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Siamo o non siamo dei coglioni?

In questi giorni ho potuto notare che le persone che popolano i social network a cui sono iscritta hanno una nuova passione: difendere i diritti dei giovani creativi. Per capirne di più, ho chiamato uno degli ideatori della campagna #coglioneno.

In questi giorni ho potuto notare che le persone che popolano i social network a cui sono iscritta hanno una nuova passione: difendere i diritti dei giovani lavoratori del terziario, o meglio, dei giovani creativi, la cui creatività molto spesso non paga, o meglio, non è pagata.

Mi riferisco ai video dei ragazzi di Zero caratterizzati dall'hashtag #coglioneNo. Non c'è molto bisogno che vi spieghi di cosa si tratta, dato che se avete una connessione Internet probabilmente avete subito il mio stesso bombardamento mediatico. La campagna si è portata appresso, oltre che una serie infinita di condivisioni uno strascico di commenti, lettere aperte e critiche che in parte condivido, dato che il tema è molto più complesso di quello che sembra.

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A prima vista, infatti, i video sembrano criticare aspramente la modalità in cui viene trattato dal datore di lavoro il giovane che ha una formazione e un'ambizione professionistica particolare, la cui immaterialità non permette di quantificare immediatamente la consistenza di un lavoro svolto. Il tema, però, può essere analizzato anche dal punto di vista dell'accusa di ingenuità ai giovani che si lasciano sfruttare con lavori se va bene sottopagati.

Oddio, quindi anche io sono una cogliona, era ora che qualcuno me lo dicesse. Nei miei anni di stage gratuiti e lavori sottopagati ho potuto esperire personalmente i limiti e i trabocchetti del mondo del lavoro—il confine tra sfruttamento e praticantato è davvero molto labile—ma ho sempre fatto leva su una discriminante netta, ovvero la possibilità di crescita (quanto imparo da uno stage e se lo stesso possa realmente portarmi ad avere mezzi a sufficienza per poter reclamare un diritto a esercitare la mia professione con dignità). Fermo restando che è universalmente sbagliato che un qualsiasi investimento di tempo in una fatica sia congedato pro bono, c'è una parola che esiste da molto prima del termine graphic designer, e questa parola è gavetta. Tutti, idraulici compresi, ci sono passati.

In ogni caso, il merito principale di questa campagna virale è sicuramente stato quello di sollevare una riflessione sul tema, anche se ho il timore che questa riflessione, nella maggior parte dei casi, si sia risolta come si risolvono le questioni nell'epoca odierna: con la convinzione che condividere acriticamente un pensiero sui social network possa essere sufficiente per trattare a modo un disagio. E qui ho trovato anche il limite dei suddetti spot, in quanto la genericità e l'approccio sentimentale con cui affrontano l'argomento hanno fatto sì che ognuno interpretasse il messaggio ivi sotteso e se ne appropriasse a seconda delle proprie particolari esigenze, senza davvero ragionare sulla problematica.

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Per capire meglio le dinamiche di un'onda d'urto di questo tipo, ho quindi telefonato a Stefano, uno degli ideatori di questa campagna, e gli ho posto un po' di questioni.

VICE: Ciao Stefano, raccontami chi siete e com'è nato questo progetto.
Stefano: Siamo in tre, io, che ho 25 anni, Niccolò Falsetti che ne ha 26 e Alessandro Grespan, 29. Nel 2011 io e Niccolò abbiamo iniziato a fare alcuni video per passione, tra cui uno sugli immigrati all'estero, che ha vinto un concorso. Da lì ci ha contattato Alessandro e ha iniziato a collaborare con noi. I tre video che abbiamo fatto sono nati da un'esperienza personale, dato che molte delle persone con cui ci siamo trovati a parlare in questi ultimi due anni ci hanno ripetuto molto spesso le stesse cose, ci eravamo rotti le palle e volevamo dirlo in questo modo.

Quindi i video sono rivolti più che altro al datore di lavoro che ti dà l'inculata o vogliono dare un po' addosso anche a chi se la piglia?
Diciamo che i nostri video hanno il duplice scopo di dar contro ai clienti che danno per scontato che sia lecito pagare una prestazione con cose come la visibilità o il "tanto ti diverti a farlo" e a chi svaluta la propria professione accettando lavori in queste condizioni.

Non credi che il termine "creativo", che personalmente trovo orrendo, sia un po' generalista per descrivere un range di professioni che va dall'artista vero e proprio, alla maniera classica, al social media manager e così via? Questo ha fatto sì che il vostro video fosse condiviso dalla qualunque e perdesse forse per strada il senso iniziale.
Sì, è un discorso ampissimo questo. Non sopporto nemmeno io la parola creativo, sono un filmmaker che ha studiato per fare quello. Poi chiaramente c'è anche la questione che ora il mondo è pieno di "creativi": web designer, fashion designer, social manager e quant'altro, e il termine si è allontanato un po' dalla concezione canonica dell'artista. In effetti, come si sostiene in alcuni articoli che hanno scritto sui nostri video, non puoi pretendere di avere una professione in mano solo perché hai fatto un corso da 20.000 euro o possiedi una tavoletta grafica.

