L'improbabile successo degli Alt-J
Fotografia di Mads Perch.

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Musica

L'improbabile successo degli Alt-J

Abbiamo parlato con gli Alt-J di Relaxer, un album stranissimo che potrebbe migliorare o rovinare la loro carriera.

Quando gli Alt-J comparvero, l'internet musicale era un posto molto diverso. Era il 2011, l'indie rock dei Duemila era negli anni del suo colpo di coda, bastava cercare "nome artista mediafire" per scaricare qualsiasi cosa dai blog di mezzo mondo e ogni giorno un nuovo gruppo di ragazzini più o meno devastati dalla vita e/o bellocci sembrava poter diventare epocale. Ora sono passati sei anni e pochi, pochissimi sono sopravvissuti. Penso a gruppi come Two Door Cinema Club, Is Tropical, White Lies, Egyptian Hip Hop, Swim Deep, PEACE: tutti caduti nella mediocrità o nell'anonimato. Colpa, credo, degli effetti a lungo termine della ripetizione di un copione che ruotava attorno a luoghi comuni del genere. L'indie rock veniva mascherato di novità tramite leggere influenze esterne: un po' di psichedelia, un pizzico di elettronica, un minimo di post-punk e il gioco era fatto. Gli Alt-J avevano qualcosa di diverso. Potevano sembrare uno scherzo, a partire dal nome: un triangolo, il simbolo geometrico più identificativo di un certo modo di concepire l'hipsterismo del nuovo millennio, celebrato anche in uno dei loro testi: " Triangles are my favourite shape / Three points where two lines meet," cantavano in "Matilda." La loro vocalità nasale era tutto tranne che figa, e dalle loro figure di universitari semi-nerd sembrava palesarsi una certa sgangheratezza. E invece riuscirono, con la forza dei loro primi singoli, a venire identificati come rilavoratori musicali dell'immaginario internettiano dei nostri tempi. "Breezeblocks" e "Fitzpleasure" erano canzoni orecchiabili ma strambe, sia acustiche che sintetiche, rese potenti da una forte coralità e un approccio testuale affascinante in quanto ingenuo e pasticciato. Certo, c'era chi non ci vedeva niente di che—ma a posteriori possiamo dire che gli Alt-J sono stati l'ultima vera storia di successo dell'indie britannico prima del quasi totale appiattimento del suo valore artistico-storiografico (che forse sarà perpetuo e forse no, eh). Comunue, tornando al 2011 e per capire quanto fuori dai giochi fosse il successo degli Alt-J: "Fitzpleasure" iniziava con le parole " Tralala, nella tua figa entra piacere, piacere a forma di scopa. Avari nel profondo dell'anima, cercano ogni angolo come usassero Google. Esattamente nel mezzo del C-O-M-M-O-N, come avrei potuto sapere che i Mandela Boys sarebbero presto diventati i Mandela Men?" Un collage verbale che parte da un capitolo di Last Exit to Brooklyn di Huebert Selby Jr., la cui protagonista si chiama "Tralala" e viene brutalmente stuprata, e passa come se nulla fosse a citare una defunta gang di Southampton (i "Mandela Boys"). L'uso della parola "googling," la sovrabbondanza di riferimenti culturali, l'uso dello spelling: gesti postmoderni, applicati su una forma musicale più o meno inedita e fortemente melodica. E intanto c'erano ancora gli indie boys che parlavano di andare a far serata a Camden. Sei anni dopo, gli Alt-J sono improbabilmente diventati l'unica grande promessa degli anni Dieci a mantenere—se non ingrandire progressivamente—la fama che gli è piovuta addosso. E ce l'hanno fatta dopo un'ascesa vertiginosa, affascinante proprio per i soggetti che ne sono stati protagonisti. Gli Alt-J sono solo tre tizi di Leeds: persone normali, senza biografie straordinarie, fortunate ad aver trovato il momento storico migliore perché la loro musica toccasse un pubblico ampio, scatenando inoltre un'obbligatoria produzione di meme e video-gag. Ci sono riusciti nonostante This Is All Yours, il loro secondo album, fosse solo una ripetizione leggermente più ariosa e meditativa dei punti più forti del loro esordio, e malgrado un singolo di lancio—"Left Hand Free"—proprio bruttarello, un mezzo scherzo con sonorità e testo da saloon che ha fatto però 38 milioni di views, diventando il loro secondo video più visto di sempre.

