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Musica

Siamo a un punto di svolta per i festival musicali in Italia?

Ne abbiamo parlato con uno degli organizzatori dell'Ortigia Sound System, che ogni anno cerca di raccontare il legame spontaneo che nasce tra musica e territorio.

Qualche giorno fa abbiamo annunciato la lineup dell'Ortigia Sound System. L'esaltazione per il fatto che finalmente potrò vedere dal vivo la mia artista preferita mi ha riempito di endorfine e le endorfine, come tutti sanno, sono il motore della domande migliori. Nel mio caso la domanda è stata: come è possibile che una artista che non ha mai messo piede in Italia abbia accettato di farlo per la prima volta a un festival che si tiene nella parte più antica di Siracusa? Da qui a catena sono arrivata a pormi questioni ben più metafisiche: per esempio, prima ancora di avere qualcuno che ci suoni, come si fa a organizzare un festival in un paese in cui anche iscriversi al registro dell'ASL può farti venire voglia di trasformarti in Jamie Foxx in Giustizia Privata?

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Per rispondere a queste e altre domande sono andata a Torino a trovare Germano Centorbi, one-man organizzatore di eventi con Kadmonia, parte del management di L I M e Niagara e co-organizzatore dell'Ortigia Sound System che mi ha raccontato cosa si intende con "nuova generazione" di festival in Italia, e cosa dovrebbe cambiare nel nostro paese prima che si possa veramente consolidare una scena di eventi musicali interessante e continuativa.

Noisey: Ogni dieci giorni in Italia viene annunciato un festival nuovo—l'ultimo che mi è comparso nella mailing list di Resident Advisor è in una masseria in Puglia, a giugno. È un segnale di una svolta, di un passaggio?
Germano Centorbi: Diciamo che sì, c'è un fermento nella creazione, ma effettivamente non so quanto i festival che nascono possano durare nel tempo. Probabilmente la preferenza accordata ai festival è dovuta al fatto che organizzare eventi singoli durante l'anno è quasi impossibile, per questioni economiche e di pubblico ristretto (e spesso di scelte sbagliate di direzione artistica e promozione) mentre il festival ti consente di lavorare con una line up ampia che può accontentare te e un pubblico più ampio, oltre che trovare appoggio da parte delle venues. La nascita di tutti questi festival secondo me rispecchia insomma un'esigenza di comodità, di tendenza.

E questo della difficoltà di organizzare eventi durante il corso dell'anno è un problema generale o solo italiano?
È abbastanza italiano, nel senso che si fa veramente fatica a creare un pubblico. Se vuoi che ti lascino organizzare un evento, devi assicurare una certa entrata in botteghino, e automaticamente ti limita. L'unica scena italiana è quella della musica indie nazionale. Con gli artisti internazionali è davvero difficile costruire un mercato, perché sono davvero pochi quelli che interessano al pubblico.

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Quindi diciamo che organizzare un festival è un modo per circumnavigare, trovare un'alternativa alle difficoltà dei locali nel portare avanti una programmazione? E magari nel contempo sfruttare location alternative?
Diciamo che ci sono motivi diversi per cui si organizzano i festival, ma questo mi sembra uno determinante. Quanto alle location, mi fa piacere che tu ne abbia parlato, perché l'altra questione importante è che c'è anche voglia di sfruttare la bellezza del territorio italiano. Considera che un festival su più location e giorni ti permette una programmazione più varia. È il caso di Ortigia, che ha contesti differenti, e ognuno richiede di essere valorizzato dalla giusta programmazione artistica: giorno, notte, tramonto, mercato del pesce…

C'è da dire che tra i motivi per cui nascono un sacco di festival c'è che i festival fanno figo, e qui sorge un problema: molto spesso ai promoter sembra facile organizzare un festival. Ma poi questi festival quanto durano? Non voglio dare la colpa ai promoter, ma spesso si pecca di ingenuità quando non si considera che organizzare un festival vuol dire mettere insieme tantissimi elementi, il territorio, la regione, il comune, la politica e gli esercenti, la cittadinanza. Spero che con Ortigia riusciremo a metterli insieme tutti e durare nel tempo.

Ecco, questo è un punto che volevo affrontare con te. Soprattutto i siciliani sono molto protettivi nei confronti del proprio territorio—perché avete scelto un luogo suggestivo ma già "turistico" come Ortigia, e come avete fatto a non farvi fucilare dagli abitanti del centro?
Quanto alla seconda parte della tua domanda, non ce l'abbiamo fatta: nel senso che anche quest'anno il festival ha diviso la cittadinanza. L'ambizione è di riuscire a mettere d'accordo tutti (o quasi) come è avvenuto a Castelbuono [ dove si tiene l'Ypsigrock]. Comunque mi preme di certo quello che facciamo lo facciamo sempre discutendone prima con comune e vigili.

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Il motivo per cui abbiamo scelto Ortigia è abbastanza banale: c'era un'esigenza nell'aria ma nessuno l'aveva intercettata. Il festival nasce come serata universitaria nel 2014, l'anno successivo si sviluppa come un "festival" di una sola giornata, ma più corposa, finché la terza edizione, quella dello scorso anno, si è sviluppata come un vero e proprio festival, su più giorni e con attività differenziate.

