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Tutte le foto per gentile concessione di Valerio Burli.

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Il Lupin della Riviera Ligure: la storia del ladro italiano più famoso di sempre

Prima piccolo bambino prodigio del furto, poi criminale dal cuore d'oro, e infine oggetto d'interesse dei media di tutto il mondo, reso quasi leggendario da un furto perpetrato ai danni di Carlo D'Inghilterra.
Niccolò Carradori
Florence, IT
renato rinino

Renato Rinino, primo in piedi da sinistra. Tutte le immagini per gentile concessione di Valerio Burli.

Al funerale del padre, Renato Rinino—allora conosciuto nel mondo della piccola criminalità savonese come René—si presentò circondato da una ventina di carabinieri, mentre il resto dei presenti aspettava il suo arrivo per chiudere la bara. Era detenuto da tempo per una serie di furti, e in carcere si era disintossicato dall'eroina. Arrivato a una ventina di metri dal feretro chiese agli agenti di poter salutare il padre non ammanettato, ma la richiesta non fu esaudita, e Renato dovette assistere al resto del funerale con i ceppi. Tempo dopo, in un appunto scrisse: "Davanti alla tomba di mio padre giurai che non mi sarei più drogato, ma che avrei rubato per tutta la vita. E così feci."

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Questo piccolo tropo degno di un laboratorio di scrittura creativa è contenuto in un documentario, Lupen - Romanzo di un Ladro Reale(purtroppo ancora non distribuito ma proiettato per la prima volta nel 2015, e diretto da Valerio Burli) che attraverso le testimonianze di parenti e amici ricostruisce l'intera vita di Renato Rinino—un personaggio italiano che per molti versi rappresenta una commistione fra il picaresco, il neorealismo, e il postmodernismo della massimalizzazione dei media: prima piccolo bambino prodigio del furto, poi criminale dal cuore d'oro, e infine oggetto d'interesse dei media di tutto il mondo, reso quasi leggendario da un furto perpetrato ai danni di Carlo D'Inghilterra. Furto che lo aveva fatto passare da René al nominativo di Lupin della Riviera Ligure, o, come si firmava spesso lui, Lupen.

Fra la fine degli anni Novanta e l'inizio dei Duemila, Rinino era diventato una specie di personaggio pubblico, ospitato nei più svariati programmi televisivi delle maggiori reti italiane. Ma dopo la morte, avvenuta nel 2003, la sua storia è stata pian piano quasi dimenticata.

Valerio Burli si è imbattuto nella vicenda quasi per caso, mentre stava terminando il suo percorso al Centro Sperimentale di Cinematografia de L'Aquila. "Stavo cercando una storia a cui dedicarmi per il documentario d'esame che avrei dovuto sostenere alla fine del terzo anno," mi ha raccontato quando l'ho contattato per parlare della storia di Rinino. "Ero disperato, perché a pochi giorni dalla consegna della bozza di progetto non ero riuscito a trovare qualcosa che mi soddisfacesse."

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Da una ricerca a caso su internet tra parole che lo avevano sempre incuriosito uscì la pagina Wikipedia di Rinino, "e leggendo fui talmente impressionato dalla sua vicenda da credere che fosse tutta una montatura: non poteva essere tutto vero, visto che di una storia tanto clamorosa non avevo mai sentito parlare. La sera stessa, dopo avere presentato il progetto ai miei insegnanti, partii per Savona, portandomi dietro solo una tenda e una piccola telecamera. In pochi giorni riuscii a ottenere tutti i contatti necessari, e a fare i primi sopralluoghi. È così che è partito il progetto."

A Savona Burli si è accorto che la città era ancora permeata dal ricordo del famoso ladro: la sua figura era quasi associabile a quella di un piccolo monumento pubblico. E probabilmente lo era già prima che René diventasse il Lupin Della Riviera Ligure.

Nato nel 1962 a Savona, Rinino fin da piccolo—quasi come una dote messianica—aveva mostrato un grande talento per il furto. Il primo lo compiè all'asilo, quando sottrasse a un compagno una trombetta giocattolo. "Quando era bambino rubava tutti i giocattoli e le merende dei compagni. Arrivavano all'ora dell'intervallo e nessuno poteva mangiare, perché lui aveva tutto nello zaino," racconta la sorella nel documentario di Burli.

