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Musica

Dargen D'amico odia le interviste

Abbiamo parlato con Dargen D'Amico di D'iO, giornalismo musicale e Dio senza apostrofo.

All'inizio di questo mese è uscito D'iO, il sesto album in studio di Dargen D'Amico, che è un po' la sintesi del percorso musicale compiuto dall'ex membro delle Sacre Scuole fino ad oggi, dato che è persino uscito con un super cofanetto con dentro la sua intera discografia da solista.

Nelle ultime settimane si è molto chiacchierato di D'iO, quindi abbiamo pensato fosse utile parlarne direttamente con il suo autore. Purtroppo alla fine ci siamo ritrovati a parlare di Dio (senza apostrofo), Musica Jazz e giornalismo musicale, però è stato davvero interessante. Qui sotto trovate quello che ci siamo detti.

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C'è un'intervista in cui paragoni la situazione del rap italiano a quella di VICE Italia, siamo molto contenti di questo, ma ti va di spiegarcelo meglio?
Per un periodo avevo seguito molto da vicino i reportage delle varie redazioni di VICE nel mondo e mi avevano abbastanza entusiasmato, ma la mia sensazione è che in Italia tutto debba essere rapportato alla situazione, e che quindi ci sia un fortissimo gradino di adattamento alla superficialità da copertina che nel resto del mondo è meno evidente. Credo che sia un discorso culturale che permea qualsiasi livello della cultura digitale italiana, ma la verità è che era soltanto un esempio per parlare della scena rap italiana.

Ovvero che il rap si è applicato una patinatura che non è sua? Secondo te perché è successo?
Abbiamo sempre quel modo di intendere la musica come un intrattenimento da crociera, in cui tutto è un carnevale: ti puoi vestire da esploratore anche se in realtà non fai l'esploratore. Il rap italiano è nato sotto questa stella: si è sempre cercato di far nostra una matrice culturale profondamente diversa.
Nonostante il disagio nelle periferie fosse forte si trattava di un sentimento molto diverso, non legato alla razza o all'esplosione di una qualsiasi lotta per i diritti.

Abbiamo preso quello che riuscivamo a prendere, e ultimamente abbiamo preso soprattutto delle cazzate, ma questo succede anche perché in Italia l'hip-hop è esploso in un periodo ben connotato, che era quello del tuning e delle sfide di freestyle con gli insulti.

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Tu dici che in Italia siamo tutti dei gran poser, ma ascoltando D'iO anche tu assumi un ruolo che però non approfondisci mai. Parli di Dio, ma non ti esponi mai chiaramente: come ti rapporti con la tua spiritualità, se ne hai una?
Credo di essere il primo a non comprendere la spiritualità, soprattutto la mia. Credo che la sua stessa sostanza sia proprio l'impossibilità di comprendere. Quanto qualcuno riesce a farti credere di poterla comprendere, allora crolla e diventa religione, che è una cosa che a me interessa un po' meno. Il tentativo di arrivare a qualcosa che sia Altro-da-tutto non comporta una comprensione di quello che esiste oltre, che non saprei nemmeno come definire.

In ogni caso non voglio prendermi troppo sul serio. Prendersi sul serio per fare un disco è una cosa da disturbati mentali, quindi cerco sempre una motivazione per fare quello che faccio, che sia oltre. Questa motivazione a volte può essere un diversivo, ed è per questo che non viene approfondita. Non nascondo che in alcuni dischi è successo, altrimenti diventa davvero difficile fare l'artista.
È un po' come uno schiaffo, o una tirata di capelli, in una coppia navigata.

La sensazione in realtà è che questo disco sia nella tua media, che non ci sia nulla di estremo e si fa un po' fatica a capire perché sia così.
Per come la vedo io estremo è qualcosa che spinga ai margini la norma comunemente accettata, e vedendo qual è la norma della musica italiana, o volendo del rap italiano, D'iO non mi sembra un prodotto che si innesta in quest'ottica.

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Diciamo che dopo gli ultimi dischi sembra che in D'iO ci siano dei flussi di coscienza su delle basi molto melodiche, e questo sembra essere un atteggiamento più nella norma rispetto agli altri dischi, come se stessi dando un po' un calcio al cerchio e uno alla botte.
Bisognerebbe fare un discorso molto lungo su quelle che sono le sensazioni dell'ascoltatore e quelle dei musicisti, su uno stesso disco. Dal mio punto di vista all'interno del disco ci sono brani che io stesso ho trovato complessi da registrare, ad esempio "Lunedì Chiuso". Magari quello è un brano che per un ascoltatore generico di musica italiana può essere un esperimento, qualcosa di astruso, mentre per me è nella norma, è nei canoni che ho sempre seguito fin dai tempi di Musica Senza Musicisti.
Essere estremo o meno estremo dipende sempre dai punti di vista, ad esempio quel brano per le persone con cui ho collaborato era troppo estremo, mentre a me sembrava assolutamente naturale. Chiaramente, dopo aver riascoltato anche i dischi precedenti per lavorare a questo, capita di riascoltare delle cose vecchie e farle tornare a galla.

Credo che a livello di collegamenti tra le boe e le ancore testuali D'iO sia il lavoro più difficile che ho composto. Sono arrivato ad un punto di consapevolezza del modo in cui scrivo che anche ciò che viene visto come difficile dall'esterno per me non è così. Sono tutte cose che comprendo perfettamente, però è un po' come la storia della scorpione, è il DNA di quello che scrivo che crea le canzoni.

