Il ruolo della cultura Hip-hop nella campagna elettorale USA

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Il ruolo della cultura Hip-hop nella campagna elettorale USA

Il rap è sempre stato politica, ma siamo sicuri che non sia stato strumentalizzato dai candidati alle elezioni statunitensi?

Nelle primarie presidenziali del 2008, Hillary Clinton aveva accusato l'allora avversario Barack Obama di essere un elitista e di non avere il polso della working class statunitense. Quella critica ispirò un discorso del Presidente Obama in cui ribaltò l'argomentazione di Clinton sottolineando che accuse di quel genere facevano parte di un modus operandi della vecchia guardia che andava assolutamente cambiato. A un certo punto diceva una cosa tipo "Bisognerebbe semplicemente lasciare…" e completava la frase con un gesto eloquente: si ripuliva la polvere dalle spalle, con un chiaro riferimento a "Dirt Off Your Shoulder," il singolo di Jay Z, mandando la folla in delirio. "Chi conosceva il pezzo ha subito completato la frase nella sua testa, senza che Obama dovesse aggiungere una parola," mi racconta Lester Spencer, pofessore di Scienze Politiche e Studi Africani all'università Johns Hopkins. "La cosa interessante è che quello finiva per essere uno scherzo rivolto a una precisa nicchia. Perché se lo si guarda da un altro punto di vista—come quello dei giornalisti che popolano le tribune politiche, che sono tutti uomini bianchi—nessuno aveva idea di cosa Obama stesse facendo, e anzi in molti lo presero come un gesto arrogante. Non avevano capito niente." Nel suo libro del 2011 Stare in the Darkness: The Limits of Hip-hop and Black Politics, il professor Spence usa questo esempio per illustrare il modo in cui l'utilizzo dell'hip-hop in politica sarebbe presto stato la norma, dato che il rap è entrato a far parte sempre più in profondità del linguaggio della cultura popolare, quantomeno negli Stati Uniti.  Guardando il panorama politico odierno, è impossibile non notare come la black culture abbia giocato un ruolo impressionante nell'evoluzione della situazione statunitense. Lo scorso marzo, Ben Carson annunciava l'ingresso nella corsa alla presidenza facendo cantare "Lose Yourself" di Eminem a un coro gospel della loro città, Detroit. A inizio ottobre, Loretta Sanchez—californiana membro del congresso che concorre per entrare in Senato contro il compare democratico e procuratore di Stato Kamala Harris—ha dominato un dibattito dabbando senza apparente cognizione di causa. Con simile finezza, Donald Trump ha fatto il suo ingresso al Saturday Night Live appena prima della tappa in Iowa della campagna elettorale, con l'ormai famosa parodia del balletto di "Hotline Bling". Ma nel corso dell'anno passato la vera fuoriclasse è stata Hillary Clinton: è riuscita a dabbare e fare altri gesti inconsulti a caso, a vendere nel suo merchandising ufficiale una maglietta con scritto "Yaaas Hillary" e a fare un selfie con Kim Kardashian e Kanye West. Star dell'hip-hop come Pusha T, DJ Khaled e Jay Z hanno messo in piedi una campagna per aiutare Hillary alle elezioni. Da qualche giorno gira un meme che paragona gli outfit di Clinton ai look degli artisti del roster Death Row Records. Quel meme ha sollevato un tale polverone che alla fine Hillary ha dovuto ammettere che i suoi look erano effettivamente ispirati alla label di 2Pac e Snoop Dogg negli anni Novanta.  