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Musica

Storia del rap a Sanremo

Quello tra l'hip hop e il Festival della Canzone italiana è un rapporto complicato, abbiamo cercato di capire perché ripercorrendone i momenti più brutti e quelli... leggermente meno brutti.
Giacomo Stefanini
Milan, IT
sottotono sanremo
Sottotono a Sanremo nel 2001. Foto via YouTube.

Dispiace tanto quando le canzoni del Festival di Sanremo vengono pubblicate in anticipo. Tanto per cominciare non si può più fare il bellissimo toto-canzone che facevamo una volta, e poi non ci viene più quel brivido che ci veniva quando ci aspettavamo che qualcuno sbroccasse e portasse la canzone ultra-politicizzata, o ultra-scorretta, o, peggio ancora, la canzone rap.

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Il rap è uno spettro che ha tormentato la storia di Sanremo per gli ultimi tre decenni, spaventando i conservatori fin da quando ci si presentò Jovanotti nell’89 con “Vasco”.

Il rap è uno spettro che ha tormentato la storia di Sanremo per gli ultimi tre decenni, spaventando i conservatori (“ma è il festival della canzone, che canzone è se questi non cantano” o cose del genere) fin da quando ci si presentò Jovanotti nell’89 con “Vasco”, brano che, come scopriremo se avremo il coraggio di riascoltarlo, di rap non aveva praticamente nulla. Si tratta infatti di un poppettone ottantaro da pubblicità delle merendine e, se ripenso a mia madre preoccupata che diventassi un teppista perché a tre o quattro anni la cantavo in continuazione, mi viene proprio tanto da ridere. Tra l’altro mi viene un sospetto: si tratta per caso di una canzone contro la droga? “Io non ci casco”? Tsk.

È il 1997 quando sul palco dell’Ariston sale un vero rapper: è Mikimix, anche lui sembra uscito da una confezione di cereali alla crusca e canta un pezzo rap che sembra una filastrocca. S’intitola “E la notte se ne va”, e Caparezza (attuale nom de plume di Mikimix), se potesse, la cancellerebbe a colpi di carta vetrata da ogni registro. Ma non può. Lui la fa tirare giù da YouTube e qualcuno ce la rimette. L’archivio Rai non dimentica, né perdona.

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Poi il 2000 è l'anno di "Cancella il Debito"! Io quella me la ricordo, perché avevo 13 anni ed ero facile preda del tipico impegno politico da scuole superiori. Jovanotti è ospite speciale del Festival insieme al brasiliano Carliños Brown e alla sua band, ma invece di cantare una delle sue canzoni si lancia in questo pseudo-freestyle (pseudo perché è costruito come un freestyle, ma evidentemente memorizzato) con cui esorta D'Alema e il suo governo a cancellare il debito estero accumulato dai Paesi del "Sud del mondo". In 18 anni il mondo e l'economia sono cambiati parecchio e la canzone sembra quasi non aver più senso oggi, eppure era riuscita a scatenare un terremoto. Fa specie dirlo, ma è stato uno dei momenti più "trasgressivi" del rap italiano a Sanremo. Dico "italiano", perché l'anno dopo arriva quello statunitense.

Nel 2001 Eminem è ospite d’onore del Festivàl e si porta dietro tutte le polemiche del caso: i testi del medley hanno dovuto ricevere il via libera dalla Procura.

Nel 2001 il mainstream è già sotto scacco di Eminem, che infatti è ospite d’onore del Festivàl, portandosi dietro tutte le polemiche del caso, tanto che i testi del medley (perché ha cantato un medley) hanno dovuto ricevere il via libera dalla Procura (ve l’immaginate la discussione in quell’ufficio?). La Grande Minaccia del Corruttore della Gioventù Americana si risolve, come tutte le cose di questo tipo, a tarallucci e vino, con una grandiosa Raffaella Carrà che si rifiuta di ridurre Eminem a una macchietta e un Marshall Mathers macchiettistico che fa un bel medio al pubblico.

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Ma la cosa ancora più interessante è che in gara ci sono i Sottotono, loro sì provenienti dalla scena hip hop nazionale, che naturalmente portano uno dei loro pezzi romanticoni tutti soul e r&b, “Mezze Verità”, e Tormento con la bocca storta forse riesce anche a far innamorare qualche mamma. Chi invece ha orecchie per il pop contemporaneo li accusa di plagio ai danni di “Bye Bye” degli *NSync (o come cazzo si scrive), che detto oggi fa ridere, ma faceva ridere anche allora. Si posizionano 14esimi su 16, appena sopra i Quintorigo e i Bluvertigo, segnando così il sorpasso del rap ai danni del rock cantautoral-intellettuale all’italiana. Da segnalare che la stessa edizione vede il debutto vittorioso dei Gazosa nella categoria “Nuove Proposte”. Un futuro buio si prospettava all’orizzonte.