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Però, sempre rispetto al discorso su Dio, ci sono versi entrano in contraddizione tra di loro, soprattutto ascoltando i dischi precedenti.
Non ho dei pensieri univoci, quindi mi trovo ad affrontare, come ogni essere umano, dubbi e contraddizioni. In alcuni momenti può capitarmi di portare avanti idee che possono apparire contraddittorie tra di loro, ma non è nemmeno un cambiamento di opinioni, fa tutto parte della stessa riflessione.
Ma non staremo facendo un'intervista troppo intelligente per Noisey?

No, di solito sono intelligenti, a parte quando il personaggio è stupido.
Giustamente, bisogna adattarsi. In Italia c'è un discorso gigantesco da fare per quanto riguarda il giornalismo e la critica musicale. Penso che manchino dei professionisti che siano in grado di farti la cronaca di un disco, mentre è pieno di artisti mancati. Vivono un pochino i dischi degli altri come un disco in meno per loro, per cui la recensione standard è un recap di quanto fatto nella sua carriera dall'artista, a cui segue uno spazietto per quello che secondo il loro modo di vedere le cose dovrebbe essere il disco nuovo; però manca sempre la cronaca del disco, che sarebbe la cosa più utile, dare una mappa al lettore, in modo tale che la recensione possa fornire delle indicazioni di massima per orientare l'ascolto.

Secondo me la recensione dovrebbe essere quello che è una guida turistica per fare un viaggio, mentre vedo che c'è una forte attutidine al temino scolastico, che però funziona, perché è tutto perfettamente in armonia con il resto: le riviste che parlano di musica o di spettacolo e gossip sono più o meno tutti uguali, anche come modo di scrivere e presentare, raggiungendo questo equilibrio che alla fine è così ingenuo che ti fa sorridere. Uso la seconda persona singolare, ma in realtà a me non fa sorridere.

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Come l'avresti scritta una recensione di D'iO?
Non sono in grado di scriverla. Ci provai qualche anno fa e mi sarebbe piaciuto collaborare con una testata, ma vivo la musica ancora come un massaggio spirituale e quindi non riuscirei a recensire dei dischi che non mi comunicano qualcosa. Allo stesso modo non mi verrebbe mai da recensire un disco negativamente, con atteggiamenteo da bullo. C'è da dire che non sono mai neanche stato bullizzato quando ero piccolo, forse alcuni di questi giornalisti tendono a prendersi una rivincita, sono tutte cose fisiologiche che non puoi contrastare. Chiaramente ci sono dei casi limite, ma nessuno mi intervisterà mai su Musica Jazz, anche se mi piacerebbe molto ed entro in uno stato di pace mentale mentre leggo le loro pagine.

Non pensi che la sindrome del temino sia talvolta una diretta conseguenza della mancanza di contenuti? Che i riferimenti diventino necessari perché non ne vengono offerti altri?
Credo che sia necessario un giornalismo più scientifico, che aiuti anche la musica ad andare avanti. Si parla sempre del livello e della qualità, ma se i giornalisti parlano solo di quello che ascoltano e apprezzano loro, utilizzando sempre le stesse formule espressive, com'è che si aiuta l'ascoltatore a scegliere tra due dischi? Bisogna decidere in base alla copertina? Io penso che ci sia necessità di una maggiore professionalità, così come viene richiesta agli artisti deve esserlo anche ai giornalisti.

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Ok, dato che siamo in argomento: le tue interviste in che misura sono serie e in che misura sono una perculata all'intervistatore? Possiamo dire che Dargen D'Amico è un progetto teatrale, oltre che musicale?
Sì, possiamo dirlo, credo che sia così. A parte uno o due occasioni vivo le interviste un po' tutte nella stessa maniera, a ruota libera. Forse è un problema dei miei circuiti, ma a volte capita che dia delle risposte molto serie che in realtà vengono vissute come un tentativo di divertissement o un gioco con le parole, quando è semplicemente il modo in cui mi escono i pensieri. Ogni intervista per me ha il medesimo peso specifico, che è quello di cercare di dare una spinta alle canzoni e al progetto musicale.

In questo senso, cioè spingere la tua musica, D'iO è nato perché avevate in mente di rimettere assieme tutto il materiale discografico o avete messo insieme il materiale perché si stava componendo D'iO?
Prima ho riascoltato tutti i dischi che avevo composto in passato. È stato un po' come una seduta di psicanalisi, dovevo fare un disco nuovo, ma mi sono reso conto di non avere ben chiaro il percorso che avevo compiuto fin lì. Volevo un disco che si staccasse dalla quotidianeità, ma avevo bisogno di rileggere i passi fatti fino ad oggi. Ho capito che era stato in qualche modo il momento giusto per riascoltare, che le coincidenze, la musica italiana, mi stessero offrendo un modo per unificarli, tendere all'Uno e quindi a ciò che viene chiamato per brevità Dio. In quel momento, mentre avevo le idee già abbastanza chiare, chiacchierando con Gaudesi abbiamo pensato di offrire questa possibilità di guardarsi indietro anche a tutti gli altri e quindi ci è venuta l'idea di fare questa operazione.

Ok. Un'ultima cosa: per chi era "Sms Alla Madonna"?
Nome e cognome? Come sempre capita per le persone, per lo meno per quelle che vivono una vita reale, ci sono dei contatti che ti fanno scaturire un brano. In quel periodo c'era un contatto con la realtà, ma non credo che le canzoni siano delle fotografie di esseri umani, sono più che altro dei ritratti di paesaggi all'interno dei quali ci sono anche degli esseri umani. Se le vai a guardare non saresti in grado di riconoscere nemmeno le persone, perse nel paesaggio. In quel caso però sì.

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