72 hour post fight
Tutte le fotografie sono di Ludovica De Santis.

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Musica

In Italia non c'è nessuno come i 72-HOUR POST FIGHT

Oggi esce il loro primo album, un disco che se ne frega dei generi e può fare bene alla musica italiana—soprattutto al rap. Li abbiamo intervistati.

Pronti all'iperbole? Sono abbastanza convinto che in Italia non ci siano band come i 72-HOUR POST FIGHT e che la loro esistenza possa fare bene alla musica italiana. Il motivo è che fanno musica e sono appassionati di musica, e questo è un valore. Il motivo è semplice: chi fa, scopre e gestisce musica di successo in Italia tende ad avere un gusto inquadrato in confini ben definiti ed è raro trovare, per esempio, un rapper che si emoziona con gli American Football, un cantante indie che vola con i Portishead, un chitarrista rock che si gasa i BROCKHAMPTON.

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Prima di essere una band, il cui album di debutto esce oggi, i 72-HOUR sono quattro amici nati e cresciuti tra Varese e Milano. Uno è Carlo aka Fight Pausa, che suona la chitarra. Lo stesso faceva prima con i Leute, un piccolo grande gruppo emo che condivideva con Luca Galizia, cioè Generic Animal, e con Andrea, che allora come adesso suona la batteria. Poi c'è il suo compagno di università a fisica, Adalberto, che suona il sassofono. E infine Luca aka Palazzi d'Oriente, che è il nome con cui fa il produttore e musica elettronica, ed è amico di Carlo dai tempi del liceo.

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Resta che è difficile fare un riassunto di tutte le cose che fanno i 72-HOUR. Carlo lavora con NO TEXT AZIENDA, cioè i ragazzi che hanno girato La Nuova Scuola per noi, il video di "XO Tour Llif3" di Lil Uzi Vert e collaborano regolarmente con Off White. Luca è amico d'infanzia di Massimo Pericolo e ha prodotto a nome Palazzi d'Oriente il beat del suo nuovo singolo "Sabbie d'oro". Ma dato che vengono (per semplificare) il primo dall'emo e il secondo dall'elettronica danno alle persone con cui lavorano - soprattutto in ambito rap - un soffio vitale per svecchiare e innovare la scena italiana.

La loro musica è infatti un mistone apprezzabile da chiunque. Si sente che Carlo e Luca fanno e soprattutto ascoltano musica insieme da una vita - musica, non rap, elettronica, indie o qualsiasi cosa. "Uno dei primi ricordi musicali che ho è Carlo che portava l'iPod di suo padre e ci ascoltavamo i Battles, i Belle & Sebastian, Aphex Twin", mi racconta Luca, "Questo disco puzza del sudore della nostra amicizia." 72-HOUR POST FIGHT nasce come una performance per chitarra ed elettronica eseguita alla presentazione di un singolo dei Leute: "solo dopo ci siamo resi conto che era una bomba e volevamo provare a 'farla', a crearci un universo attorno", dice Carlo.

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A generare questo universo sono state le percussioni di Andrea e il sassofono di Adalberto, protagonisti melodici sul palcoscenico del disco. Entrambi hanno registrato le loro parti in una lunga sessione di improvvisazione, cristallizzata sul momento: "Gli abbiamo messo in mano delle cose che erano completamente non-musica", spiega Luca, "ma in qualche modo sono riusciti a trovarci una linea pop, e ci riescono anche quando improvvisiamo dal vivo."

Nello specifico, la presenza di Adalberto influisce sull'idea che i 72-HOUR percepiscono ci si faccia all'esterno su di loro: dice Carlo, "Ci mettono sotto categorie come 'elettronica' o 'nu jazz', il che ci può stare, ma solo perché c'è il sax alla fine". Ed è difficile dargli torto, sebbene l'equazione sax = jazz sia solo una convenzione e non una verità incontrovertibile. Adalberto ha infatti studiato strumento, ma si è presto reso conto che gli piaceva di più cazzeggiare e sperimentare che fare solfeggio. Parlando, cominciamo a tirare fuori linee di sax epiche e lui cita "Destination Calabria" di Alex Gaudino, "Talk Dirty To Me" di Jason DeRulo, "Mr. Saxobeat" di Alexandra Stan - tutte hit che gli è capitato di suonare esibendosi in discoteche, dove anche involontariamente si è fatto l'orecchio a forza di suonare il sax sulla melodia di "Despacito".

