Abbiamo intervistato i Dark Tranquillity, padri del death metal melodico
Foto per gentile concessione della band.

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Musica

Abbiamo intervistato i Dark Tranquillity, padri del death metal melodico

Il frontman Mikael Stanne ci ha parlato dell'importanza di rilassarsi in tour, di come si manda avanti una band di successo per decenni e del suo amore per la birra di Lambrate.

Della sacra trinità di Göteborg, quei tre gruppi che definirono non solo il sound di una città, ma anche due interi sottogeneri musicali, i Dark Tranquillity sono gli unici ad aver mantenuto un livello qualitativo (quasi sempre) costante, insieme ad un’inarrestabile attività in studio e sul palco. I loro esimi colleghi At The Gates, dopo aver contribuito a dare i natali al death melodico e poi al metalcore con Slaughter Of The Soul, si sono presi diciannove anni di pausa prima di tornare con un nuovo album in studio; gli In Flames, dal canto loro… Beh, lasciamo perdere.

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Rimane così la band capitanata da Mikael Stanne, che dal 1989 ad oggi ha raggiunto il non comune traguardo di undici dischi pubblicati, due DVD di cui uno registrato a Milano, e una serie di uscite minori. Nell’arco di quasi trent’anni di carriera, i Dark Tranquillity si sono sempre distinti per non aver mai abbandonato il loro genere di riferimento, il death metal, e anzi aver sdoganato il death melodico moderno, cioè non quello che suona come i Dismember (che è “semplicemente” death svedese, e un giorno magari varrà la pena di fare chiarezza sul punto), ma roba tipo gli Insomnium, con cui lo stesso Stanne ha anche collaborato. Mettendo da parte il fatto che il melodeath degli anni Zero è stata una piaga sociale e che i Dark Tranquillity sono ad oggi uno dei forse tre gruppi in grado di produrlo ad alti livelli, è indiscutibile come il sestetto di Göteborg abbia svolto un ruolo fondamentale nella nicchia musicale estrema, cui dobbiamo l’esistenza stessa di un filone abnorme di cloni o presunti tali. Dagli Omnium Gatherum ai Gardenian passando per i Callenish Circle i gruppi più o meno misconosciuti debitori di The Gallery e del bistrattato Haven sono una valanga.

Da bravo fanboy cresciuto urlando come un disperato in faccia alla gente di guardare the shell that is you, empty, fragile. weak , ed essendo a secco di esibizioni del gruppo svedese dall’ormai lontano 2012 nonostante i DT siano in Italia mediamente ottocento volte l’anno, ho implorato Century Media di farmi fare quattro chiacchiere con il rosso cantante in concomitanza del concerto al Live Club di Trezzo, durante il segmento finale del tour di Atoma, per fare un po’ il punto della situazione su ventisette anni di carriera, cambi di formazione inaspettati e anche un po’ di politica. Oltre che per regalargli un sacchetto di taralli al pepe.

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Noisey: Come sta andando il tour? Siete in giro da un po’…
Mikael Stanne: Benissimo. Questa è la seconda parte, ormai siamo in giro da un anno, e credo che sia migliorato tutto, sotto tutti i punti di vista. Sia per noi, quando siamo sul palco, ma anche dal lato del pubblico. Abbiamo suonato in un sacco di nuove città e in almeno un Paese dove non eravamo mai stati e la risposta è stata splendida. È una roba da matti, perché siamo andati in pullman fino ad Atene, ma è fantastico, sono felice del punto che abbiamo raggiunto come band e di come il pubblico risponda e sia con noi ad ogni data.

Dopo venticinque anni in tour, ho letto un’intervista in cui hai detto che recentemente il vostro approccio è cambiato molto, ora cercate di visitare i luoghi dove suonate, di fare un po’ di “turismo”…
Sì, cerchiamo di organizzare date in primavera e non più in inverno, per esempio. Può essere abbastanza deprimente: lontano da casa, col freddo, non hai modo di vedere nulla perché alle tre del pomeriggio è buio e finisci a passare le giornate in bus e nel backstage. L’abbiamo fatto per talmente tanti anni…

… Che era ora di smetterla.
Oh, sì. Così è un’altra vita. E siamo anche riusciti a perfezionare molto dello spettacolo, così che ora non dobbiamo più fare niente altro che salire sul palco, suonare e sfruttare il resto del tempo per scoprire il posto dove siamo. Ho passato così tanti tour a non poter conoscere e imparare nulla che ora che siamo arrivati finalmente a un punto in cui possiamo permetterci un po’ di tranquillità, beh, cerchiamo di recuperare il più possibile.

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Te lo chiedo perché qualche settimana fa ho parlato con i Dimmu Borgir e loro dicevano di avere avuto assoluto bisogno di una pausa, perché erano stanchi di essere stanchi dal tour. Che è comprensibile, ma dall’altro lato è bello vedere che nel tuo caso invece c’è ancora un sacco di entusiasmo.
Sì, sì, per noi ora andare in tour è comodo, per quanto possibile. Poi, certo, ci stanchiamo anche noi, ogni giorno c’è qualche problema e succede qualcosa, dormi poco e tutto il resto, ma non mi posso lamentare. L’unico vero lato negativo è non essere a casa con la mia famiglia, ma sotto qualsiasi altro punto di vista è una cosa che ho sempre voglia di fare. Poi adesso con i nuovi ragazzi nel gruppo [i due chitarristi turnisti Christopher Amott e Johan Reinholdz] l’entusiasmo si è rinnovato.

