FYI.

This story is over 5 years old.

A9N2: Il settimo numero di VICE dedicato alla moda

Troppo giusto - Storia dei paninari italiani

Tutto quello che c'è da sapere sull’ultima subcultura giovanile di origine italiana, i paninari.

Ieri pomeriggio a Milano c'è stato il raduno annuale dei paninari. Per l'occasione riproponiamo una nostra intervista del 2013 a Ramon Verdoia detto "Bircide," il più famoso paninaro italiano.

All’inizio degli anni Ottanta, l’Italia si stava lasciando alle spalle un periodo di complessi cambiamenti sociali e impegno politico, in cui era impossibile pensare a qualunque persona o volto noto senza apporgli un’etichetta. Per questo, quando alcuni gruppi di ragazzi hanno iniziato a sbattersene della politica e a concentrare tutte le forze nella costruzione di un’immagine puramente estetica, molti non se ne sono fatti una ragione. Venivano chiamati Paninari, si trovavano nei bar del centro e nei neonati fast food italiani. Indossavano piumini da 500.000 lire coloratissimi, andavano in vacanza a Courma e a Forte e in altre località a cui si poteva accorciare il nome, e parlavano con un linguaggio incomprensibile. Avevano il mito dell’America, che mostravano nella totale devozione verso particolari marchi prodotti in USA (Timberland, Avirex, Schott), ma anche tramite il miscuglio di abiti e accessori influenzati dagli stili americani, tipo le cinture e gli stivali da cowboy di El Charro e Durango.

Pubblicità

Qualche anno fa c’è stato un ritorno dello stile Paninaro perché, boh, così vanno i ricicli della moda, e Ramon Verdoia ha smesso di sentirsi messo da parte. Paninaro da ragazzino, Ramon è rimasto legato a quello stile fino a oggi, e con il suo negozio online di abbigliamento originale anni Ottanta, due film e un archivio di riviste, foto, video originali sul tema si è meritato il titolo di Gran Gallo dei Paninari, orfani di un’era più spensierata (e ricca). Gli abbiamo chiesto di spiegarci tutto quello che c’è da sapere sull’unica subcultura giovanile di origine italiana.

VICE: Puoi dirci quando, dove e come è nato il movimento Paninaro?
Ramon Verdoia: Una data ben precisa non c’è, forse il 1981 per chi era di Milano, in provincia è arrivato intorno al 1984-85. I primissimi a essere soprannominati Paninari in realtà non avevano niente a che fare con i Paninari che si intendono generalmente: un giornalista aveva affibbiato questo nome ai ragazzi appartenenti all’estrema destra che si trovavano al bar “Al Panino”, un bar in centro a Milano. Sarebbero i cosiddetti Sanbabilini, quelli di San Babila ore 20: un delitto inutile di Carlo Lizzardi.

I Sanbabilini sarebbero i predecessori dei Paninari?
Diciamo che i Paninari sono dei Sanbabilini a cui non frega niente della politica, e che si sono distinti per l’aspetto. Qualcuno magari ha iniziato da quelle parti, ma solo perché era di moda; io stesso ho fatto qualche incontro con i ragazzi del Fronte della Gioventù, ma sono durato giusto qualche mese, non me ne fregava nulla. Anche il bar “Al Panino” rimase più una colonna storica, le compagnie si spostarono nei fast food. Ok, quindi dopo i ragazzi di estrema destra sono arrivati i ragazzi modaioli.
I Paninari erano ragazzini tra i 15 e i 19 anni, molto sicuri di sé e con una spiccata vocazione al cazzeggio, gli interessava andare in moto, Zündapp e Gilera su tutte, e provarci con le ragazze più carine. Dei Sanbabilini hanno preso solo qualche elemento di stile, tipo il bomber, e poco altro. Cosa facevano durante il giorno?
Stavano in giro per il centro, al bar o nei fast food, andavano in discoteca il sabato pomeriggio o se avevano già amici diciottenni con la patente ci andavano anche la sera. D’inverno frequentavano località come Cortina, Madonna di Campiglio, piuttosto che St. Moritz o Courmayeur, e d’estate andavano a Forte dei Marmi, Santa Margherita Ligure o altre località dove i genitori avevano la seconda casa.