È la musica rap a Sanremo che è così, infantile, pallida, svuotata di senso.

Nel 2004 arriva Piotta, già in parabola discendente dopo aver esaurito tutte le cartucce che poteva sparare con l’esotico personaggio del coatto. Qua si ricicla romanticone di strada, ladruncolo innamorato disposto a tutto per la sua bella. Fermiamoci un attimo a pensare che questo era il 2004, lo stesso anno in cui è uscito Mr. Simpatia. Non è che la musica rap fosse così, ai tempi. Non era nemmeno come Mikimix, ai suoi tempi (’97? Mi pare a quei tempi ci fosse già in giro un certo Neffa con i Messaggeri della Dopa…). È la musica rap a Sanremo che è così, infantile, pallida, svuotata di senso. Ma magari dopo migliora. Andiamo a vedere.

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È il 2008 e in gara si presenta Frankie Hi-NRG MC. Nel frattempo l’hip hop nostrano ha già guadagnato credibilità anche al di fuori dell’underground, Fibra è un fenomeno nazionale, i Dogo hanno già fatto il botto con Vile Denaro, pure Vacca, Noyz e Marracash cominciano a vendere davvero. Frankie rimane un po’ in disparte, come sempre, e sforna un brano intitolato “Rivoluzione”, con campionamenti vagamente centramericani (diciamolo, un po’ all’acqua di rose) che accompagnano barre proto-gentiste (il primo V-Day è appena passato e siamo in piena crisi economica) come “mettiamo al bando i vertici politici con tutti i loro complici / amici degli amici di chi ci ha svuotato i conti” (santoddio, Frankie).

Per qualche anno la città dei fiori torna teatro di pop italiano sciapo e cantantoni dall'aria severa, e dobbiamo aspettare il 2013 per vedere l'arrivo di Clementino, che infila un paio di strofe in una cover di "Il ragazzo della via Gluck" di Adriano Celentano, coverizzata insieme ad Almamegretta e James Senese. Non si capisce bene perché ma, al netto di alcune critiche provenienti dalla scena per cui andare a Sanremo, quando si è rapper, equivale a rovinarsi (e, visti i risultati precedenti, sarebbe stato anche lecito pensarlo), questa performance sembra avere un effetto positivo un po' su tutti. Sarà l'effetto Celentano, o l'effetto James Senese, ma il tipo tatuato col cappellino che "invece di cantare parla", per dirla con i miei genitori, fa simpatia un po' a tutti.

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Nel 2014 il rapper Rocco Hunt si aggiudica addirittura il primo posto nella categoria "Nuove Proposte" con "Nu juorno buono", sbaragliando la concorrenza e facendo molto parlare di sé. Anche qua emerge il solito problema: Rocco Hunt è un bravo rapper e la canzone funziona, ma non si può fare a meno di pensare che si tratti di una versione edulcorata della sua musica. La chitarra acustica, il testo ultra-ottimista, sembra rap composto per non fare brutta figura con i genitori della tua fidanzata. Nello stesso anno è in gara anche Frankie Hi-NRG, che al confronto di Rocco Hunt sembra ancora più anziano.

La vittoria di Hunt apre maggiormente le porte ai rapper, ma non al rap, dato che Nesli nel 2015 si butta sul polpettone pop-rock amoroso e Moreno evoca lo spettro dei Gemelli DiVersi con "Oggi ti parlo così". Parliamo dell'edizione vinta da Il Volo per cui cerchiamo di dimenticarcela il prima possibile. 2016 e 2017 vedono il ritorno di Clementino, ma mai con risultati apprezzabili.

La vittoria di Rocco Hunt apre maggiormente le porte ai rapper, ma non al rap, dato che Nesli nel 2015 si butta sul polpettone pop-rock amoroso.

Viene quasi da chiedersi perché un rapper dovrebbe sottoporsi allo stress di una kermesse come questa soltanto per ritrovarsi giudicato da una manica di ricchi anziani in completo scuro mentre mima una versione allungata e sbiadita di quello che sa fare benissimo e per cui ha un successo perfettamente accettabile al di fuori da lì. Forse è un po' come andare a trovare i nonni: ti fai la riga dalla parte, copri i tatuaggi e sfoderi il miglior sorriso che il tuo down da MDMA ti concede, e cerchi di interpretare la versione di te che ti sembra più accettabile. Nel frattempo, tua nonna ti osserva e pensa: "ma come l'abbiamo tirato su questo smidollato?".

Ma ci siamo dimenticati qualcosa, ed è qualcosa di fondamentale. L'unica vera storia di successo del rap al festival, quella della mitica sigla "Perché Sanremo è Sanremo".

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