Fu così che fin dall'infanzia nacque il mito di Rinino, che allora veniva chiamato da tutti L'Angelo Biondo per il colore dei suoi capelli: un bambino che poteva far sparire qualsiasi oggetto senza farsi notare. La famiglia, disperata, decise di spedirlo in colonia, ma Renato una notte rubò i soldi a tutti i bambini della camerata, e si pagò il viaggio per tornare a casa.

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Renato Rinino, primo nella terza fila da destra, durante il soggiorno in colonia.

Ben presto il suo talento divenne famoso nel giro della piccola criminalità di Savona, e per questo a 11 anni, dopo ripetuti furti, i servizi sociali decisero di spedirlo nella Nave Scuola Garaventa. Che non era solo la più famosa nave scuola italiana, ancorata nel porto di Genova, ma un istituto correttivo per minorenni, il cui scopo era instradarli alla carriera portuale e navale. Quella che si presentava come la soluzione per correggere l'attitudine del figlio, però, si rivelò una specie di master universitario in delitti contro il patrimonio: la Garaventa era stipata di piccoli criminali, e per Rinino fu un noviziato per continuare ad esercitare il suo talento nel furto.

Una volta uscito, cominciò a svaligiare appartamenti, e fare avanti e indietro dal carcere. "Sant'Agostino, Marassi, Genova, Imperia: abbiamo girato il mondo delle carceri," ricorda la sorella di quel periodo. Rinino tentò più volte di cominciare una vita onesta e regolare, ma non riuscì a farsi assumere né al porto, dove aveva lavorato il padre, né altrove, quindi fu 'costretto' a continuare coi furti.

Così divenne per tutti René: non soltanto per la sua attitudine al furto, ma per la sua propensione a farne quasi un gioco e a permearlo di ideali simil-morali. Rinino infatti divenne famoso perché non rubava ai poveri, e se gli capitava di farlo restituiva la refurtiva, spesso accompagnandola con una donazione. Nel 1989, dopo essersi reso conto tramite i giornali di aver svaligiato l'abitazione di un'anziana pensionata con difficoltà economiche, Rinino decise di restituire la refurtiva, con un'aggiunta di sei milioni di lire.

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Cominciò ad essere noto nelle cronache come "il ladro gentiluomo", aura a cui contribuì creando tutto un immaginario attorno alla propria figura. Nel documentario di Burli il fratello minore mostra "i cimeli" lasciatigli da Rinino dopo la morte: un casco e il serbatoio di una Harley aerografati con l'immagine di Lupin III, un beagle di nome Jigen, un piede di porco, due cacciaviti ("mio fratello diceva sempre che bastavano questi ad aprire qualsiasi porta o finestra"), uno zucchetto con pila elettrica, e una cintura di cuoio con inserto invisibile per nascondere la refurtiva.

I "ferri del mestiere" di renato Rinino.

"Nel documentario non ho potuto inserirlo, ma avevo delle scene in cui degli esponenti delle forze dell'ordine mi parlavano con affetto di Rinino," mi ha spiegato Burli.

Fu in questo periodo che cominciarono i suoi problemi con l'eroina, e che i suoi furti si intensificarono senza soluzione di continuità: a 32 anni aveva già alle spalle 16 anni di carcere e riformatorio. Durante una perquisizione nella sua abitazione venne rinvenuta merce rubata per un valore complessivo di oltre cento milioni di lire. Nel 1994, poi, arrivò il furto che lo rese famoso in tutto il mondo. "Si era trasferito a Londra nel tentativo di sottrarsi al suo abituale stile di vita, e cercare di ricominciare, ma le sue abitudini alla fine ebbero la meglio," mi ha detto Burli spiegandomi la nascita dell'episodio. Un giorno, mentre passeggiava nei pressi di St. James's Palace, l'appartamento privato del principe Carlo d'Inghilterra, notò un ponteggio che saliva lungo tutta la facciata del palazzo, la cui apertura era stata lasciata incustodita. Completamente ignaro di chi fosse il proprietario dell'abitazione, Rinino salendo per il ponteggio forzò una finestra, e introducendosi nell'appartamento rubò dei gioielli—dei gemelli Fabergé appartenuti allo zar Nicola II, delle spille d'oro, degli orologi e delle scatole d'argento—riuscendo a fuggire senza farsi notare dalle guardie.