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Il video di "3WW." Arrivati al terzo album, gli Alt-J hanno deciso di mischiare le carte e non ripetersi più. Gus Unger-Hamilton, il loro bassista e cantante, spiega con franchezza la volontà della band di allontanarsi dalle abitudini che hanno fatto la sua fortuna, in favore di un approccio da yes men: "Ci viene in mente una cosa? Proviamola!" Il risultato, Relaxer, è un album che metterà alla prova la concezione che il pubblico ha degli Alt-J. I due pezzi già usciti, "3WW" e "In Cold Blood," sono in realtà gli unici due che potrebbero essere stati inseriti in An Awesome Wave o This Is All Yours senza far storcere troppi nasi. Tra i restanti sei brani ci sono una quasi-cover di "House of the Rising Sun;" un pezzaccio grezzo e caciarone che inizia con un campanaccio, "Hit Me Like That Snare;" un crescendo minimale e una ballata-duetto in onore del Mississippi completamente acustica, entrambe da sei minuti; una chiusura corale che si innesta completamente a caso su un'introduzione arpeggiata puntellata da una struttura di archi. Insomma, è quanto di più lontano da un album di facile ascolto e comprensione ci sia, esageratamente vario e incostante. Relaxer è un album interessante perché potrebbe far proseguire la carriera dei suoi autori in modi diversi. Magari verrà apprezzato, e loro si smarcheranno da qualsiasi aspettativa: potranno quindi venire considerati in quanto musicisti in evoluzione, depositari della fiducia di un pubblico pronto ad ascoltare qualsiasi cosa producano. Oppure potrebbe essere un disco transitorio, né carne né pesce, che non rivoluzionerà la loro traiettoria e gli permetterà di continuare a suonare nei palazzetti di mezzo mondo. Infine, potrebbe essere un flop clamoroso, incompreso da un pubblico voglioso di nuove "Breezeblocks." Nessuno è depositario della verità se non il tempo a venire; quello che possiamo fare, mentre attendiamo, è cercare di capire, tramite le parole di Unger-Hamilton, quale fosse la mentalità degli Alt-J mentre scrivevano il loro nuovo LP. Parole calme, pacate, tranquillone: normali, proprio come lui e i suoi compagni di band. Noisey: Credo sia Relaxer sia un album profondamente diverso da This Is All Yours. Mi chiedo se lo considerate come in contrasto rispetto a ciò che avete fatto finora, o se per voi in realtà non c'è una distanza che lo separa dal resto della vostra discografia.
Gus Unger-Hamilton: Scriviamo sempre i nostri album allo stesso modo, e tra l'altro in un modo neanche molto interessante. Scriviamo canzoni, le mettiamo assieme, ci lavoriamo sopra un po' a testa e le registriamo. In questo senso non c'è una vera progressione rispetto al passato, ma abbiamo deciso di fare un disco più corto. Ci sembrava che This Is All Yours fosse un po' troppo lungo—era pieno di interludi, parti riprese, introduzioni—mentre ora volevamo fare qualcosa di più muscoloso e compatto. Otto canzoni, quattro per lato, ogni canzone è un'entità a sé, zero introduzioni o roba simile. Abbiamo anche scelto di allontanarci dall'estetica astratta che abbiamo avuto finora, mettendo il titolo dell'album e delle tracce sulla copertina. Quindi non è stato tanto il modo in cui abbiamo composto il tutto quanto quello in cui l'abbiamo messo assieme a segnare un distacco, ecco.

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Ma com'è che siete finiti a comporre cose così diametralmente opposte nello stesso momento? Cioè: come convivono canzoni lunghe e atmosferiche da sei minuti con pezzi brevi e acidi tipo "Deadcrush" o "Hit Me Like That Snare?"
Non abbiamo mai deciso davvero che tipo di gruppo siamo, credo. Ci siamo sempre trovati a nostro agio a scrivere pezzi più grossi, veloci e casinari come "Breezeblocks" e "Fitzpleasure," ma anche cose più tranquille, quasi ballate. E devo dire che a volte ci piace concentrarci su pezzi più lunghi, perché puoi giocarci dentro e creare paesaggi sonori. In fondo siamo sempre stati dei piccoli fattoni, sai? Vorremmo fare musica che ti porta da qualche parte. E ci piace pensare che chi ci ascolta lo fa perché gli piacciamo in quanto gruppo, non perché ha sentito un solo nostro pezzo che lo fa prendere bene. Non faremmo mai un album con un solo suono, ci piace variare. Ci possiamo permettere "Deadcrush" accanto a "Last Year," credo, e continueremo a farlo finché ci piacerà farlo. Potete permettervelo, certo, e credo che dica molto sulla libertà artistica che ormai avete. Perché forse su This Is All Yours si poteva percepire quell'ansia da secondo album, quella per cui deve essere tutto accogliente e perfetto. E dato che è andata bene ora vi potete permettere di fare un po' quello che volete.
Esattamente. Dalla coda lunga di An Awesome Wave abbiamo capito che è grazie alla nostra stranezza se siamo stati accettati dal pubblico. Il che significa via libera per provare cose nuove—siamo stati abbastanza fortunati da sopravvivere ai nostri primi due dischi, ora si tratta solo di divertirci senza pensare a cosa stiamo andando a proporre e a chi.

alt j band press picture 2017

Gli Alt-J in studio durante le registrazioni di This Is All Yours, foto via ufficio stampa.

