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Cafolavori

Gesù nel pallone

Come scrivere delle autentiche cagate: ce lo insegnano Fabio Caressa e Carlo Nesti, telecronisti sportivi d'eccezione.

Basta Montale, basta Pasolini, Gadda, basta: la verità è che con loro non si scopava mai. "Di cosa scriviamo quando scriviamo di merda" è una rubrica di recensioni letterarie dedicata a quegli attori, presentatori, musicisti e sportivi che hanno capito che scrivere un libro è la via più diretta per toccare le corde del cuore. I libri recensiti sono tutti disponibili in Autogrill. 

In questa quarta puntata, la storia del telecronismo italiano: Carlo Nesti, uomo record da sei Mondiali e sei Europei narrati, con il suo agghiacciante Il mio psicologo si chiama Gesù, e Fabio Caressa, conduttore, voce dal campo e sposino del volto noto delle cucine italiane, Benedetta Parodi, conGli angeli non vanno mai in fuorigioco.

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Gli angeli non vanno mai in fuorigioco, Fabio Caressa, Mondadori.

Ricetta per un autentico libro di merda, con contorno di 6 ristampe Mondadori e un dessert al premio Strega. Ingredienti:

la merda
wikipedia
cinque ragazzi
"il vecchio"
cattivi padri Preparazione:

Tagliuzziamo le pagine wikipedia di calcio fino a quando non avremo ottenuto “gli aneddoti”. Dividiamoli in capitoli, raggruppandoli in piccoli mucchietti: la Lazio di Maestrelli, l’Inter di Trapattoni, la Roma di Liedholm, la Juventus di Platini, il Milan di Sacchi, il Napoli di Maradona. Da questi mucchietti, setacciamo “il banale”, mi raccomando solo quello, altrimenti l’impasto non verrà marrone.

Prendiamo poi una copertina con un bambino che gioca a pallone, un’immagine qualunque andrà benissimo. Se non l’abbiamo a casa possiamo digitare su google “bambino + pallone”, stamparla e il gioco è fatto.

Prendiamo il nostro impasto e buttiamolo nella copertina e cominciamo a girare. Intanto torniamo a wikipedia per fare la stessa cosa con le pagine di storia. Di queste non setacciamo solo “il banale”, ma anche “il letto di fretta”, e mentre le mescoliamo con quelle calcistiche spolveriamo di tanto in tanto con della merda grattugiata per avere frasi come queste: “L’Inghilterra gioca palla alta perché la loro storia è quella di proiettarsi oltre la Manica. L’Italia invece, sempre invasa, perché non dovrebbe difendersi?”, oppure: “La Lazio potrebbe essere l’emblema della lotta della Sinistra e invece tutto l’opposto: perché è di Destra”. Mentre lasciamo lievitare il nostro materiale per 30 minuti circa, fino a quando non raggiungerà le 196 pagine, andiamo a scongelare “il vecchio”.
Mi raccomando prima di soffriggerlo, di sciacquarlo per bene, perché è un “tipo strano, non si sa che lavoro faccia, parla esclusivamente di calcio (il suo intercalare preferito è: ‘SONO LE BASI, SONO’ capslock incluso), è un eremita e nelle sue storie dichiara continuamente ‘di esserci stato’”. Mettiamolo a soffriggere in Abruzzo per circa settant’anni e a fine cottura vedremo “il vecchio” dorato come “un angelo”. Sarà lui il nostro narratore.