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Una volta scoperto il furto, scoppiò un vero e proprio scandalo in tutto il Regno Unito, con i giornalisti che si sforzavano di ricostruire le dinamiche di un crimine ritenuto "quasi impossibile". Sui giornali inglesi dell'epoca uscirono addirittura delle vignette che ipotizzavano come il presunto ladro avesse architettato il piano con grande precisione e si fosse procurato una serie di informazioni segrete, sapendo che i dispositivi d'allarme erano stati disattivati perché in quel momento era stato previsto l'atterraggio di un deltaplano sul tetto del palazzo.

Rinino non si era reso conto dell'entità del furto nemmeno dopo aver visto gli interni dell'abitazione, perché poche ore più tardi si presentò da un rigattiere tentando di vendere parte della refurtiva, e fu grazie alla testimonianza di quest'ultimo che le indagini si spostarono su un criminale straniero, probabilmente italiano.

Il Lupin della Riviera Ligure, però, riuscì a tornare in Italia senza problemi, e per oltre tre anni il furto rimase un caso irrisolto—con le cronache più fantasiose che ipotizzavano un'operazione segreta di spie straniere incaricate di sottrarre al principe Carlo la corrispondenza privata con l'amante Camilla Parker Bowles. Resosi conto dell'opportunità che si celava dietro allo scandalo mediatico, nel 1997 Rinino decise di autodenunciarsi, e dichiarò ad alcune reti locali la disponibilità a restituire la refurtiva "in cambio di una stretta di mano al principe Carlo."

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Inizialmente i reali credettero che si trattasse della versione di un mitomane, ma grazie all'intercessione di un avvocato—che testimoniò di aver visto parte della refurtiva—Rinino chiese un incontro con il Principe, e la possibilità di poter sfruttare commercialmente la vicenda, facendo riprendere alle tv il momento della riconsegna della refurtiva. Erano gli anni in cui in Italia cominciava a imperversare il fenomeno della "tv verità" più ostentata, e Rinino manifestò l'intenzione di passare da "ladro gentiluomo" a "ladro superstar". Non ebbe mai occasione di incontrare il principe Carlo, ma riuscì comunque a uscire illeso dalla vicenda, perché dopo tre anni non era più perseguibile. Nel 2000, dopo anni di discussioni e controversie, la refurtiva fu restituita alla famiglia reale.

La storia di Rinino attirò l'attenzione di moltissimi programmi italiani, che cominciarono a invitarlo in trasmissione e fare di lui un personaggio televisivo. Uno di questi lo inviò addirittura a Londra, per farsi riprendere mentre assisteva a una parata della famiglia reale.

Renato Rinino, intervistato durante una trasmissione televisiva.

Ma non fu solo questo episodio a motivare l'attenzione morbosa dei media nei suoi confronti: le trasmissioni iniziarono a realizzare servizi su di lui, anche a distanza di anni, per capire come stesse ricostruendo la sua vita e quanto le sue inclinazioni criminali tornassero a tentarlo. Cominciò a ricevere una serie di proposte da parte di vari produttori, fra cui la possibile trasposizione della sua vita in un film. È difficile comprendere fino in fondo la portata che la sua figura avrebbe potuto avere per il mondo televisivo italiano dei primi Duemila, perché prima che tutto questo potesse concretizzarsi, Rinino fu ucciso con un colpo di pistola alla tempia da un suo vicino di casa, il 12 ottobre del 2003.

"L'aura mediatica che Lupen si portava appresso era ormai tale che la sua morte inizialmente destò una serie di miti a leggende circa una presunta vendetta commissionata da coloro che dopo il furto al St James's Palace erano stati licenziati dal servizio d'ordine," mi ha raccontato Burli. "In realtà, stando agli atti giudiziari, l'omicida era spinto da gelosia nei confronti di Rinino, la cui personalità sopra le righe era sempre al limite."

La storia di Renato Rinino, insomma, non rappresenta soltanto un classico—e forse stereotipato—esempio di un'Italia picaresca che non esiste più—"nella parte finale del mio documentario ho cercato di analizzare tutto il lato umano e reale di Rinino, attraverso le testimonianze dei suoi amici più cari," mi ha spiegato Burli—ma anche il potenziale simbolo di una trasposizione mediatica che per anni ha fatto la storia televisiva di questo paese. E che ha trasformato Renato Rinino nel ladro italiano più famoso di tutti i tempi.

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