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Foto promozionale (Dan Medhurst).

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Musica

Perché dovremmo tutti guardare Trigger Warning with Killer Mike su Netflix

La serie del rapper di Atlanta non solo fa molto ridere, ma ci fa anche immaginare un mondo migliore.
Simone Zagari
Milan, IT

La marijuana delle piantagioni californiane è coltivata dai bianchi e i neri non dovrebbero fumarla. La scuola non insegna niente, la pornografia è la nuova frontiera dell'apprendimento. Le gang afroamericane commettono crimini, quelle bianche vendono magliette col proprio logo nei grandi magazzini. Il Cristianesimo è razzista e occorre un nuovo Messia che predichi "Do Dope Fuck Hope" ("Viva la fattanza, fanculo la speranza"). Gli anziani di qualsiasi credo politico andranno ai concerti rap dei Run The Jewels, e si divertiranno.

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Le frasi qui sopra hanno due cose in comune. Primo: sono talmente assurde da far sorridere. Secondo: sono tematiche affrontate in Trigger Warning with Killer Mike, la nuova docu-serie Netflix ideata da Killer Mike che tutti, dico tutti, dovrebbero guardare. Per sapere il perché, però, occorre capire a fondo chi lui sia, considerando che questo nome potrebbe dire poco o nulla a molti. È il rapper-protagonista-ideatore stesso ad andare incontro allo spettatore: "Sono Michael Render, ma voi potreste conoscermi come Killer Mike. Sono un rapper vincitore di un Grammy e metà del duo hip-hop, nominato ai Grammy, Run The Jewels. […] Sono anche un attivista e le mie idee fanno spesso discutere. Il rap mi ha reso milionario, offrendomi una vita che mai avrei sognato e la possibilità di aprire una catena di barbierie ad Atlanta". Un'introduzione breve, puntuale, che mette sul piatto già il doppio della carriera di un artista medio, ma che rappresenta soltanto la punta dell'iceberg per una delle figure più interessanti dell'hip-hop contemporaneo.

Killer Mike, nato e cresciuto ad Atlanta, esordisce nel mondo del rap con il botto, sotto l’ala degli amici e concittadini Outkast: una strofa in "Snappin' and Trappin'", traccia contenuta in quella pietra miliare che è Stankonia (2000), e la vittoria di un Grammy grazie al featuring in "The Whole World", singolo di punta del greatest-hits Big Boi and Dre Present… Outkast (2001). Dopo l'emancipazione dal duo più rappresentativo del Southern hip-hop e la pubblicazione di quattro lavori solisti, Mike vive finalmente la consacrazione personale grazie a R.A.P. Music (2012), album che segna una svolta netta nel suo percorso grazie anche alla produzione di El-P, leggenda underground newyorkese. La collaborazione è esplosiva e azzeccata: le rime impetuose e intelligenti di Mike si fondono egregiamente alla rivisitazione moderna e variopinta di ritmi old-school firmati El-P, in un connubio che se non è una manata sui denti, poco ci manca. Il sodalizio artistico tra i due è così perfetto che si consolida immediatamente, concretizzandosi in un vero e proprio progetto collaborativo: nascono ufficialmente i Run The Jewels.

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Forti di tre splendidi dischi all'attivo (il quarto dovrebbe uscire quest'estate), del plauso generale della critica e di concerti sold out in tutto il mondo, i Run The Jewels si sono imposti come il progetto rap più rappresentativo degli anni Dieci. Lo stile del duo è ormai unico e inconfondibile: sound oscuro e abrasivo edificato sul protagonismo di basse e percussioni, tappeto perfetto su cui innestare melodie affilate e liriche caustiche, lessicalmente varie, ricche di ironia e riferimenti letterari e cinematografici. Così come i contenuti, anche il flow è sempre multiforme, mai banale, arricchito da due timbri vocali perfettamente complementari. Su basi che creano un ponte tra il South e la East Coast, tra Atlanta e New York, i due mettono in rima le emarginazioni sociali, le contraddizioni degli Stati Uniti d'America, gli abusi della polizia, l’odio per Trump e l'urgenza di una violenta rivolta popolare contro i padroni, senza comunque disdegnare qualche svago tipicamente hip-hop tra donne, marijuana e gioielli.

La ribellione sociale di Killer Mike, però, va oltre i testi delle sue canzoni. Il suo attivismo inizia a farsi tangibile con dichiarazioni in difesa delle rivolte violente di Ferguson (2014) e Baltimora (2015) (con la speranza che a queste potesse seguire una riorganizzazione sociale gestita dagli afroamericani stessi) e lezioni universitarie incentrate sulle relazioni tra le diverse comunità che popolano gli USA, sino alla candidatura a rappresentante del 55° Distretto della Georgia. La notorietà politica su scala nazionale, però, arriva nel 2016 con l’appoggio e la partecipazione alla campagna elettorale di Bernie Sanders, candidato socialista democratico alle presidenziali americane.

