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Musica

Il grime salverà il rap italiano?

Da un paio di mesi Rasty Kilo e Stabber hanno iniziato a fare grime in italiano. Naturalmente si è subito generato uno scontro con la parte di scena italiana che fa trap.
Mattia Costioli
Milan, IT

Rasty Kilo al super, immagine via Facebook

Per quanto sia forte l'influenza culturale inglese e statunitense, sono convinto che il rap italiano sia riuscito, nel corso del tempo, a creare un proprio suono e formare un'identità definita, almeno parzialmente. Negli ultimi due anni è capitato più volte e da varie parti di domandarsi se il rap italiano sarebbe mai riuscito ad avere un riconoscimento culturale in qualche modo istituzionalizzato e (pure se paradossalmente da parte delle radio questo processo non è avvenuto con la stessa velocità degli altri media) oggi possiamo dire che il rap è arrivato ovunque, dalle tivù ai quotidiani locali.

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Questo preambolo antipatico serve ad arrivare a un altro punto ancora più antipatico: è davvero così utile quell'organicità, che per tanto tempo è stata propagandata come un obiettivo di un genere relativamente giovane e fresco? O forse quell'identità, che il rap italiano è ormai riuscito a raggiungere, si è dimostrata in realtà fin da subito un limite estremamente conservatore, più che un punto di arrivo? Nella pratica questo si traduce in una certa impermeabilità ai suoni popolari nel resto d'Europa quando si arriva al momento di fare concretamente musica rap, e non si tratta di un j'accuse, ma più che altro di una constatazione: se in alcuni casi la radicalità della direzione artistica è stata una scelta (condivisibile o meno, ma comunque consapevole) in altri si è trattato di semplice miopia e incapacità di reazione. È successo con la trap ad esempio, che ora sembra essere la svolta ed effettivamente ha avuto un effetto rapidissimo su una parte della scena italiana (e anche sull'altra, perché anche una reazione stizzita o il rifiuto hanno comunque il valore di conseguenze culturali), ma non è riuscita a creare un dialogo che portasse a qualche cambiamento reale nell'approccio al genere, non è riuscita ad essere lo strumento attraverso cui costruire qualcosa di nuovo. O almeno, non ci è riuscita per ora.

"Crime" di Rasty Kilo, prodotta da Stabber

Il punto della questione è: il rap italiano e le sue produzioni sono capaci di slegarsi dalla propria identità e reagire in tempi utili agli stimoli esterni? Se consideriamo la trap, il tempo di reazione è stato davvero lungo e lo stesso si può dire con i filoni di sonorità legati a OVOsound (che hanno generato un suono a sé stante, non facilmente riproducibile, ma ben identificabile) e anche lì il tempo di reazione è stato lento, seppur il risultato sia stato in entrambi i casi qualitativamente soddisfacente (penso a qualcosa di Mecna, a Corrado, a Ghemon).

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Il 2015 è stato l'anno del grime e di Skepta, che da un punto di vista culturale è stato sorprendentemente rilevante a livello mondiale (per quanto mi riguarda anche più di Kendrick), soprattutto se si considera quanto sia riuscito a imporsi come genere sul mercato statunitense, tanto che proprio l'altro giorno Drake ha annunciato di aver firmato un contratto con la Boy Better Know (la label di Skepta). Approfitterò del resto di questo paragrafo per fare una storia lunga corta del grime, che si è sviluppato inizialmente a Londra, nella prima metà degli anni Zero e che affonda le sue radici strumentali nella garage UK, nella acid house e in un universo di suoni molto complesso e articolato (che qualche tempo fa abbiamo approfondito, in un certo senso, su queste pagine insieme a Mumdance).

