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Musica

Gli 883 hanno anticipato l'itpop, non solo l'indie

La vera rivalutazione è arrivata ben dopo la compilation di cover.

Sarà che penso sempre agli attestati di stima di Metal Carter per gli 883: "Sono Max Pezzali con un teschio sul collo", cantava in "Pagliaccio di Ghiaccio", solo per citare il più celebre. Forse è per tutte le loro cassette che ho divorato da bambino. Resta che non riesco a voler male alla coppia Pezzali - Repetto. Per questo ho sempre preso con rassegnazione mista a senso di colpa le legittime critiche che nel tempo li hanno subissati, consapevole di trovarmi dalla parte sbagliata della barricata.

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Più di tutti, ciò che di male gli è stato imputato è legato alla loro identità "generazionale", intesa (ed è uno dei rarissimi casi) con una connotazione estremamente negativa: gli 883 sono ritenuti un semplice fenomeno - e quindi un'espressione, una manifestazione - degli anni Novanta, e mai degli artisti capaci di riflettere davvero sull'epoca che hanno vissuto, nonostante i vari tentativi del caso. I loro testi sono considerati semplicistici, superficiali; una fotografia sfocata della realtà di allora, non in grado di cogliere i sentimenti reconditi, le ansie e le ombre sedimentate sotto quella generazione, limitandosi a fornirne un ritratto banale e privo di spunti interessanti. Insomma: un pop talmente innocuo da essere la saga dei mali dell'epoca, e mai il rimedio.

E ci può stare, altroché. Ma sento di dover fare un distinguo: il periodo con Mauro Repetto (il biondo, il ballerino) da quello senza, col solo Pezzali a mandare avanti il brand. C'è stato un tempo, infatti, in cui Max si occupava esclusivamente della musica, con i testi appannaggio dell'amico. Al di là di ogni sorta di continuità più avanti ricercata, lo scarto fra quelli e i successivi - quelli, cioè, scritti dal Pezzali versione deus ex machina - è evidente: più "sporco" e aggressivo il lessico repettiano, con tematiche vicinissime agli allora giovanissimi (siamo nel 1993), oltre a una genuinità di fondo tale da renderli spesso parecchio ingenui. È il periodo di "Hanno ucciso l'uomo ragno", "Come mai" e "Sei un mito", che valgono due album pieni di scazzi tardo adolescenziali da due milioni di copie in totale.

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883 weekend repetto pezzali

Uno screen dal video di "Weekend", cliccaci sopra per guardarlo su YouTube.

Ecco: proprio lì in mezzo, nel 1993, Repetto è riuscito a firmare un pezzo - l'unico? - un po' dimenticato, ma in grado di sconfessare, seppur in maniera estemporanea, le critiche mosse alla band. Parliamo di "Weekend", una canzone interessante per molti versi. È il solo ritratto davvero "a fuoco" degli anni Novanta che i due ci hanno lasciato; per quanto facile, il testo non degenera mai nel semplicismo, muovendosi piuttosto per immagini insolitamente evocative; ha uno stile di scrittura che, proprio per la sua narrazione "fotografica" (presa dal country), si ritrova molto nell'indie-o-itpop attuale, tanto da chiedersi se ci siano anche gli 883 fra i riferimenti rivalutati della nuova scena.

Va detto che non sono il primo a pormi questa domanda e a rispondermi di sì. Già nel 2012 uscì Con due deca, ormai storica compilation di rilavorazioni di brani degli 883 da parte della scena indie e rap dell'epoca. Ma con l'avvento di una nuova mini-generazione di artisti e quindi di una nuova serie di fisime testuali ho pensato fosse interessante proporre di nuovo la questione. Procediamo per gradi, comunque. "Weekend" rientra in quella cerchia di canzoni pop decisamente troppo tristi. Racconta la vita di provincia dei primi anni Novanta con piglio depresso e lo fa tratteggiandone la routine di un fine settimana qualsiasi. La solita tristezza post "sabato del villaggio", quindi? Niente affatto: la penna di Repetto incontra presto una disperazione e un malessere talmente neri da risultare estranei al resto del loro canzoniere, nel segno di un vuoto di stimoli e soddisfazioni tardo-adolescenziale mai posticcio e ben a fuoco nelle sue manifestazioni.

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Non ci sono gli emarginati di Tondelli, certo, né la tossicodipendenza nevrotica del primo Vasco o il "tedio domenicale" dei CCCP, ma l'esplorazione delle zone d'ombra della provincia italiana procede comunque. Repetto, infatti, racconta con inedita profondità (e disarmante semplicità) la realtà del suo pubblico: bravi ragazzi qualunque, neanche consapevoli del grigiore apatico in cui sono immersi fino al collo.