In passato hai dichiarato che non avete mai voluto sovvertire niente, ma solo fare quello che vi va di fare. Ma Relaxer non può essere considerato uno stravolgimento delle aspettative che il pubblico ha di voi? Lo dico perché in fondo non ci sono canzoni che assomigliano ai vostri pezzi più famosi.
Vero. E con questo torniamo alla scelta di non mettere intro, interludi, eccetera. Credo che la nostra idea fosse quella di fare un album più retrò, ma soprattutto di trovare un modo per continuare a restare interessati al progetto Alt-J. Non smetteremo mai di cambiare, finché esisteremo. Altrimenti non potremmo sopravvivere. Non siete mai stati un gruppo tanto social. Nonostante attorno a voi ci sia sempre stata una forte aura di contemporaneità, tendete a condividere poco della vostra intimità.
Forse, ma è perché per qualcuno gestire i social è un lavoro a tempo pieno. Abbiamo delle persone che se ne prendono cura, dato che devi per forza fare dei post noiosi tipo, "Hey, Australia, le prevendite del tour iniziano domani alle 9!" Non puoi evitarli, ma non puoi neanche aspettarti che sia il gruppo a farli con puntualità. Ma il punto è che non abbiamo mai voluto mettere la nostra musica in primo piano, forse perché la nostra musica è nata come qualcosa di privato. Non postare tanto sui social non è un tentativo di protezione del gruppo, è solo che non li troviamo tanto interessanti quanto il fare musica. E diciamocelo, siamo un po' pigri e distratti—il nostro team arriva sempre a dirci cose tipo, "Hey ragazzi, sono due settimane che non postate niente su Instagram!" Poi certo, vedere le reazioni della gente a quello che mettiamo su può anche rivelarsi emozionante, tipo quando abbiamo annunciato il nuovo album. Possiamo dire che Relaxer rispecchia il modo in cui stiamo ascoltando musica negli ultimi anni? Cioè passando da un genere all'altro, da un input all'altro? Quando uscì An Awesome Wave era già difficile etichettarvi, ma in fondo veniste inseriti nella macro-categoria "indie". Mentre ora è tutto più fumoso, e non è strano ascoltare in fila roba lo-fi, elettronica, acustica, rumorosa. E Relaxer ha un po' questo approccio.
Penso che possiamo ritenerci fortunati a fare musica in un'era in cui non sei definito dal genere che fai. Probabilmente il motivo per cui stiamo andando così bene è proprio la difficoltà che incontri quando provi a definirci. Fossimo stati in un altro decennio non ci avrebbero cagati di striscio. La mia percezione è che la musica, in passato, fosse quasi un fenomeno tribale: eri questo o quello, ascoltavi indie o metal o folk o elettronica. Noi saremmo stati quelli non abbastanza. Mentre siamo perfetti per un mondo in cui a dettare gli ascolti sono le playlist di Spotify. Crescendo la domanda che mi sono sentito fare più spesso era, "Che musica ascolti?"—ed è una domanda che andrà scomparendo, dato che è ormai normale ascoltare un po' di tutto. E noi siamo una band che ha dentro un po' di tutto. Scusa se torno sulla questione, ma non mi hai ancora ben spiegato come riuscite a passare dallo scrivere roba quasi lo-fi, vedi "Hit Me Like That Snare," a pensare un crescendo come "Pleader," che sembra una sorta di versione warpata di "Auld Lang Syne".
Sì, direi che è quasi una preghiera, un inno! È difficile risponderti, perché davvero non credo di sapere come facciamo. Parte della chimica che c'è tra noi, di ciò che ci rende unici, è la nostra abilità di cambiare strada. Per noi è sempre stato normale lavorare su un pezzo al mattino e passare a qualcosa di diverso il pomeriggio. Abbiamo sempre accettato i nostri gusti, il fatto che le nostre canzoni possano venire percepite diversamente da noi e dal nostro pubblico. Inoltre siamo persone curiose, tutti e tre, il che ci aiuta molto. Te lo chiederanno in tanti ma devo farlo anch'io dato che siamo alla prima ondata di interviste per il vostro nuovo album: come mai mettere una semi-cover di "House of the Rising Sun" nell'album?
Appunto, è una cover per metà! Credo che sia venuta fuori perché John stava suonando la chitarra, e gli accordi che aveva tirato fuori gli sembravano quelli di "House of the Rising Sun." Quindi ha cominciato a lavorarci, e in fondo sono contento, perché era da un botto di tempo che nessuno ne faceva una cover decente! E un altro modo per provare a fare qualcosa di nuovo è provare a fare qualcosa di vecchio, no? Fare una cover di "House of the Rising Sun" è così un cliché che nel 2017 diventa quasi originale.

alt j band press picture 2017

Fotografia di Gabriel Green.