Anche se pare abbia un enorme supporto da parte della comunità nera, i tentativi di Clinton di abbracciare apertamente la black culture sono stati sempre derisi, specialmente sui social media, in cui praticamente ogni giorno c'è qualche gif o meme imbarazzante che la riguarda. La sua mossa "Raise the Roof" all'Apollo Theater di Harlem è stato oggetto di scherzi infiniti. In un'intervista a The Breakfast Club ad aprile, Clinton aveva dichiarato di portarsi sempre la salsa piccante in borsa, come dice Beyoncé in "Formation". Anche se, con le dovute ricerche, è venuto fuori che Hillary è appassionata di piccante since 1992 e che la sua non era una battuta, la sua affermazione era già stata additata come inautentica e messa nel mucchio di riferimenti culturali che Clinton aveva già tirato fuori a caso prima di allora—TMZ addirittura lo aveva definito "un chiaro tentativo di tirare su i voti dei neri di New York." Con una percezione del genere che circonda i politici come Clinton, sorge spontanea una domanda: i riferimenti alla cultura hip hop portano veramente voti ai candidati? "Non c'è un metro di misura per provare che un balletto o una battuta riferita alla cultura pop possa essere d'aiuto per guadagnarsi il voto di un giovane. Probabilmente è più importante essere autentici," è quello che Leah Le'Vell mi dice durante la nostra conversazione. Le'Vell è uno studente di ventuno anni che si occupa delle Iniziative dei Millennial Afroamericani e del team di Urban Media per il Republican National Committee. Inizialmente era stato quasi convinto dalla campagna di Trump e dalla sua promessa di portare un sacco di nuovi posti di lavoro al Paese, ritiene che ci siano opzioni migliori rispetto all'uso del rap, dei balletti e delle gag per raccogliere i voti dei giovani. "Bisogna assicurarsi che tutto vada come previsto, ma è anche importante essere naturali e magari evitare di parlare semplicemente per frasi retoriche o costruite, che è una delle principali debolezze di Hillary Clinton. L'autenticità è una cosa importante, tanto quanto lo è ispirare fiducia." Il rapporto che una donna bianca di 69 anni può avere con l'hip-hop è una bella sfida, considerando che nel 1996 Clinton aveva commentato i giovani cittadini definendoli "superpredatori" che "non hanno coscienza né empatia"—e quella è la stessa fascia di giovani che ha contribuito all'espansione e al successo del rap. Dall'altro lato c'è Trump, che si vanta di tutti i suoi amici neri, ma nel frattempo il suo atteggiamento apertamente discriminatorio gli ha fatto guadagnare l'endorsement del Ku Klux Klan, per cui la scelta per un giovane nero è se cadere nella padella o buttarsi direttamente in brace. Questo però non significa che i Repubblicani non siano interessati a guadagnarsi la simpatia dell'audience hip-hop. Alcuni membri del partito hanno sempre mantenuto alta l'ambizione, simile a quella dei rapper, di guadagnare soldi e farcela da soli, in linea con la loro visione di Libero Mercato e responsabilità individuale. Lo scorso novembre Aspiring Mogul, un rapper della Georgia che aveva composto il jingle radiofonico per Ben Carson che era poi andato virale, ha raccontato a Esquire il motivo della sua attrazione per il partito Repubblicano: "Penso che, per quanto mi riguarda, vorrei ispirare un dialogo," ha detto. "I Repubblicani parlano di libero mercato, di competizione, di educazione. I miei amici repubblicani mi spingono sempre a fare di più." Il suo jingle rap, comunque, che non suonava molto diversamente dal video musicale parodistico di South Park per la campagna di Diddy "Vote Or Die", avrà pure spaccato l'Internet, ma non ha certo dato una mano a Carson a tirare su più voti.

