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Musica

Recensione: Noel Gallagher's High Flying Birds - Who Built The Moon?

Who Built the Moon? Davvero Noel? Cosa sei diventato, il Piccolo Principe?

Mentre ascoltavo la prima volta Who Built the Moon? di Noel Gallagher stavo su un autobus diretto verso casa dei miei e a essere onesto mi sembrava un ottimo contesto per ascoltarlo—d’altronde era l’autobus che prendevo per andare al liceo e quindi, il periodo di vita in cui ero maggiormente legato agli Oasis.

Ma prima che vi parli di quel periodo buio della mia esistenza, ormai si sa, più o meno come si sa il ritornello di "Wonderwall", che i fratelli Gallagher sono famosi per le loro uscite poco sobrie e proprio in questi giorni—in cui per la prima volta nella carriera post Oasis di entrambi, sia Liam che Noel hanno rilasciato due dischi solisti a distanza di settimane—i due sono di nuovo finiti sulle timeline di mezzo mondo con frasi come “le persone che scrivono libri sono dei cazzo di idioti”.

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Ecco, vista proprio la loro schiettezza ho deciso di scrivere questa recensione nel modo più diretto possibile.

Dunque, partiamo dalla copertina. Cosa diavolo è? Una donna con un vestito da Scala di Milano in mezzo a una vallata della California? Mi dispiace, non riesco a dargli proprio un senso se non quello che sembri un ibrido tra una copertina della roba solista di quel vecchio di Gilmour e l’esame di fine semestre di una matricola di graphic design. Andiamo avanti, ma prima di addentrarci nel disco: Who Built the Moon? Davvero Noel? Se non sbaglio una mia compagna dell’università, che si era tatuata un bel simbolo dell’infinito sul polso destro, aveva postato una foto del tatuaggio con quella didascalia.

Comunque sia, il disco si apre con "Fort Knox", un pezzo che, per struttura e ripetitività lirica, sembra un chiaro riferimento a "Fucking in the Bushes", la opening track di Standing on the Shoulder of Giants del 2000. Solo che poi "Fucking in the Bushes" era un pezzo con un super riffettone in stile Led Zeppelin che ti faceva venire voglia di ingollare pinte abbracciato ai tuoi amici al pub mentre "Fort Knox" sembra più la colonna sonora di una nuova serie di Netflix in cui c’è una ragazzina del Bronx con i genitori divorziati che scopre di avere dei superpoteri. Poi parte "Holy Mountain", un pezzo quasi new wave in cui ci sono coretti tipo quelli su "Ça Plane Pour Moi" di Plastic Bertrand. È un buon pezzo ma i coretti sono fatti per essere cantati dal pubblico e mi sto immaginando qualche migliaia di persone vestite da mod che fa “UUUUHUUUHUUU” durante un live di Noel Gallagher e l’immagine stona un bel po’. Andando avanti, oltre "It’s a Beautiful World" che ha il pattern di batteria uguale a "Smack My Bitch Up" dei Prodigy, seguono un serie di pezzi più psych come "She Taught Me How to Fly" e "If Love Is the Law", che sono ok, ma danno l’impressione che Noel si sia concentrato più sulla riuscita del suono che sui testi e la struttura. La stessa cosa vale per "The Man Who Built the Moon", un pezzo super pompato e suonato bene, e per le due parti strumentali del disco: "Interlude" e "End Credits".

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Ecco, credo che il problema del disco sia esattamente questo: è, tutto sommato, un album che suona bene e la critica lo accoglierà positivamente, ma io da Noel Gallagher non mi aspetto un disco suonato bene. Continuo ad aspettarmi canzoni d’amore scritte da uno che ha preferito lavorare nei cantieri di Manchester che studiare. Continuo ad aspettarmi ballad su notti finite male da una testa di cazzo a cui della critica non glien’è mai fregato nulla. Ecco, sì, "Dead in The Water" è l’unico pezzo del disco che rispecchia quello che sto cercando di dire. È un pezzo intimo tipo "Talk Tonight" e sai che ti dico? È una bomba. È una bomba perché è questo che sa fare quella fottuta testa di cazzo: suonare quattro accordi con quelle dita tozze e scrivere di cazzi suoi. Non di chi cazzo ha creato la luna.

Who Built The Moon? è uscito il 24 novembre per Sour Mash.

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