Rimaniamo un attimo sull'ambientazione dei festival: se penso per esempio al Terraforma, o a Ortigia, una cosa fondamentale mi pare essere l'integrazione della sfera artistica nella sfera ambientale. Una linea che, pensando alle possibilità offerte dall'Italia, potrebbe essere sfruttata bene, dato che oggi se voglio sentire la musica attacco Spotify e basta.
Insieme alla comunicazione, è la cosa più importante, nel senso che ora che l'interesse per l'artista non è più così principale, quando vendi un festival vendi una location—e avere posti come Villa Arconati, o la Sicilia, è fondamentale. Non solo, è uno dei motivi per cui gli artisti vengono a suonare in Italia. In fase di booking, quando devo convincere un artista a suonare, di sicuro in allegato inserisco una foto di Ortigia. La location è troppo importante in Italia, perché spesso il nostro non è un mercato interessante per gli artisti stranieri, quindi se vengono a suonare spesso e volentieri lo fanno perché c'è una location bella. Molti artisti di livello intendono l'OSS come una vacanza—alcuni mi chiedono di restare anche oltre la durata del festival, e noi cerchiamo di garantirlo per quanto possibile—ovvio è un costo, ma è soprattutto un investimento perché più si parla di Ortigia più il festival ne guadagna. Diciamo che a Torino non mi capita spesso che gli artisti vogliano restare così a lungo.

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Il fatto di avere location così singolari implicherà però un grande lavoro sulla programmazione—e infatti uno dei ricordi che ci si porta sempre a casa da un festival, in positivo o in negativo, sono le "vibrazioni", il fatto di essere stato chiuso in una specie di guscio dove tutto, nel migliore dei casi, si amalgamava perfettamente. Come si crea una lineup, proprio a livello di coerenza con il territorio—e i tuoi gusti?
È un discorso che mi piace molto, perché la line up per quanto mi riguarda è costruita intorno al territorio e alla location. E ovviamente anche in base a quelli che non chiamerei gusti ma discorsi culturali tuoi, alla ricerca che stai facendo. Con Kadmonia opero su Torino, che è una città scura, che ha bisogno di un certo tipo di proposta culturale industriale: mettiamo Lotic. A Ortigia Lotic non potrebbe mai suonare, perché il buio di Ortigia è diverso. Per cui l'anno scorso a Ortigia ha suonato Alfio Antico, che ha tanto buio, ma è un buio ancestrale. Il buio siciliano è legato all'origine dell'uomo, all'ancestralità del territorio, quello di Lotic è legato all'ultracapitalismo e ultramodernità, alla sua condizione di berlinese. Artisti così li vedo meglio a Milano o Torino—soprattutto a Milano. L'altro giorno è stata una goduria assistere alle performance di Yves Tumor, Amnesia Scanner. In Sicilia non avrei goduto allo stesso modo.

Quest'anno l'OSS avrà elementi legati al Medio Oriente, e stiamo provando ad aprire un discorso con diverse ambasciate, ospitandole al festival, perché la Sicilia è da sempre un luogo di influenze arabe e di incontri, nonché un territorio in cui arrivano tanti rifugiati—dobbiamo provare a dare voce a questi artisti, che trattano questi temi. E lo facciamo seguendo sempre una linea artistica che parla di pop, avant pop o elettronica contemporanea. La lineup insomma nasce in base a qualcosa che vuoi dire, e quello vuoi dire è sempre legato al territorio.

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Un altro punto importante di molti festival nati in questi ultimi anni è, in accordo con l'importanza del contesto ambientale, anche quello della cura dell'ambiente—quindi diciamo una svolta "green" che parte dal Coachella e arriva al Terraforma.
Sì, credo che per il Terraforma è diventata una delle caratteristiche più importanti, anche se poi ci sono altri casi in cui è solo questione di immagine. Su questo a Ortigia siamo un po' indietro—perché be', il contesto è indietro. Ma cerchiamo lo stesso di fare cose che abbiano senso sul territorio, per esempio stiamo cercando di collaborare con Seashepherd, che opera già a Ortigia per prevenire la pesca dei ricci, creando magari dei nostri team di persone che vadano a pulire le spiagge e salvaguardare la pesca nei nostri mari.

Ecco, qui vorrei aprire invece una parentesi sul fatto che forse il più "noto" e amato dei festival italiani di un certo tipo è il Club to Club, che è in totale controtendenza con tutto quello che abbiamo detto finora—almeno per come si è sviluppato ultimamente.
Guarda, veramente il C2C è un'esperienza unica in Europa. Conta che quando lavoravo al festival, dopo l'annuncio di C2C15 hanno cominciato ad arrivarci messaggi che dicevano, qui in America non esistono festival come il vostro. Al Club to Club conta davvero in modo preponderante la musica. A vedere festival come C2C e Terraforma—non mi metto a citarli tutti perché rischierei di dimenticarne qualcuno—ma anche altre realtà come l'agenzia di booking Radar Concerti che fa un lavoro immenso da questo punto di vista, hanno un'attenzione smodata alla selezione musicale, potresti pensare che in Italia stiamo facendo un buon lavoro in quella direzione. E invece la stragrande maggioranza sono festival allineati in un certo tipo di circuito, con lineup tutte uguali.