Il grime in Inghilterra, per ridurre tutto all'acqua di rose e arrivare finalmente al titolo di questo post, ha avuto la fortuna di riuscire a far convergere audience diverse, trasformando il fenomeno e la scena attorno a questi nuovi tentativi in qualcosa di prima nazionale e poi globale. È stato un processo lungo che si è concretizzato in diverse sottoculture, dall'MCing più stretto alle dubwar, senza mai perdere un connotato sociale che rende questo paragrafo ancora più inutile, nell'ottica di riuscire a capire cosa sia il grime. Diciamo che il grime, nel momento di sua massima popolarità mondiale, cioè nell'ultimo anno, era più o meno così:

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Se ci limitiamo all'ambito strettamente rap, in Italia fino ad oggi sono usciti pochissimi pezzi grime, ma la reazione a quest'ondata di popolarità è comunque arrivata, con un pezzo di Big Fish ed Egreen che si chiama "Che Ora È", uscito lo scorso giugno e con il progetto iniziato un paio di mesi fa da Stabber e Rasty Kilo. Stabber su queste pagine è già capitato in qualità di portavoce di Lucky Beard Music e non solo, dato che è sul pezzo (e sul beat, da Salmo a Nitro, Gemitaiz, Paura e un'altra sporta di artisti di primo piano) già da tempo. Al suo fianco Rasty Kilo, che nel giro di qualche anno è passato da fare le doppie ad Achille Lauro a un contratto per Machete e un album da solista, Molotov, uscito nel 2014 e composto da undici tracce, quasi tutte prodotte da Dr Cream, già parte dei Rapcore, gruppo romano con cui Rasty Kilo si era fatto notare all'inizio della sua carriera.

Quello che hanno messo insieme è una sorta di versione italiana del grime che mi sembra più interessante di ciò che Rasty aveva collezionato da un punto di vista discografico fino ad ora e che, a giudicare dai commenti su YouTube, ha sorpreso (se non addirittura lasciato perplessi) i fan dell'etichetta Machete. Al di là dell'assoluta adeguatezza del beat di Rasty sulle produzioni di Stabber, la cosa che riesce a entusiasmarmi è il conflitto che si è subito generato. La stessa "Crime" è un mezzo dissing, o comunque una dichiarazione d'intenti uguale e contraria, nei confronti di Sfera, Dark Polo Gang e tutta l'ondata di trap italiana che è arrivata pure a toccare gli artisti più mainstream, come Marracash. L'altro mezzo dissing è ancora più esplicito e arriva da una serie di vlog che Rasty ha caricato sul suo canale per supportare l'uscita dei singoli. Nel video dice questa frase, mentre ascolta il beat di "Champions League":

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"Questa non è trap frate', non è che ve la potete cavare, mettere un autotune fare un po' così… Qua bisogna saper rappare e saper suonare".

Non sono convinto che il tentativo di Rasty Kilo di reinterpretazione del grime, così come i temi che tratta nelle sue liriche o l'estetica con cui sono girati i suoi video, sia sufficiente per affermare Rasty Kilo fa grime. Diciamo che fa una specie di grime italiano, qualcosa di ibrido e, questo sì, mai sentito prima nella nostra lingua. Ciò che è davvero interessante, al di là della reazione in tempi accettabili (anche se Stabber è perfettamente consapevole che questo sia comunque un ritardo, dato che la sua prima produzione grime l'ha composta nel 2012) è la dialettica di scontro che si è subito instaurata nei confronti della trap italiana. È qualcosa che ha più valore di un semplice dissing da affidare all'invettiva lirica, perché in questa circostanza si potrebbe sperare che i soggetti convolti si sentano obbligati a riconsiderare la propria musica, a dover innescare un meccanismo di sperimentazione e innovazione anche dal punto di vista strumentale e stilistico. Si potrebbe sperare che questa contrapposizione tra correnti di uno stesso genere, possa arrivare a formarne una terza, o una quarta e quinta, questa volta originali e personali, in qualche modo davvero attive all'interno del processo creativo.

I mezzi qualitativi esistono (anche nell'ambito trap) e, come abbiamo già detto prima, Rasty è perfettamente a proprio agio sulle produzioni di Stabber, che pure ha la fortuna (dal punto di vista dell'ascoltatore, almeno) di aver lavorato su questi suoni per alcuni anni e di essere quindi perfettamente consapevole di quello che sta facendo. Il grime probabilmente non salverà il rap italiano, anche perché non c'è niente da salvare, ma questo piccolo esperimento potrebbe generare un conflitto estremamente sano e, per citare di nuovo Stabber, ci godiamo nel conflitto.

Puoi seguire Rasty Kilo e Stabber su Facebook.