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Questo aneddoto è un'ulteriore conferma di quanto i 72-HOUR nascano da un'idea di totale condivisione musicale, un'orizzontalità di ascolti che rifiuta il concetto di guilty pleasure. "Prendi i BADBADNOTGOOD, che suonano alla sfilata di Louis Vuitton, ai festival musicali e al Toronto Jazz Festival", dice Carlo. "Da noi se vieni percepito come uno che fa musica sperimentale suoni solo nelle case, nei posti strani. E viceversa se apri a MYSS KETA ti si chiudono altre porte. Perché deve essere così?"

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E infatti non c'è motivo perché lo sia, e i 72-HOUR lo dimostrano con i fatti. Dal vivo spesso improvvisano, indipendentemente dal pubblico che hanno di fronte. "Accostarci a realtà che tendono a essere considerate pop, o di nicchia, per noi ha un significato", dice Luca. "[Artisti come MYSS KETA e Any Other] sono nostre amiche prima di essere musiciste, entrambe sono venute sotto palco a chiederci di aprire i loro concerti. Noi non volevamo fare un disco 'strano', volevamo fare musica insieme. Non definiamo dove va la nostra musica, non definiamo una bolla. Abbiamo la possibilità di condividere, di far arrivare la musica ad ogni livello, sarebbe stupido chiudersi."

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Lo stesso pensiero deve avere fatto uno dei mentori del progetto: Enrico Molteni dei Tre Allegri Ragazzi Morti, che pubblica l'album con La Tempesta. Mi viene da pensare che lo stesso abbia fatto Simone Trabucchi, fondatore del collettivo milanese Hundebiss, specializzato in cose sperimentali, che ha invitato i ragazzi a suonare—e improvvisare—a una serata dell'etichetta. L'impressione è che la musica dei 72-HOUR possa unire idee, generazioni, scene: si tratti di gente che pubblica dischi di dancehall sperimentale o indie italiano, di ragazzi che si gasano con l'emo trap o con le svisate di sassofono. "Siamo tutte persone attive, ci piace lavorare nella musica, fortunatamente abbiamo tanti amici e tutti con tante idee diverse. Se facciamo musica è perché comunichiamo con loro", dice Luca.

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"Io sono super dentro l'hip-hop," aggiunge Carlo, "come ascolti e lavori che faccio. Abbiamo un background comune ma abbiamo preso direzioni diverse, e questa cosa è linfa vitale." Luca prosegue: "Magari un rapper con cui lavoriamo può attingere da noi rumori e suoni, e viceversa. In America è così da sempre, pensa ai Beastie Boys e ai Run-DMC. Io odio gli album dei rapper che non sono dischi, ma compilation di testi. Perché passi da una traccia con la chitarrina alla trap a un pezzo boom bap? Sono il primo a essere contento se questa cosa inizia a cambiare."

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È quindi uno sforzo gioioso, quello dei 72-HOUR: attraversare confini, rendere un po' più vera quell'idea di fine dei generi musicali che da anni serpeggia tra le pieghe del cervello musicale collettivo. Fa sorridere anche anche il loro nome, nato da un meme, evoca un'idea di sforzo. Carlo racconta: "C'è questo meme nato attorno a un energy drink per camionisti, postato da inzane_johnny… era un energy drink per farti rimanere interessato al jazz per tanto tempo! Lo avevo messo come immagine profilo di Whatsapp, e il nome si è auto-generato con le storpiature".

Il tocco finale è arrivato da Luca: "Quando poi ho sviluppato e visto la foto che è finita sulla copertina mi sono reso conto che era proprio post fight." La foto raffigura due persone che si abbracciano, stanche, dopo essersi pestate: altri due loro amici, Massimo Pericolo e Sagga—cioè i protagonisti del video di "Sabbie d'oro" di Pericolo. "Il fatto di aver loro in copertina è il pacchetto più bello che potevamo avere per questo disco", mi dice, e sempre lui dà un ottimo assist per chiudere le fila sul disco: "E c'è un'idea di fatica anche dietro al disco, che in fondo è nato da una performance unica. La divisione in tracce è stata un po' forzata, di per sé era un viaggio negli svarioni che abbiamo. Alla fine i pezzi sono inframmezzato da cornici, che sono come dei momenti di riposo dopo una serie di salite. C'è un'idea di sollievo, nel disco come nel nome, che dice tutto." Elia è su Instagram. Segui Noisey su Instagram e su Facebook.

Ascolta 72-HOUR POST FIGHT su Spotify cliccando sulla copertina qua sotto:

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