Pubblicità

Giravano droghe o alcol?
Quasi niente, c’era giusto qualcuno che si faceva le canne, ma poca roba. La cocaina ai tempi costava davvero troppo, l’eroina era fuori discussione. Ti dirò, a malapena si beveva. C’era una cultura contro l’eccesso di questo tipo. Guardando alcuni video dell’epoca, sembra che i Paninari siano comunque un gruppo di ragazzi un po’ arroganti, e molto diffidenti.
Era difficile entrare in un gruppo di Paninari se non eri amico di qualcuno, o se non seguivi il look alla lettera, o se facevi il fighetto—sai, quei ragazzini vestiti come piccoli adulti, con i maglioncini con lo scollo a V e le camicie inamidate. I Paninari dovevano avere le scarpe sporche di grasso, un aspetto consumato. Io avevo messo le Timberland nel forno per consumarle al meglio.

Parliamo di questo look: quali marchi venivano usati maggiormente?

Le primissime marche erano già famose negli anni Settanta, come la Levi’s, poi sono arrivati i piumini Moncler dalla Francia, dall’America le scarpe Timberland, e iniziavano a diffondersi i marchi Giorgio Armani ed Enrico Coveri. Poi c’era la Best Company, disegnata da Olmes Carretti, e la El Charro, prima per le cinture e poi per gli stivali, felpe e soprattutto per i jeans. Si usavano le calze Burlington, i mocassini Sisley, gli stivali Durango, gli occhiali Ray-Ban, le giacche Henri Lloyd, e i capi di Stone Island. Per le giacche si usavano molto anche quelle modello Top Gun dell’Avirex e quelle da motociclista della

Pubblicità

Schott

. Gli orologi che andavano di più erano lo Swatch e il Breil Hip Hop, per chi se lo poteva permettere c’era il Winchester. Tra le femmine andavano la Naj Oleari e Fiorucci.

E tutto questo quanto costava?

Un paio di Timberland costava 200.000 lire, le Burlington 15.000, i jeans di Armani o Stone Island intorno alle 80.000 lire, una felpa Best Company sulle 200.000 lire, il Moncler costava circa 500.000 lire, un orologio Winchester sulle 300.000 lire… Ecco, non erano spese che potevano fare tutti.

I genitori dovevano esserne entusiasti. Che aspetto fisico avevano questi ragazzi?
Portavano i capelli a spazzola lasciati lunghi dietro, oppure la pettinatura di George Michael negli Wham!, lunghi e leggermente cotonati. Il Paninaro doveva essere il ritratto della salute: andava in palestra, si sistemava le sopracciglia, non doveva avere neanche un brufolo. Si andava contro gli eccessi anche per questo motivo.

C’erano dei gruppi musicali o dei film smaccatamente da Paninaro?
I gruppi più rappresentativi erano Duran Duran e Spandau Ballet, ma il primissimo gruppo da Paninari erano gli Wham!, poi i Pet Shop Boys e i Depeche Mode. Non si ascoltavano granché i gruppi italiani. I film erano quelli americani, Top Gun andava tantissimo, io mi sono iscritto all’istituto aeronautico per colpa di quel film, poi Il segreto del mio successo. Tanti telefilm, come Supercar, e si guardava sempre il Drive In e Deejay Television, il programma in assoluto più paninaro.

Pubblicità

C’erano anche riviste dedicate?

C’era

Paninaro

, la rivista di riferimento,

Preppy

era quella per ragazze, e poi c’era

Cucador

, una versione un po’ più fighetta delle altre. Tutte queste riviste avevano dentro fumetti a tema, servizi di moda, classifiche, tutto scritto nel linguaggio dei Paninari.

Forse l’elemento migliore dei Paninari è proprio la creazione di un linguaggio così specifico.