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Il venticinquenne Anré Washington, manager di Voices for Georgia's Children e precedentemente stagista del Congressional Black Caucus, ammette di essere consapevole della posizione ambigua in cui si mettono alcuni politici quando si espongono in pubblico, e dice che il modo più facili per scoperchiarli è valutare quanto le loro affermazioni siano appropriate al contesto. "Penso che dipenda dal politico in questione," mi dice. "E dal posto in cui lo fai. Per esempio, se una come l'ex presidente del Congressional Black Caucus, Marcia Fudge, è nel suo giardino che fa il barbecue e si mette a ballare, non le si può dire niente perché lo fa nel suo ambiente. Per il resto, penso che sia un ottimo politico: se il contesto è un dibattito politico, con tutta la serietà degli argomenti trattati, magari è il caso che non si metta a twerkare." Secondo Washington, i politici che arrivano meglio all'audience dei più giovani sono Cory Booker, ex sindaco di Newark e attuale senatore del New Jersey, che ha delle ottime strategie social su Twitter e Snapchat, e la First Lady Michelle Obama. "Michelle Obama è una delle donne più potenti del mondo," dice Washington. "Ha l'abilità di cambiare forma da un momento all'altro—da mamma a figura politica a intellettuale—ma allo stesso tempo di infondere un senso di autenticità in quello che fa, anche quando tira fuori riferimenti alla cultura pop, fa i balletti o scherza su qualcosa, o quando va ai concerti e incontra i personaggi del jet set."  La presidenza Obama è stata una parentesi di incontro delle istituzioni con la cultura pop nera. Alla Correspondents Dinner del 2012 alla Casa Bianca, il Presidente Obama ha apertamente ammesso che la musica di Jeezy era perfetta per dargli la carica per un secondo mandato; ha invitato Kendrick Lamar e Lin-Manuel Miranda a suonare alla Casa Bianca; lo scorso agosto ha pubblicato una playlist che conteneva pezzi di Chance the Rapper, Method Man e Common. Jay Z e Beyoncé sono molto vicini alla coppia presidenziale, tanto che Queen Bey ha cantato l'inno nazionale all'inaugurazione del secondo mandato Obama. A settembre, Michelle Obama ha invitato Beyonce a passare il weekend del suo compleanno alla residenza presidenziale di Camp David. Questo atteggiamento nei confronti della cultura hip-hop ha drasticamente mutato gli standard dell'atteggiamento politico e ha dato prova di essere un metodo incisivo di guadagnarsi l'approvazione dei votanti più giovani. Ma non è un atteggiamento semplice da replicare senza risultare forzati.