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Buttiamo nella stessa pentola abruzzese del “vecchio”, dopo appena quattro / cinque pagine, i fanciulli in vacanza, già stereotipati in precedenza. Così: Il bello del gruppetto tifa Juve ed è bravissimo a calcio, l’unica ragazza tifa Napoli ed è bella e tosta (“quando tutte le sue amiche giocavano con le bambole, lei vedeva i gol di Maradona”), il protagonista fatelo lupacchiotto “e una pippa a calcio” (sarà l’autore però di un gol capolavoro che farà vincere il torneo ai suoi amici alla fine della storia), e i gemelli scemi uno del Milan e l’altro dell’Inter che si chiamano entrambi Nicola (“sai, famiglia di origine barese, trapiantata a Milano”). Per mixarli con il “vecchio” aiutatevi con la normalissima frusta da cucina Pallonata forte che rompe il vetro della casa™. Lasciamo mantecare a fuoco basso i personaggi, chiudiamo il coperchio e torniamo alla nostra copertina lievitata. Un trucco: per agevolare la lievitazione sarebbe meglio aggiungere qualche “cattivo padre” di stagione, per avere un dialogo con il figlio dodicenne sì fatto: “Lo sai che sei solo un nano di merda?” o ancora: “Te la voi scopa’? E vai pisellone!”
I “cattivi padri” poi riempiono ottimamente anche capitoli inutili come “Superclassifica Show” nel quale stilano una graduatoria dei cartoni animati giapponesi, dei “figaccioni”, delle commedie all’italiana, senza che nessuno glielo abbia chiesto.
Attenti a “dipingere bene sui volti degli adulti un lieve e compiaciuto sorriso”. Quando la lievitazione avrà raggiunto quasi le duecento pagine, coliamoci sopra il nostro soffritto di trama e cominciamo a spalmare sulla superficie cartacea in maniera uniforme, aiutandoci con un pennello, molti “a capo” e un carattere grosso.
Per capire se il nostro lavoro sta procedendo correttamente possiamo constatarlo con la presenza di “K” in “Minkia” e “Cakkio” oppure nell’invenzione dei nomi delle squadre di calcetto (“Puzzette” e “Porcellona”), ché confermano che “la favola da raccontare a nostro figlio” la stiamo raccontando alla grande.
Se dopo aver spennellato ci accorgessimo di aver lasciato bianchi i bordi e non abbiamo più merda a disposizione, niente paura, la facciamo noi in quattro e quattr’otto.
Che ne dite di disquisire sulle “misure dei calciatori”? Vi piace? E allora forza, cominciamo: “Gullit era come dire… molto dotato. Sull’argomento c’era una vera e propria mitologia, che rimbalza di spogliatoio in spogliatoio… Toninho Cerezo, Drogba… perché sotto la doccia si torna tutti ragazzini… a quanto pare, Ruud era qualcosa di eccezionale…”, continuiamo così fino a quando non avremo ricoperto di marrone tutte le parti ancora bianche. E a questo punto il nostro piatto è quasi terminato.

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Non dimentichiamoci prima di servirlo, di guarnire il nostro libro di merda con un sentito ringraziamento “ai ragazzi impegnati in Afghanistan e nelle altre missioni italiane”.
E così Gli angeli che non vanno mai in fuorigioco è pronto!
Scritto e cagato.

Per la recensione di Il mio psicologo si chiama Gesù, di Carlo Nesti, vai alla pagina successiva.

Il mio psicologo si chiama Gesù, Carlo Nesti, San Paolo.