Sì, tutto il vocabolario Paninaro è venuto fuori da sé, poi la caricatura di Enzo Braschi al Drive In ha aumentato il numero di vocaboli, che sono finiti nell’allegato del numero tre del

Paninaro

,

Il vocabolario del Paninaro

, dove c’erano i vari “cuccare”, “smerigliare” [mangiare], i “sapiens” [genitori], “non me ne sdrumo un drigo” [non me ne frega niente], insomma ci si capiva solo tra noi.

I Paninari si sono offesi per l’imitazione di Braschi?

No, assolutamente.

Italian Fast Food

era uno dei film preferiti dei Paninari, insieme a

Sposerò Simon Le Bon

. Piaceva moltissimo anche

Yuppies

, e in un certo senso gli Yuppie erano i fratelli maggiori dei Paninari.

Quando si è esaurito il movimento? C’è stato un evento in particolare che ha fatto finire tutto?
Be’, chi stava a Milano in quegli anni dice che tutto era finito già nel 1985, ma tieni conto che i Pet Shop Boys hanno inciso “Paninaro” nel 1986. Sai qual è la storia del pezzo? No, racconta.
I Pet Shop Boys erano a Milano ospiti di una radio, e dopo le registrazioni, il cantante è andato al negozio dell’Avirex a comprare una giacca, senza sapere che fosse una giacca paninara. La sera stessa, con indosso quella giacca, va in un locale e iniziano a urlargli: “Paninaro di merda!” A quel punto si fa spiegare cosa sono i Paninari e ne viene fuori la canzone. Nella canzone viene ripetuta più volte la parola “violence”. Era un movimento violento, o che subiva violenza?
I Paninari venivano spesso vessati, soprattutto dai Metallari e dai Punk. C’erano anche i Dark e i Cinesi, gli studenti di sinistra, ma quelli non davano alcun fastidio in modo diretto. In generale, i Paninari venivano considerati troppo frivoli e insultati per questo.

Torniamo indietro: col 1985 quindi non era finito nulla?
Diciamo che nel 1985 era finito il movimento politico legato ai Paninari e all’estrema destra, il resto è rimasto fino al 1989. Poi a rovinare tutto è arrivato Jovanotti, che introduce il rockabilly e il rap alle masse, quindi è sorta un po’ di confusione: io stesso andavo in giro con il Moncler e le Dr. Martens. Nel 1989 è uscito l’ultimo numero del Paninaro, i ragazzi sono cresciuti e si sono lasciati alle spalle tutto. Allora era una moda esclusivamente per ragazzini?
Quando si cresce si perde l’elemento frivolo che era alla base dell’essere Paninaro. Io ho sempre indossato qualche capo paninaro anche dopo gli anni Ottanta, ma venivo guardato come un alieno. Poi con internet è stato possibile ritrovarsi tra “nostalgici”. Ma si deve continuare a parlare dei Paninari perché sono stati l’unico movimento nato in Italia, a differenza dei punk o dei metallari. Il tuo negozio su eBay è tra i principali rivenditori di abiti originali da Paninaro, hai anche creato una community su Facebook e hai girato due film sul tema, Il ritorno dei Paninari e Il ritorno dei Paninari 2. C’è molta nostalgia per quel periodo?
Io ho a che fare sia con diciottenni che vogliono i vestiti che vendo perché gli piacciono o magari per qualche festa a tema, ma sento anche molti miei coetanei che cercano di tramandare la spensieratezza dei Paninari ai loro figli, e sono molto lusingati quando gli viene chiesto di prendere il Moncler o le Timberland, mentre sono disperati se il figlio diventa un tamarro. Tu hai figli?
Tra qualche mese diventerò papà. Se è maschio, lo vorrei chiamare Simone, come Simon Le Bon, se è femmina Clizia, come la protagonista di Sposerò Simon Le Bon.

Segui Chiara e Bea su Twitter: @chialerazzi e @beadegiacomo