Storia di un romano al MI AMI
Fotografia di Claudio Caprai.

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Musica

Storia di un romano al MI AMI

Che cosa si può imparare di Milano, di Roma e dell'Italia in una serata al Magnolia?

"Un evento culturale e sociale come un festival musicale dice qualcosa sulla città che lo ospita?"

Con questa domanda in testa sono arrivato al MI AMI, nella sua seconda e ultima giornata, il 26 maggio. Chi come me abita a Roma e ascolta musica indie sa che la celeberrima scena romana è vera e tangibile. Molto spesso gli artisti stessi tendono a minimizzare, sfatandone il mito, ma la realtà è che tutti gli elementi che servono a definire una scena ci sono: dei locali di riferimento e un pubblico comune che condivide un gusto musicale e linguistico. Se, per esempio, il venerdì vado al Monk, il sabato a Largo Venue e domenica alla serata Spaghetti sono piuttosto certo di riconoscere un buon numero di facce comuni. Questo, a mano a mano, diventa il tratto identitario che suggella una scena: mi piace uno specifico genere musicale, vado in certi posti e incontro certa gente -> mi sento parte di qualcosa. Capire in un giorno se questo sia vero anche a Milano era cosa impossibile, ma mi interessava vedere quali potessero essere le affinità e le diversità nel vivere un evento del genere in due città così distanti da sembrare poli opposti.

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La cosa più vicina al MI AMI nella capitale è il Roma Brucia. Hanno lo stesso genere di riferimento, durano due giorni e hanno più di un palco. Solo che tra loro esiste una differenza ontologica fondamentale, una diversità che potrebbe rappresentare la distinzione intrinseca tra le due città che li ospitano. Il Roma Brucia è il festival degli artisti, o delle etichette, di Roma. Il MI AMI ha invece un respiro nazionale. Non che uno sia meglio dell’altro, è che sono due cose distinte.

Fotografia di Claudio Caprai.

Roma basta a se stessa, è autoreferenziale. Provinciale, si potrebbe azzardare, ma non è necessariamente così: la realtà dei fatti è che molto spesso a chi abita a Roma non serve altro. E facendo leva su questo Davide Caucci, organizzatore di Roma Brucia e mente dietro a Bomba Dischi, è stato geniale a fare di necessità virtù. Come ha spiegato, ha intercettato questo sentimento creando inizialmente un festival “senza i soldi per fare un festival”, fatto di artisti del luogo a cui non serviva pagare un albergo e che avrebbero portato amici/pubblico.

Il MI AMI invece è organizzato da Rockit, un sito con sede sì a Milano, ma certamente nazionale. Sebbene abbia ormai un forte legame con Milano e il Circolo Magnolia, non è il festival dell’identità milanese. Come detto, questo capta più o meno indirettamente una tendenza delle due città. Roma ha una bellezza estetica di base che Milano non avrà mai. E ci si adagia, si fossilizza, si immobilizza. Milano non può contare su cotanta magnificenza ma lavora sodo per avvicinarcisi, col risultato che ormai, per dirla con I Cani, "lì stanno le cose".

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Un fatto, però, accomuna i due festival: suonarci rappresenta un’investitura, uno status raggiunto. Se sei nella line up del MI AMI o del Roma Brucia significa che nei mesi precedenti ti sei saputo imporre. I due headliner del Roma Brucia 2017 erano, per esempio, Giorgio Poi e Carl Brave x Franco 126. Quelli del MI AMI di quest’anno Cosmo e i Prozac +, con la loro reunion-evento.

La Roma musicale sarà autoreferenziale ma sa anche vendersi bene, e infatti al MI AMI c’erano molti artisti romani. Per questo mi suscitava particolare interesse vedere come si sarebbero comportati in trasferta, senza il pubblico di casa di fronte. I Joe Victor per esempio a Roma sono delle quasi-star: per intenderci, hanno fatto sold out all’Atlantico. Vedendo la loro esibizione, programmata a un orario molto “milanese”, 20:35, ho capito che a volte i discorsi e le parole non valgono, vale solo la musica.

Perché musicalmente c’è un rapporto scientifico tra i Joe Victor e il pubblico: così come sappiamo che a 1538 gradi il ferro fonde, altrettanto possiamo dire che quando i Joe Victor suonano il pubblico si diverte, balla. Volavano materassini gonfiabili a forma di gigantesche infradito, i fan che sapevano le canzoni cantavano, altri non-fan rimanevano estasiati dal senso di unione che la band stessa trasmetteva dal palco. Proprio per questo quando lo staff del festival, per motivazioni di tempistiche, non ha lasciato suonare la seconda delle ultime due canzoni annunciate, tutti ci sono rimasti un po’ male. Ma d’altronde siamo a Milano, gli orari si rispettano.

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Non era compito facile per Germanò mantenere vivo il mood lasciato in eredità dai Joe Victor, anche perché il suo stile è di per sé meno spumeggiante. Eppure la padronanza con cui ha saputo tenere il palco, seppur introversa e sobria, è stata indice inoppugnabile di come gli artisti di successo della nuova ondata siano degli ottimi professionisti abituati a stare sul palco e con già alle spalle numerosi concerti. Poco prima che iniziasse ho fatto in tempo a sentire, sul palco principale tre canzoni dei Selton, che probabilmente stanno a Milano come i Joe Victor stanno a Roma.

Auroro Borealo, foto di Davide Padovan.

Il concerto dei Selton è stato il momento più milanocentrico: la band brasiliana è sì conosciuta in tutta Italia, ma il loro radicamento a Milano è certificato dal nome di un loro disco, Loreto Paradiso, e dal fatto che spesso e volentieri organizzino concerti aperti addirittura nel loro palazzo, cosa che ovviamente tende a stringere il rapporto con la città. E infatti la folla e il grado di partecipazione del pubblico è stata totale. Merita una menzione speciale Auroro Borealo, vincitore morale di questo MI AMI, che con un collare cervicale e una chitarrista attempata ha conquistato tutti quelli che aveva di fronte.

Durante l’esibizione dei Tre Allegri Ragazzi Morti Davide Toffolo, al momento dei saluti, ha dato forma a quello che mi stava balenando per la testa: “Grazie al MI AMI che da tanti anni racconta l’Italia”. Sono partito chiedendomi se un festival potesse dire qualcosa sulla città che lo ospita. Torno capendo che può farlo del paese intero. Perché se il festival aspira ad avere un richiamo nazionale, e ci riesce benissimo, allora va a finire che al suo interno, tra le migliaia di persone, si intreccino volti e storie che di fatto compongono una trama che è qualcosa in più di gente che ha pagato un biglietto per sentire la musica.

I milanesi che scoprono i Selton nel concerto nel loro condominio, i romani che ascoltano i Joe Victor al Pigneto e li ritrovano al MI AMI, i più giovani che seguono Francesca Michielin o Galeffi e i più grandi che sono cresciuti con i TARM e i Prozac+: il MI AMI rappresenta tutto questo (e molto di più), rappresenta un movimento musicale vivo probabilmente come non mai. Rappresenta, appunto, una parte d’Italia.

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