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Musica

Recensione: Puce Mary - The Drought

In The Drought l'artista danese esprime le contraddizioni dell'umanità tra rumoracci distorti e pulsazioni fantascientifiche.

C’era un periodo che tutti sembravano voler fare noise e il noise andava di moda o quasi. L'hype veniva dal suo aspetto crudo e incompromissiorio che, come al solito, alla fine attira il suo opposto. Nonostante non sia mai riuscito, per fortuna, ad essere popolare nel senso proprio “pop” del termine, c’è stata una miriade di entità che in qualche modo era riuscita a rompere il muro di omertà per una musica che, subliminalmente, era penetrata anche in classifica: se pensate a tutti i rumoracci infilati nei pezzi, chessò, di Britney Spears o ai Nirvana quando gli andavano giù di harsh, capirete cosa intendo. Anche le gallerie d’arte, cadute probabilmente nell’equivoco (che ha fatto comodo a molti) di trovarsi di fronte più a performance che a momenti musicali, hanno sdoganato il genere verso un certo tipo di pubblico che probabilmente è quello sbagliato.

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Per cui, facendolo e cercandolo in prima persona, mi sono sempre chiesto che futuro ci può essere per il noise, visto che dopo il wallz e la sbronza di elettronica minimale techno con l'arpeggiator, oppure sbandate free jazz insensate che molti sfascioni si sono prese cambiando completamente suono, si è notato un momento di risacca alquanto preoccupante.

Ecco, adesso forse le cose stanno invece cambiando e abbiamo della roba che cerca di spostare un po’ l’asticella dell’imprevisto, restando però coerente con certe esperienze passate. Uno di questi esempi è il nuovo di Puce Mary, The Drought. Basti citare "To Possess Is To Be In Control", che pur toccando i grandi temi dell’industrial e del power electronics si sposta in territori spoken word e paesaggi paddosi, mescolando rumoracci calibratissimi che giocano di fino, lateralmente, anzi, entrano nella pelle come gas nervino di cui ti accorgi solo quando arriva al sistema nervoso. Il gioco tra suoni completamente lo-fi e harsh e innesti ad alta definizione in qualche modo compone le contraddizioni rumorose di un'umanità presa a morsi da se stessa.

Ma il disco è permeato di romantica urgenza: certo, romantica come lo può essere la colonna sonora di Non aprite quella porta . Anche lì le commistioni sono plurime e su piani che implicano la purificazione di se stessi tramite il riconoscimento dei propri limiti nel preservarsi; carnefice e assassinato si equivalgono nell’impossibilità di fuga dai loro ruoli. L’analisi di questi sentimenti umani che in qualche modo diventano automaticamente una galera inumana, in The Drought produce quindi degli effetti lisergici senza dover per forza passare attraverso un muro di suono che potrebbe alla fine risultare banale.

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È un bel viaggione in un noise fantascientifico, levigato e variegato quanto basta per arrivare a più orecchie non tanto per sfondargliele a caso, ma per sfondare proprio il diaframma tra cuore e cervello. Perché a volte dietro la melodia c’è un rumore assordante e dietro il rumore assordante… la melodia: dipende da che parte cade la moneta chiamata esistenza.

The Drought è uscito il 5 ottobre per PAN.

Ascolta The Drought su Spotify:

TRACKLIST:
1. Dissolve
2. A Feast Before The Drought
3. To Possess Is To Be In Control
4. Fragments Of A Lily
5. Red Desert
6. Coagulate
7. The Size Of Our Desires
8. The Transformation
9. Slouching Uphill

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