Sul disco convivono anche approcci strumentali molto diversi. Avete usato sia quartetti d'archi che tastieracce da due soldi.
Ora che siamo al terzo album abbiamo abbastanza budget da poter provare cose diverse, e quindi ci siamo lasciati un po' prendere la mano. Tipo, mentre lavoravamo a "House of the Rising Sun" ci siamo chiesti come sarebbe stata se a suonarla fossero stati venti chitarristi classici in uno stanzone, e quindi così abbiamo fatto. Venti chitarristi?
Sì! Insomma, il ragionamento è stato: "Possiamo farlo? Facciamolo!" Continuo a ripetertelo, ma è stato davvero fondamentale per noi trovare nuovi modi per metterci alla prova e tenerci impegnati e stimolati. E la tastieraccia più che una scelta è un dettaglio che ci è piaciuto inserire perché è su tutti gli album che abbiamo fatto finora, l'avevo comprata per due soldi un sacco di anni fa, e credo davvero che un'orchestra possa valere tanto quanto una tastiera giocattolo quando si tratta di tirar fuori un bel suono. Tornando indietro con il pensiero, com'è stato a livello di logiche di gruppo il periodo in cui stavate scrivendo This Is All Yours?
È stato interessante… Gwil aveva appena lasciato il gruppo, e decidemmo di sbrigarci a pubblicare un nuovo album appena finito di andare in tour per An Awesome Wave. Eravamo stanchi ed emotivi, ma è stata una grande opportunità per dimostrare, e dimostrarci, quanto fossimo attaccati alla band. È stato divertente, non siamo stati rallentati o appesantiti dal pensiero di dover fare un buon secondo album. Siamo sempre stati molto convinti di noi, in realtà, contando tra l'altro che il nostro esordio aveva sorpassato le aspettative di tutti. Tra di noi siamo stati ai limiti del presuntuoso, se devo essere sincero! Ci sta dire che nei vostri testi c'è un elemento di casualità? Su alcuni pezzi di Relaxer sembra quasi stiate facendo un pastiche.
Anche qua ci piace passare da cose molto serie, vedi "Last Year," a canzoni più divertenti come "Hit Me Like That Snare," che è stata scritta in modo molto veloce… non è un pezzo gag, ma vuole essere divertente, capisci? Un pezzo serio ma che vuole avere un elemento di leggerezza. A volte scriviamo velocemente, a volte è una tortura mettere assieme i vari frammenti che ci vengono in mente. Posso dire che ci impegniamo sempre, e qualsiasi corpus valido avrà sempre al suo interno diversi umori. "Pleader" mi è sembrata quasi una riflessione su This Is All Yours. Frasi come "Quant'era verde la mia valle / Sentirmi raccontare di colline come quelle / Essere abbracciato in posti come quelli / Osservare una tale bellezza" mi fa pensare ai vostri vecchi testi, dato che su quell'album parlavate molto di natura—in "Nara," in "Warm Foothills"—e del Regno Unito, vedi "Choice Kingdom."
È interessante, anche se non era la nostra idea! "Pleader" nasce da un libro, che si intitola proprio "How Green Was My Valley," e parla di un villaggio di minatori irlandese nel diciannovesimo secolo. Probabilmente è il pezzo sull'album che parla maggiormente di un tema specifico. Ma non direi assolutamente che nessuna interpretazione di quello che scriviamo è sbagliata. A proposito: vi capita mai di fare un giro su Genius a vedere come la gente interpreta i vostri testi?
Sai, l'ho fatto qualche volta e l'ho trovato piacevole! Ma non lo faccio spesso. Siamo sempre aperti a qualsiasi lettura dei nostri testi, anzi: fare interviste è uno dei modi più vantaggiosi che abbiamo per tirare fuori un senso da quello che facciamo, capire meglio anche noi come pensare ai nostri pezzi. Per finire: che ne pensate dell'idea per cui la vostra musica è figlia della contemporaneità? Idea che nasce da scelte come iniziare "In Cold Blood" con una frase in codice binario, o usare un classico cult come LSD Dream Emulator per il video di "3WW."
È un'etichetta che non ci ha mai dato fastidio, ma credo che una qualità fondamentale degli Alt-J siano le nostre contraddizioni. Ci vediamo come un gruppo interessato alla musica folk, a internet, formato da tre persone con diversi background musicali. Di qualsiasi altra cosa possiamo discutere! Relaxer esce il 2 giugno per Infectious Music, ma potete ascoltarlo oggi a Milano, a Santeria Social Club.