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Venendo alle note dolenti, vorrei che ci soffermassimo un attimo sulle questioni puramente monetarie. Come si trovano i soldi per un festival, quando in Italia i festival non sono ancora considerati un'industria—con tutti i disagi del caso, tipo assenza di dati, che rendono molto complesso farsi concedere per esempio prestiti dalle banche?
Sicuramente bisogna fare poco affidamento su istituzioni e fondi pubblici, nel senso che ci sono, ma per costruire un festival servono sponsor privati. Per questo marketing e comunicazione sono così importanti, perché devi comunque essere in grado di fornire qualcosa al di là del dato che non c'è. C'è però un problema però più profondo e che riguarda tutto il circuito italiano: ed è che la maggior parte degli organizzatori non considerano il proprio lavoro una professione. Anzi, molto spesso lo fanno come secondo lavoro, e non va bene—io capisco che fai fatica a farti uno stipendio con la musica, però sono sacrifici che vanno fatti, soprattutto perché ci vuole del tempo a raggiungere le persone che investono su di te. Se non investi anche cinque anni per dare dei dati a quelle persone, come pretendi poi che quelle persone vengano da te a investire? Allo stesso tempo non vorrei si pensasse che sono contrario a ogni attività fatta col solo scopo culturale e sociale. Penso solo che debbano essere sostenibili, per non morire

E non riguarda solo i festival: chi fa il promoter interpreta il suo lavoro come un hobby. E questo porta degli enormi svantaggi anche a chi il suo lavoro cerca di farlo bene. Perché un artista internazionale che arriva in Italia e viene alla tua serata, ma la tecnica non funziona o lo fai dormire in un brutto albergo, quell'artista non torna più in Italia e ne ha un brutto ricordo. Lo stesso vale per tutto il resto, ufficio stampa, produzione—quante volte si fanno i festival senza pensare alle coperture finanziarie necessarie! C'è proprio la tendenza a dire, "La grafica la faccio io internamente, la comunicazione la fa lui sempre internamente," Ma internamente stocazzo!

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Mi sembra un ennesimo riflesso di un problema più diffuso in Italia, ovvero l'inesistenza dell'imprenditoria culturale, dell'idea che la cultura è splendida, ma che deve essere un'industria autosostenibile—e per forza di cose monetizzabile.
In Italia non esiste un mercato culturale, eccetto quello legato all'indie. Non mi piacciono festival già in partenza organizzati con un business plan per cui anche se vendono tutti i biglietti sono comunque in debito—e sono festival grossi, frequentati, magari con lineup immense. Ecco, quelli sono un danno enorme.

Questo è uno dei problemi più grossi a mio parere. Kadmonia, l'attività che porto avanti a Torino, nasce per quello, OSS vuole fare quello: un incontro tra una parte di business e cultura, e questo mi porta a scontrarmi una volta a destra e una a sinistra. Da noi se fai arte non puoi fare business, e viceversa—per questo io amo un festival come C2C, perché ti dà anche la dimostrazione che l'imprenditoria culturale si può fare anche in Italia.

Be', è lo stesso identico problema con i libri, i film, le serie TV…
Esatto, poi vedi Jeeg Robot o Gomorra e capisci che si può fare. E invece devono dire tutti che si è svenduto, è diventato popolare, non va bene. E invece no, è figo—può starti sul cazzo Sorrentino perché ha le immagini laccate, ma stiamo parlando di cinema di qualità e non di schifezze.

Torniamo all'Ortigia Sound System, nell'organizzazione siete in quattro e disegnare una lineup mettendo insieme quattro background musicali non deve essere facile. Come funziona la selezione?
C'è tanta discussione, poi non so dirti come ma riusciamo a venirne a capo, anche se a tratti sembra impossibile. Ognuno porta la sua influenza e si riesce ad arrivare a una decisione comune.

Tipo che quanta musica ascolti in un giorno?
Eh, sempre. Sempre.

I media dovrebbero svolgere un ruolo centrale sia nella promozione dei festival sia, più in generale, nella promozione musicale. Cosa che da più parti—e a ragione—si contesta che in Italia non avvenga. Che cosa abbiamo bisogno in questo paese, a livello mediatico, perché gli eventi musicali di qualità sfondino la barriera della "nicchia"?
I media hanno un ruolo fondamentale. Se si riuscisse anche a capire di cosa si sta parlando, e a innescare dei meccanismi per rendere i contenuti ancora più originali e portarli fuori dall'Italia, sarebbe davvero importante. Ecco, considera l'importanza che può avere un articolo esportabile per la promozione di un festival o di un artista. I media italiani se iniziano ad avere una buona ricezione all'estero possono aiutare gli artisti italiani a esportare la loro musica. Se crescessero, crescerebbe tutta l'industria musicale italiana.

Elena usa ancora Twitter, seguila: @ev_entually