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Su questo ci sono due cose da dire: salvo casi fortunati, gli artisti sono sempre stati gente con le pezze al culo, e poi se scegli di entrare in un ambito lavorativo che ha molta più offerta che domanda, ma più in generale se scegli una professione che comporti l'uso dell'immateriale, devi essere pronto a lottare con gli squali, a una guerra tutti contro tutti, perché in molti casi devi essere bravo a crearti il tuo stile e tirare l'acqua al tuo mulino. In un'economia sviluppata e complessa in cui è permesso che esistano professioni di questo tipo, le regole sono quelle della competizione e della continua differenziazione del consumo. È una realtà molto frustrante, ma bisogna averne la consapevolezza. 
Sono perfettamente d'accordo, e in quella lettera aperta che ci hanno scritto c'era una lamentela riguardante quelli che, senza cognizione di causa, postavano i nostri video come se fosse la loro voce. Però è chiaro che come tutte le cose che vanno su Internet, che vanno in questo modo, possono essere facilmentente fraintesi o mal utilizzati. La cosa che mi piace però è che si crei una discussione su questo tema.

Certo, però un video di questo tipo è molto utile per riassumere una problematica esistente in un modo che colpisce, ma dall'altra parte fenomeni di questo genere sono quelli che mantengono il disagio nel limite del lamento sui social network. Secondo me il problema vero parte da dove finisce il vostro video: a cosa serve lamentarsi di una condizione di questo tipo? Chiaro che poi arrivano quelli che dicono "se non trovi lavoro, vai a fare l'idraulico per davvero." Come se nel mercato dell'idraulica non ci fosse competizione.

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L'autore della lettera aperta chiude dicendo "Nessuno chiederà più ai tizi che hanno fatto la 'campagna di sensibilizzazione per il rispetto dei lavori creativi' di lavorare gratis, ora che i loro video sono diventati 'virali' e hanno fatto centinaia di migliaia di visualizzazioni. Perciò, caro amico 'creativo', se vuoi saltare la parte in cui dimostri di meritarti di venire pagato per il tuo lavoro e arrivare subito alla parte in cui vieni pagato per il tuo lavoro ti conviene andare in fabbrica." E sono d'accordo con lui: ho paura che il messaggio sia fraintendibile in questo senso.
Sono d'accordo anche io, non è che puoi controllare come verrà recepito un video che va fuori dal tuo controllo.

Vi fanno notare che non avete pagato gli attori dei vostri video, come me la giustifichi questa?
Be', i tre lavoratori, l'antennista l'idraulico e il giardiniere, siamo io, Alessandro e Niccolò, poi tutti gli altri che hanno collaborato, Luca di Giovanni, l'attore, poi Benjamin Maier (direttore della fotografia), Lorenzo Schirru (suono) e Elisabetta La Mattina (trucco) non sono stati pagati, ma perché eravamo tutti quanti interessati a farlo per una giusta causa. Lo so che è una situazione kafkiana, ma in questo modo ci siamo tutti dati visibilità, quindi è valsa la pena lavorare pro bono. È grottesco.

Grottesco, ma è esattamente il modo per dire "cazzo, evita di lamentarti e datti da fare."
O magari per dire "cambia lavoro e vai a fare il giardiniere."

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Sì, anche perché ok quelli che sono all'inizio, ma dopo un po' di anni che ti becchi inculate è razionale pensare di cambiare mestiere. Ma questo mica solo in ambito creativo.
Ma infatti, io stesso mi do il limite del 2014 per riuscire a portare a termine progetti a cui tengo, l'ho già detto a tutti che se non ci riesco mi trovo un altro lavoro, perché a 26 anni vuol dire che non riesco a fare granché in questo mestiere.

Oddio, non ti disperare così a 26 anni.
Ma sì era per dire che sono della tua stessa idea, se hai le potenzialità giuste per fare qualcosa e ci metti impegno, ci sta che fai sacrifici per realizzare qualcosa. E se dopo un po' non ce la fai non puoi dare la colpa agli altri.

Quindi ora farete un'altra campagna con #CambiaLavoro?
Ecco, poi sono questi secondo me, che non sanno fare le cose, che rovinano il mercato.

Sì, in effetti è orrendo avere un solo amico elettricista e tutti gli altri inutili. 
Sono d'accordo, ma poi c'è il mito del mondo del cinema e dello spettacolo quando forse è il lavoro peggiore di tutti. Non era nostra intenzione generalizzare su questo tema, però abbiamo detto la nostra e abbiamo dato in pasto il video alla rete. Speriamo che non si fermi qui la discussione.

Appena finito di parlare con Stefano ho letto l'articolo di Niccolò Contessa, e mi sento di concordare con lui quando afferma che allo stato delle cose la creatività sia traslata da arma politica a strumento di espressione dell'individuo, e che sia questa disgiunzione ad affossare il ruolo stesso della creatività in un confine preciso e trasformare il suo potenziale critico in un lamento nei confronti della realtà così com'è, senza alcun mordente sulla politica.

C'è anche da dire che le rivoluzioni non sono mai partite da scioperi dei creativi, ma piuttosto dei panettieri, e che i movimenti intellettuali o artistici legati alla politica partivano proprio da presupposti diversi, impersonali, collettivi, e per chi usava la creatività in questo modo essere pagato era l'ultimo dei problemi. Per questo non c'è da aspettarsi che tutti quelli che hanno condiviso il video di #coglioneNo sovvertano il sistema politico-culturale, non si può pretendere che una generazione, solo perché vive situazioni di disagio, investa la propria arte di significati che la trascendono. Questo è un ruolo che appartiene a pochissimi e forse in questo momento non c'è nessuno in grado di ricoprirlo.

Segui Virginia su Twitter: @virginia_W_ A proposito di lavoro:

La nostra cultura del lavoro ci sta uccidendo