notte, e mi imbatto in questo post di un discretamente noto rapper e producer barese: "ISIS se esisti davvero, Buon Lavoro".

Ora, premetto che sono cresciuto a pane e South Park, che parlare di razzismo mi pare totalmente assurdo nel 2015 e che uso correntemente la parola "negro" nonostante i parecchi amici di colore, di cui alcuni fraterni, compreso il mio socio che a turno mi chiama "cane" o "negriero", ma sta di fatto che io alla battuta, assolutamente dissacrante, mi sono messo a ridere.

Io e il mio socio a colori alternati.

A quell'ora già eravamo qualche decina di like contro altrettanti commenti di cui buona parte insulti, alcuni incomprensibili anche per me che ho passato 28 estati nell'alto tirreno cosentino magistralmente dipinto da Tony Tammaro in Scalea. La questione mi appassiona subito e, complice anche il fuso orario del weekend a tenermi sveglio, decido di intervenire.
Comincio col dare un'occhiata alla line up: un paio di mostri sacri della scena partenopea come Joseph Capriati, Markantonio e Gaetano Parisio, affiancati ai meno conosciuti (almeno per me) Luigi Madonna e Flavio Folco. Tralascerò in questa sede qualsiasi commento alla scaletta, che i più volenterosi possono andare a cercarsi in una amplissima bibliografia composta dai post lasciati sulla bacheca dell'evento tra detrattori e difensori, con qualche intervento dello scrivente qui e lì, ma ciò che davvero balza agli occhi è la mole di persone che si è sentita in diritto o in dovere di dire la propria. Anche loro non prendevano sonno.

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Possiamo suddividere l'insieme dei commenti in alcune categorie ben distinte (tra virgolette sono le definizioni affibbiate ad ogni parte dalla controparte, ma non sono affatto sicuro della reale geolocalizzazione dei miei amici nottambuli):
Il "milanese" infighettito che si prende gioco della lineup, inserendoci qui e lì anche Marco Carola (che non c'entrava nulla e gli saranno fischiate le orecchie). Particolare sotto categoria è il "milanese nerd" che ha consumato la sua adrenalina da lunedì sera spendendosi nella creazione di sondaggi come quello in foto.

A questa categoria rispondeva con veemenza quella del "napoletano" già in ansia di capire come accedere all'evento (c'è scritto) che risponde nel migliore dei casi parlando di invidia dell'altro per non poter assistere a una Boiler Room, o nel peggiore dei casi con un commento a scarsa densità di vocali e significati, ma comunque estremamente esilarante.Poi ci sono i presi male, tra cui il sottoscritto a dirla tutta, che in una discussione evidentemente senza alcuna via d'uscita si spendono in dettagliate critiche estetiche alla lineup, definita con un sinteticissimo eufemismo tamarra, ma difesa dagli altri perché, almeno, figlia della scuola partenopea, che a onor del vero è l'unico prodotto realmente d'esportazione che è rimasto alla scena musicale italiana, esclusi Toto Cutugno, Capossela e ClapClap.

Ah, poi c'è lui che vince a mani basse.

Da amante di Napoli e dei napoletani, da meridionale fiero e da aspirante salvatore della patria Calabria, mi sento di dire che sarebbe ora di sbarazzarsi di un certo vittimismo, a tratti parodistico, che si impossessa di noi (perché mi ci metto pure io se allarghiamo il discorso a tutto il Sud) non appena ci viene mossa una critica, fosse anche la più sacrosanta e costruttiva delle critiche. Le accuse di razzismo ai "milanesi" non reggono, primo perché non erano affatto tutti milanesi (vedi l'amico barese che mi ha rovinato la nottata), secondo perché, se pure c'è stato qualche idiota che ha scritto qualcosa di razzista, per la maggior parte si trattava di critiche alle Boiler Room degli ultimi tempi e a questa in particolare, che, ricordiamocelo, è un prodotto inglese fatto per un mercato globale che è quello dei social (sempre che quello sia ancora il loro core business, visto che da qualche tempo mi sembra che siano passati all'incasso e, dopo aver creato un bel po di valore intorno al loro brand, ora stiano puntando a fare un po' di quattrini concreti, cosa che con i social è un po più difficile e sicuramente meno immediata). In conclusione, speravo vivamente che la musica fosse differente dal mondo del pallone, dove gli inventori del coro "son contento solo se vedo bruciare verona" accusano di razzismo (o discriminazione territoriale per dirla alla maniera di quei - presunti - giornalisti che se ne occupano) quelli che cantano "o vesuvio lavali col fuoco", speravo che per tutti la musica fosse un linguaggio universale, che tutti avessero, come me, visto concerti da Trento a Castelbuono passando per un centinaio di tappe intermedie, speravo che fosse palese che la scena musicale Italiana ha bisogno di unità di intenti, perché mentre in UK tutti collaborano con tutti e si fa sistema, in Italia siamo al clientelismo persino nella scena indipendente, e soprattutto appena arriva un elemento esterno come il marchio Boiler Room siamo subito pronti a dimenarci come i quattro capponi, dando all'evento stesso, e al suo significato (se ne ha) un'importanza e un peso che andrebbe dato a ben altri temi e a ben altre riflessioni sul mondo della musica. Nonostante un po' pianga il cuore a vedere che di Napoli, della sua storia underground e del suo altrettanto florido presente venga fuori solo questo, come ho già detto, è innegabile che la scena "tamarra" napoletana sia un prodotto d'esportazione la cui potenza è imparagonabile persino a ready-made pop come Il Volo o la Pausini, e questa forza pare sia stata riconosciuta dai businessmen di Boiler Room, i quali a Milano avevano fatto un lavoro analogo o forse più criticabile, portando nella capitale lombarda un prodotto senza radici, senza cuore, solo ca$h.

Comunque è finita che il rapper barese ha cambiato il suo post e trollato tutti, mentre io, al paragone tra Capriati e Thom Yorke ho disattivato le notifiche e mi sono riguardato Il Dittatore di Sacha Baron Cohen, dieci minuti e poi nanna.

Antonio fa musica, ogni tanto scrive per Tsinoshi Bar, più raramente riesce a guardarsi un film in pace prima di addormentarsi.