Il che mi porta al prossimo punto: uno degli aspetti che vi ha sempre contraddistinto è stata la lineup stabile. Com’è ora ritrovarsi in tour con persone diverse, che non sono più le stesse per la prima volta dopo venticinque anni?
Beh, Anders [Iwers, bassista che si è aggiunto alla band nel 2015] è uno dei miei più vecchi amici, ma non eravamo mai andati in tour insieme. Questa è l’occasione per fare un sacco di cose nuove insieme.

E Niklas [Sundin, chitarrista che per la prima volta non ha preso parte al tour per rimanere in Svezia e portare avanti il suo studio grafico, Cabin Fever Media ], invece? Tornerà in tour?
Non ne ho idea. È assolutamente ancora parte del gruppo, e si è occupato di tutta la parte visuale dello spettacolo, ma non so dire se prenderà di nuovo parte ai tour, a lui non è mai piaciuto particolarmente, è sempre stato un po’ a disagio, per quanto ami suonare sul palco con noi. Per cui questa soluzione funziona alla perfezione, e credo che lui sia più felice, almeno in questo momento. In futuro, vedremo.

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Questo rafforza ancora di più l’idea dei Dark Tranquillity come una famiglia, più che come una band: una volta che ne sei parte, rimani coinvolto. Penso anche a Martin [Henriksson, anche lui chitarrista e fondatore formalmente uscito nel 2016], che per quanto non più informazione è oggi il manager della band…
È ovvio che in quasi trent’anni ci siano dei cambiamenti, e a volte questi cambiamenti richiedono l’uscita dalla band, o il non andare in tour. Rispetto profondamente queste scelte, e anzi ne sono felice, perché ora stiamo tutti facendo ciò che vogliamo, oltre al fatto che Johan e Chris sono formidabili. Abbiamo trovato una soluzione, un equilibrio, che permetta a tutti di stare bene.

È bello parlare con qualcuno che dopo tutti questi anni abbia ancora un entusiasmo quasi palpabile per ciò che fa. Ora cambio discorso e ti faccio una domanda un po’ particolare: è noto che siate amici degli In Flames, e vorrei fare una sorta di paragone. Le vostre carriere hanno avuto una partenza comune, ma negli anni si sono sviluppate molto diversamente, e ricordo da alcune tue interviste per la promozione di Atoma che il processo di songwriting e registrazione del disco è stato sfibrante. Nel caso dell’ultimo album degli In Flames invece, Battles, Anders mi raccontò di come il disco sia il frutto di un periodo di birra e grigliate in giardino in California. Il risultato finale credo che rifletta perfettamente queste differenze [leggi: Atoma è un disco complesso, con una sua profondità, Battles è una cacata atomica]. Non avete mai pensato di fare una cosa del genere anche voi?
Non saprei. Sì, mi piacerebbe provare a fare qualcosa del genere, ogni tanto ne parliamo, ci chiediamo se non avremmo bisogno di un cambio di contesto quando registriamo un album, provare qualcosa di nuovo…

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Dovreste provare i barbecue californiani.
Sì, però… Posso farmi un barbecue a casa e poi andare a piedi in studio, nel mio ambiente. Credo che in fondo sarebbe più difficile, almeno per me, dovermene andare per un mese in uno studio da qualche parte nel mondo. Sarebbe bello, ma… Non so, il feeling che abbiamo con il nostro studio, con casa nostra, ci troviamo talmente bene che non vedo una reale ragione per spostarci, in realtà, per quanto sarebbe affascinante. La difficoltà non aveva niente a che vedere con lo studio, quanto con noi come band, con la modalità di ritrovarci insieme e far nascere nuovo materiale, trovare una nuova direzione da seguire. Fu il momento in cui Martin uscì dal gruppo, il che ci portò a farci un sacco di domande: dove dobbiamo andare, cosa dobbiamo fare. Fu problematico, ma a livello personale, erano i nostri problemi.

Niente che potesse essere risolto con una grigliata sotto il sole quindi.
No, esatto.

E ora che quel momento è stato superato e che il tour sta per finire, avete già programmi? Vi prenderete la canonica pausa?
Sì, ci prenderemo come sempre un po’ di tempo e poi inizieremo a parlare di un nuovo album, ma non sarà prima del 2019.