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"Le campagne elettorali sono altamente imprevedibili, quindi alcune decisioni bisogna prenderle al volo," mi racconta Rabiah Elisa, digital strategist ventitreenne del Democratic National Committee. Elisa, con il suo team, è responsabile di decifrare i dati che misurano il consenso del pubblico rispetto a determinati gesti compiuti dai politici del Partito. Campagne come quella dell'hashtag #IWillVote sono state di incoraggiamento per il voto. Ma queste mosse calcolate non sono sicuramente i momenti più importanti di questa conversazione. "Nessuno si aspettava che Donald Trump attaccasse la ex Miss Universo Alicia Machado in una serie di tweet scritti alle tre di notte," mi dice. "Nessuno si aspettava che dicesse che le aree a predominanza nera sono dei 'ghetti'. Abbiamo dovuto rispondere a queste sue uscite in tempo reale. Ma abbiamo anche tentato di allineare le nostre mosse a decisioni basate sui meta-dati che rispondessero a strategie più a lungo termine."

Il professor Spence individua l'origine della relazione tra cultura hip-hop e consenso politico nella campagna di Bill Clinton del 1992, in cui il candidato la tirò fuori per parlare dell'armonia razziale cui ambiva per il Paese. Quella era una posizione che raramente i politici così esposti avevano preso apertamente, e gli fece ottenere un larghissimo consenso nel suo pubblico. La sua mossa fu fondamentale, considerando che Jesse Jackson—che si era candidato nel 1988 e aveva tirato fuori per primo i problemi delle comunità afroamericane, dagli aiuti sanitari fino all'apartheid sudafricano e alle conseguenti azioni di affermazione culturale—aveva deciso di non ricandidarsi quell'anno. Clinton vinse con una percentuale impressionante di voti da parte di neri, il 70 percento alle primarie, e la sua elezione gli valse non solo un enorme consenso da parte della comunità nera, ma addirittura il titolo di primo simbolico presidente nero (anche se mitigato poi dai vari scandali che l'hanno investito).  In ogni caso, Clinton riuscì a conquistare in un colpo solo i cuori di molti americani bianchi, grazie alle sue riforme sul welfare, sulla diminuzione delle tasse per la middle class, e al suo Violent Crime Control and Law Enforcement Act del 1994, una legge che divise la comunità nera come poche cose prima di allora. L'elemento che differenzia Bill Clinton dall'atteggiamento "shoulder brushing" di Obama è il modo in cui aveva gestito la propria campagna per prendere distanze da Jackson, cosa che fece opponendosi apertamente a Sister Souljah, artista, attivista e producer molto acclamata che aveva utilizzato l'hip-hop come veicolo per spingere il proprio messaggio di cambiamento sociale e che, insieme a Clinton, era stata invitata a parlare a una conferenza della Rainbow Coalition di Jackson nell'estate del 1992. In un'intervista col Washington Post dello stesso anno, chiesero a Souljah quale fosse la sua opinione sulle violenze dei neri sui bianchi durante le rivolte di Los Angeles, e lei aveva risposto: "Se i neri uccidono altri neri ogni giorno, perché non prendersi una pausa e uccidere qualche bianco? Capisci? In altre parole, i bianchi, questo governo, il sindaco, sono molto consapevoli del fatto che i neri muoiono ogni giorno a Los Angeles per via delle violenze delle gang. Quindi se sei un membro di una gang e sei abituato ad ammazzare le persone, perché non ammazzare un bianco? Pensi che qualcuno creda veramente che i bianchi siano meglio, o non debbano morire, quando invece sono i primi a uccidere i propri simili?"

Bill Clinton aveva paragonato queste affermazioni agli estremismi di David Duke, repubblicano che in precedenza era stato Imperial Wizard del Ku Klux Klan, approfittando di quell'occasione per prendere le distanze da Jackson, che era molto impopolare presso i moderati bianchi. Il concetto di "momento Sister Souljah", in cui un candidato si dissocia pubblicamente da affermazioni di una persona percepita come estremista, personalmente o in nome del Partito, è ora uno dei fondamenti delle strategie di comunicazione dei politici americani. In questi giorni, l'equazione è cambiata: Trump si è rifiutato di prendere le distanze dallo stesso David Duke, quello che nel 1992 era stato definito un pazzo furioso, anche se poi fa il balletto di Drake; Hillary nel frattempo si è molto impegnata per prendere le distanze dal proprio commento sui "superpredatori". Prendere la cultura hip-hop come scusa per guadagnarsi i voti dei giovani ha giocato un ruolo molto importante in questo senso.  Dal momento che il mondo si muove verso una condizione di trasparenza totale, non solo in politica, ma nelle nostre vite di tutti i giorni, queste strategie a doppia faccia avranno sicuramente vita breve fra i millennials e nelle generazioni a venire. Nel frattempo, quei balletti, quelle mosse e quell'affiliazione farlocca alla cultura popolare e alle star del rap non rappresentano ancora un elemento neanche lontanamente cruciale per l'esito della campagna presidenziale, così come non lo rappresenteranno in futuro. Ci serve saper riconoscere queste strategie, però, per capire in che modo i riferimenti e gli strumenti appaltati dalla cultura pop possono essere usati per aiutarci o per affossarci a livello politico. L'hip-hop, comunque, ha una certa età, e i nuovi politici sono effettivamente cresciuti sotto una forte influenza di questa cultura, quindi le cose che succedono di questi tempi non sono altro che lo stadio iniziale di uno scambio/prestito semantico che sarà sempre più assiduo. "Jay Z ha più o meno la mia età, e fra tre anni potrò candidarmi all'AARP," mi dice il professor Lester Spence mentre si avvia verso la sua conferenza a Georgetown. "L'hip-hop è sempre più legato alla cultura popolare americana, quindi in futuro la sua presenza nel discorso politico sarà sempre più radicata."

Illustrazione di John Garrison

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