Lo fa tratteggiando da subito un'atmosfera tanto ordinaria quanto anonima, mediocre: siamo al "bar" (un altro topos del loro immaginario), ed è mattina; il sabato è alle spalle con le solite promesse non mantenute, ma più che la delusione a regnare è la disillusione. I protagonisti allora sono fantasmi che si trascinano apatici per una domenica che dovrebbe essere di tregua, e che invece scorre fra noia, angoscia e "mal di testa da day-after". Da lì, un ritornello che - grazie anche all'interpretazione gravosa di Pezzali e a un arrangiamento parecchio arido per i loro standard - è una nenia fra le più nere del pop italiano:

E sta per finire un altro weekend
Se ne va coi gol in tele il weekend
Così poi aspetteremo il weekend
Convinti che sarà il più bello dei weekend.

L'illusione vista da fuori, la commiserazione di una provincia sterile e sempre uguale a sé stessa tramite piccoli flash: i gol che non entusiasmano più, le aspettative sempre più flebili. La giovinezza, vera musa degli 883, che si sgonfia e perde significato.

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Screenshot dal video di "Weekend".

La seconda strofa, poi, potrebbe recare tranquillamente la firma di Carl Brave e Franco126:

Le partite sempre in onde medie
San Siro, Olimpico, Delle Alpi
Andiamo in centro a fare un giro a piedi
A guardare le ragazze degli altri
Tanti uomini con le radioline
Mogli incazzate di fianco
Mille vasche in corso avanti e indietro
Torniamo al bar che sono stanco

Repetto è dietro la telecamera e, come in un documentario, sceglie cosa inquadrare: la noia, i malesseri esistenziali che tornano a galla. Non nomina esplicitamente nulla di ciò, ma si serve di "fotografie" evocative, proprio come in Polaroid. In quel "a guardare le ragazze degli altri" c'è tutta la voglia di sentirsi migliori che si scontra con l'incapacità di fuggire da sé stessi e dalla propria realtà, nel "torniamo al bar che sono stanco" non c'è stanchezza fisica, ma solo noia e apatia. Usa, Repetto, termini e nomi famigliari a chi ascolta (i vari stadi di calcio, in un'epoca in cui le partite si seguivano ancora via radio), seconda una prospettiva iperrealista che assume il fine settimana come pretesto per raccontare una condizione generazionale ampia, e sembra davvero di trovarsi di fronte a un Carl Brave o un Calcutta ante litteram.

E il bello, comunque, deve ancora venire. L'ultima parte, infatti, tradisce l'estetica un po' facilona à la 883, con una chiusura a sorpresa:

Cena a casa pizzerie tutte piene
E noi non abbiam prenotato
Pasta in brodo o forse minestrone
Ad andar bene un po' d'affettato
Poi di nuovo fuori con gli amici
Stasera dove si va
Io non posso domani mi alzo presto
Allora si resta qua.

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Non c'è un lieto fine, quindi, semplicemente perché non può esserci. Gli hobby, il bar, gli amici: resta tutto sospeso, senza senso. Nel susseguirsi di certe situazioni, c'è tutta la provincia di quegli anni; nell'ingenuità delle rime (va - qua), Repetto che porta su un piano pop un'angoscia trasversale, qui declinata nella realtà dei "bravi ragazzi" di allora. E funziona. Funziona anche perché manca il lineare svolgimento narrativo dei loro pezzi, la via di fuga magari approssimativa: finisce com'era iniziata, nella circolarità claustrofobica di un quotidiano che non lascia scampo, descritto con fedeltà allineando elementi di una realtà nuda e a portata di mano, alla larga da traiettorie retoriche da facile depressione.

È un pop atipico, "Weekend", che non ha soluzioni né autocommiserazioni. Parlano le immagini, la situazione è nitida, concreta, immutabile.

Vero è che la scena indie/itpop vive un rapporto controverso con gli 883, dei quali, al contrario di tante altre pop star del passato, non ha riabilitato la memoria. Non a caso, quando si trattò di farne il disco di cover di cui sopra, soltanto i Cani resero un omaggio filologicamente fedele all'originale, mentre molti ne interpretarono le canzoni in maniera distante, quasi a rimarcarne l'estraneità. Ma erano tempi, comunque, in cui l'itpop doveva ancora prendere forma, e la cultura alternative era molto più radicata nell'ambiente.

Oggi, invece, il contatto fra i nuovi e gli 883 di "Weekend" è molto più marcato, e forse una rivalutazione più esplicita potrebbe davvero essere imminente. Per ora ci teniamo questo pezzo, tassello trascurato della secolare epopea della provincia nella canzone italiana, che pure riserva una prospettiva interessante e ben sviluppata. Non sappiamo, in futuro, a cosa potrebbe portare un eventuale, loro recupero; se non altro, però, abbiamo chiaro da dove dovrebbe partire.

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