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Considerando l’ingombrante schieramento politico e tutto il bagaglio ideologico che ne consegue, la creazione di una serie TV sarebbe potuta facilmente sfociare in un atto propagandistico e catechizzante, ma così, fortunatamente, non è stato. In ognuna delle sei puntate (da 30 minuti) di Trigger Warning with Killer Mike, il rapper parte da un assunto esagerato, da una situazione così estrema, pur con un fondo di verità, da risultare illogica, e si muove nella società per andare alla radice del problema, per trovare una soluzione che sia il più possibile inclusiva, rispettosa, costruttiva. Ed è Mike in primis, attivista sempre sugli scudi e animato dal sacro fuoco della giustizia, a presentarsi non come un predicatore con la verità in tasca, bensì come un umile cittadino pronto a darsi da fare e a mettersi in discussione in ogni episodio, a rivedere idee e posizioni. Con questa attitudine propositiva Mike insegna a migliorarsi partendo dai propri errori, aprendosi al dialogo con il prossimo anche se in disaccordo con noi, anche se si tratta un’anziana signora bianca convinta che il 75% degli attentati armati in USA sia commesso da afroamericani (no, non è proprio così).

Prima dicevo che tutti dovrebbero guardare Trigger Warning with Killer Mike, ma perché? Innanzitutto perché, nel suo essere esageratamente assurda, è altamente godibile e divertente. Immaginatevi un ragazzone nero che rappa "Good pussy good marijuana that be my medicine" in una facoltosa casa di riposo piena di ricchi anziani caucasici; oppure la faccia di bambini di quattro anni che si sentono dire “I vostri sogni sono fuffa, dovreste sognare di diventare carpentieri, non presidenti”. Provate a immaginare una nuova nazione formata da un nero albino, omofobo e attivista del Black Lives Matters, un'ebrea italiana fan della monarchia inglese, un nero cristiano e bigotto, un gay latinoamericano razzista, una femminista afroamericana esperta di porno sex-positive, un juggalo bianco satanista, un Crip, una transgender: è un delirio assurdo, proprio come la serie in sé. Accanto a questi momenti in cui realtà e finzione scenica si mescolano in maniera esilarante, però, vi sono attimi toccanti: un bambino che confida di essere stato preso in giro a scuola per avere la pelle “del colore della pupù”, anziani e tenaci commercianti afroamericani che ce la mettono tutta per sostenere la propria comunità, cittadini qualunque che confessano tutte le pressioni sociali di cui sono vittima ogni giorno, di cui siamo vittima ogni giorno.

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Killer Mike non vuole davvero farci credere che Crips e Bloods siano persone esemplari la cui unica occupazione è collaborare per strappare sorrisi alla comunità, vendendo bibite al mercato rionale e regalando biciclette ai ragazzini. Non vuole davvero farci credere che un nero debba boicottare prodotti e servizi che non siano "all-black" dalla radice della catena produttiva. Non vuole nemmeno farci credere che "Do Dope Fuck Hope" possa prendere piede come nuova religione mondiale in alternativa al Cristianesimo.

"Il problema, oggi, è che ognuno è nella propria bolla, e queste bolle ci mantengono divisi. Non ci parliamo, non scambiamo opinioni”. Mike vuole far scoppiare queste bolle, rimuovendo tutte le etichette, per favorire l’avvicinamento di ogni genere di persone; vuole far vacillare le sicurezze e smascherare le false credenze, triggerando le persone per creare un clima di empatia, comunanza e collaborazione con il diverso, mettendo al bando qualsiasi discriminazione basata su colore della pelle, genere, orientamento sessuale, religione, professione, estrazione sociale. Mike, semplicemente, vorrebbe un mondo senza barriere.

È proprio questa la forza della serie, il suo intento: generare nello spettatore la consapevolezza che quando parliamo di inclusione non parliamo di utopia, di un miraggio, ma di qualcosa che è possibile raggiungere conoscendo il mondo e le persone che lo abitano, imparando ad ascoltare, ragionare e accogliere, rimboccandosi le maniche, insieme. Tutti dovrebbero guardare Trigger Warning with Killer Mike perché a dividere Italia e America c’è un oceano, sì, ma è altrettanto vero che abbiamo tutti un disperato bisogno di umanità, oggi più che mai.

Simone è producer/DJ e scrive di musica per DeerWaves e Zero. Seguilo su Instagram.

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