Beato quello che “scrive libri, interamente, nella memoria di un palmare telefonico, in auto, in aereo, in treno, e persino in piedi, camminando”, perché “non c’è nessun pulpito, da cui predicare, ma solo la piazza virtuale”. Beato quello che vede in Dio “un navigatore satellitare”, perché “l’esistenza è tutta da guidare”. Beato quello che sente vicino Dio nelle “piccole cose: la conversazione con una persona, la lettura di un giornale, la passeggiata in un parco, e persino la pausa per prendere un caffè”, perché “mette alla prova il modo di pensare e parlare”. Beato quello che “cammina, si specchia, accelera, sbatte contro un vetro, cade, ma si rialza”, perché “l’importante è rimanere nel percorso”. Beati “i pensieri che si traducono in parole”, perché “escono dalla bocca, e trasformano le parole in azioni”. Beati quelli che hanno compreso che “vedere sempre ‘nero’, oltretutto ha ripercussioni gravi: elaborando pensieri negativi, mandano in circolo una sorta di veleno che inquina le sfere psicologica e corporale”, perché “la stessa scienza, ormai, conosce bene questi legami”. Beato quello che ha “la mente come un computer”, perché “se il programma non è corretto, e tutto viene decifrato in chiave controproducente, bisogna riprogrammarlo, resettando ciò che era memorizzato”. Beato quello che sa che “avere carattere non significa essere il ‘macho che non deve chiedere mai nulla a nessuno’”, perché “è forte dentro, nell’anima, e non fuori, nei muscoli”. Beati quelli che “hanno compreso valori come preghiera, semplicità, amore, amicizia, altruismo e perdono”, perché “l’universo mediatico non te li ‘sbatte’ quasi mai in prima pagina”. Beato quello che “in questa chiave, è colpito sempre dall’esperienza esistenziale di molti disabili sotto gli occhi del mondo”, perché constata “la supremazia dell’‘essere’ sull’‘avere’ e sul ‘fare’”. Beati quelli che hanno “imparato a sostituire la domanda: ‘Perché questo è toccato proprio a me?’ con la domanda: ‘Cosa vorrà dirmi con questo il Signore?’”, perché “compiono un grande passo avanti. Anche se è chiaro che ci sono eventi talmente tremendi da rendere difficile l’operazione, travolti, implacabilmente, dal dolore”. Dannate “quelle volte in cui perdi un aereo, e recrimini per ore, rovinandoti la giornata”, perché beate sono “quelle in cui te la prendi per un attimo, compri un libro e ti metti a leggere, serenamente, sino al volo successivo”. Beato quello che “nel modo giusto intende l’esistenza”, perché sa che essa è “un viaggio, più o meno lungo, che dura dalla nascita fino alla morte”. Beati quelli che possiedono una “sana autostima”, perché sono “a metà strada fra la sottovalutazione di chi si considera poco e la sopravvalutazione di chi esalta troppo”. Beato quello che ha capito “in questo senso che è molto importante il realismo”, perché “ se continui a inseguire sogni impossibili, fai male a te stesso, e non ottieni il ‘mix’ tra ‘dovere’ e ‘volere’”. Beato quello che ha compreso che “l’errore vero è quello di dipingere di un unico colore il volto di chi ci sta davanti: bianco o nero, simpatico o antipatico, con slancio integralista”, perché “ha capito che dentro ogni persona esiste l’universo, con tutte le sue sfumature e i colori che compongono le personalità”. Beati quelli che “sono come un’auto con il freno a mano tirato”, perché “Gesù, infinitamente simpatico, è venuto per liberarli da questo guasto, regalandogli ‘carburante’ senza limiti”. Beato quello che è “colpito dall’immagine di chi rovista nei cassonetti della spazzatura”, perché ha imparato che “ciò che per alcuni può essere superfluo, per altri è necessario”. Beato quello che “privo di fiducia, in se stesso e nel prossimo, ritiene insostenibile la sfida della vita, e dunque sceglie l’autodistruzione: alcol e droga, un problema che riguarda giovani e meno giovani”, perché ha capito che “se si giudica il supermercato la cattedrale del ‘benessere’, ci si sbaglia di grosso”. Beato quello che non “ha ‘filtri’ intellettuali che gli trasmettono la presunzione di sapere tutto, e non aver bisogno di Dio”, perché “l’essenziale è non allontanarsi troppo dalla verginità, dalla semplicità e dalla spontaneità del pensiero, che è naturale scorgere nei bambini”. Beato quello che “non perde tempo”, perché “dato che le nostre vite sono misurate nel tempo, e nel corso del tempo noi cambiamo e invecchiamo (anche se non c’è una regola fissa, perché non è fissa la durata dell’esistenza: nessuno sa se sarà breve, media o lunga), in ogni pensiero, e in ogni azione, ciascuno di noi deve comportarsi come se dovesse morire oggi stesso”. Beati quelli che non vedono “un Cristo-robot, impavido dinanzi a ogni sorta di minaccia”, perché “da loro non si pretende la perfezione, nella corsa a ostacoli che è la vita”. Beati quelli che vivono “in un mondo pieno di troppa ingiustizia e troppa violenza”, perché “imparano a immaginare gli altri ancora fanciulli, con secchiello e paletta, senza cattiveria”. Beato quello che vede “Gesù come ‘psicologo’, nella misura in cui la qualità della vita è soprattutto questione di ‘pensieri’”, perché “se ha quelli giusti, costruttivi, positivi in testa, vincendo la partita su quelli sbagliati, distruttivi, negativi, può andare in capo al mondo, con Gesù alla guida che prende il volante, nell’abitacolo della coscienza!” Beato quello che “ha un appuntamento, laggiù, in fondo alla strada, con coloro che ci sono, ci sono stati e ci saranno”, perché taglia “un traguardo da cui niente al mondo lo deve dividere. Forza Gesù, mettilo in moto, verso la ‘felicità eterna!’” Beati voi lettori, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.  Rallegratevi e sgommate, perché grande è la vostra ricompensa nel regno di Nesti.

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