Adesso ho una domanda sui tuoi testi: mi piacciono molto, ma li trovo anche estremamente difficili. Come arrivi a concepire versi così complessi?
L’ispirazione arriva letteralmente da ovunque, qualsiasi cosa faccia o veda può essere uno spunto. Nell’ultimo paio d’anni, però, mi concentro soprattutto sul trovare motivazioni, sull’individuare gli errori in ciò che facciamo, nel modo in cui percepiamo le cose e come questo abbia conseguenze sul nostro giudizio, sulle nostre azioni e sui nostri pensieri. Come i nostri pregiudizi informino le nostre decisioni, il modo in cui vediamo il mondo e anche in cui capiamo le cose che succedono intorno a noi. Credo ci sia un falso senso di fiducia in se stessi, che la gente sviluppa solo perché crede di sapere o di capire. “La mia verità vale quanto la tua”, quel tipo di sicurezza, che credo sia sbagliato sotto moltissimi aspetti. Questa cosa mi frustra tantissimo. Per esempio vedere come la gente si comporta su internet, a volte sembra che esca il peggio dell’umanità: all’improvviso tutti hanno un’opinione su tutto. Queste cose mi fanno incazzare, e allo stesso tempo voglio capire come sia possibile arrivare a queste situazioni, perché la gente si comporti così. Ho fatto delle ricerche a riguardo, leggendo testi di psicologia che spiegano quanto sia semplice essere manipolati e portati ad una conclusione sbagliata. Abbiamo tutte le informazioni del mondo a nostra disposizione, eppure siamo sempre portati a cercare quella che supporti la nostra idea di partenza, per non cambiare opinione, anche se abbiamo torto. La gente porta avanti le proprie idee, la propria agenda, e per farlo si basa su dei processi logici fallaci. Mi piacerebbe che riuscissimo a comprenderci meglio, che riuscissimo a vedere questi errori. Non sto dicendo di non commetterli a mia volta, dico solo che osservo queste situazioni e cerco di analizzare i miei comportamenti. Queste cose succedono a qualsiasi livello: con gli amici come in politica, è inquietante. Ed è inquietante come non siamo ancora dove dovremmo essere, come il genere umano non riesca a mettersi d’accordo.

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Con tutto il potenziale e le opportunità che abbiamo a disposizione, andiamo sulla luna e poi ci spariamo addosso.
Esatto, questa cosa mi fa arrabbiare e mi spaventa terribilmente.

A questo riguardo, qualche tempo fa ho parlato con Dave Mustaine e, provando ad andare un po’ in profondità e a stuzzicarlo sul tema politico, mi sono sentito rispondere: “Niente politica, appena parli di politica perdi la metà del tuo pubblico” .
Lo posso capire, in un certo senso.

D’altra parte però tu ti sei esposto, l’estate scorsa. Mi riferisco all’intervista in cui hai espresso la tua contrarietà al razzismo , dicendo che sei deluso da come la Svezia sta affrontando il tema dell’immigrazione.
Assolutamente. Va detto che quell’intervista è incompleta, diverse cose che ho detto sono state lasciate fuori, e alcune sfumature di quello che ho detto quindi non si colgono. Ma mettendo da parte le mie opinioni personali, quello che vedo sono persone che si comportano in un determinato modo, spesso non interpretando o analizzando situazioni che danno già per assodate. Trovano qualcuno che dice o scrive quello che già pensano e basta, smettono di farsi altre domande, anche se poi spesso hanno torto. Questo è un problema enorme. E quando non capisci questi meccanismi, hai perso. È una cosa che si sviluppa anche con l’età, quando avevo vent’anni credevo a tutto quello che leggevo, leggevo tonnellate di libri di formazione e pensavo che questa filosofia di vita o quel modo di pensare fossero una figata…

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Però leggevi libri, non avevi un newsfeed in tempo reale perennemente attivo in tasca, il modo in cui assorbivi questi input era profondamente diverso, più strutturato e approfondito.
Assolutamente. Oggi è tutto diverso, mi piacerebbe pensare che sia migliorato, ma allo stesso tempo come dicevo spesso emerge il peggio della gente.

Un’ultima domanda, molto più semplice: avete prodotto un’imperial stout, la Atoma Beer . Quando potremo berla in Italia e perché cazzo stai bevendo una Beck’s?
Era la cosa più fredda nel frigo del backstage. Ma va bene, è una pils classica, non ho niente contro la Beck’s.

Non mi sarei aspettato una Beck’s da un beer-geek come te.
No no, ho un sacco di roba buona con me, anche locale, di Milano.

Mi dicono ti piaccia il Birrificio Lambrate
Adoro il Birrificio Lambrate. La birra è una mia grande passione, ogni volta cerco di provare qualcosa di locale, c’è una birreria qui dietro, voglio passare prima del concerto per vedere se hanno qualcosa di buono. La nostra Atoma invece è un’ottima birra e abbiamo avuto dei riscontri ottimi da chi l’ha provata, purtroppo però è ancora disponibile soltanto in Svezia. Stiamo cercando un accordo per esportarla in Danimarca e da lì iniziare una distribuzione più ampia. Le leggi che regolano gli alcolici da noi sono molto stringenti ed esportare è pressoché impossibile, se ci fai caso quando vai in un beer shop anche molto fornito non trovi mai birre svedesi, ed è un peccato, visto che abbiamo una produzione locale davvero ottima - lo so per certo, le ho provate più o meno tutte [ride].

Andrea è uno dei Lord di Aristocrazia Webzine. Seguilo su Instagram.

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