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Identità

Possiamo smettere di collegare l'omosessualità ai traumi infantili?

Da Marco Carta al ragazzo di Palermo 'guarito' dall'omosessualità, quest'idea è ancora troppo ingombrante. E priva di fondamento.
Niccolò Carradori
Florence, IT
marco carta coming out
Marco Carta. Screengrab via Mediaset. 

Parola Della Grazia (PDG) è una chiesa cristiana evangelica fondata nel 1985 a Palermo, di quelle con i predicatori civili che arringano il pubblico, e che si rifanno alle chiese gospel americane per offrire alternative alla Chiesa cattolica. Una piccola comunità, di cui pochi conoscevano l'esistenza.

Da qualche giorno, però, su internet circola un video in cui uno dei giovani membri di PDG, durante una cerimonia-evento di "battesimo", spiega di aver 'sconfitto' l'omosessualità grazie a Gesù. Ma soprattutto, motiva la sua storia attraverso i traumi infantili: è cresciuto senza padre, e la mancanza di una figura maschile di riferimento lo avrebbe portato a colmare il vuoto con altri uomini.

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A pochi giorni di distanza il cantante Marco Carta ha fatto coming out a Domenica Live. E pur dichiarandosi felicemente omosessuale, in un'intervista rilasciata al Corriere ha fatto un ragionamento simile a quello del giovane di Parola della Grazia: "mi sono sempre chiesto se, nell’omosessualità, ho cercato il padre che non ho avuto."

Al di là dei contesti in cui queste storie sono state raccontate—e tralasciando il concetto su cui sia possibile guarire l'omosessualità grazie alla fede, che personalmente mi inorridisce—la matrice del discorso che le innerva è simile, e soprattutto non circoscritta a questi due esempi. Da sempre in una certa cultura medio-popolare esiste la suggestione psicoanalitica secondo cui le tendenze, gli orientamenti e le identità sessuali possano essere spiegate con i traumi infantili e familiari.

È una concezione che mutua da un momento effettivo della storia della psicoanalisi, quello iniziale, e che si addossa in modo massiccio all'idea superficiale che si ha di Sigmund Freud e delle sue teorie sullo sviluppo sessuale e sul modo in cui le nevrosi si riversano nel sesso. Si potrebbe discutere a lungo sulla reale concezione dell'omosessualità come "disturbo mentale" da parte di Freud e dei primi psicoanalisti, ma non è questo il punto: è indubitabile che per un periodo una certa branca della psicodinamica abbia visto l'omosessualità come una fase stagnante dello sviluppo sessuale, e che la considerasse indice di eventi traumatici pregressi.

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Per ogni concezione teorica e filosofica, però, è necessario fare una contestualizzazione storica, e inquadrare determinate teorie di un pensatore in essa—così come quando leggiamo i romanzi di Dostoevskij o di Daniel Defoe il nostro cervello ignora quasi automaticamente tutte le affermazioni sessiste e razziste, relegandole all'epoca in cui queste opere vennero scritte, e ci concentriamo sulla trama. Freud è stato un gigante del pensiero occidentale, perché per primo ha sistematizzato la concezione dell'inconscio. Ma molte delle sue speculazioni e fissazioni sessuali sono semplicemente figlie del tempo e del luogo in cui ha vissuto: l'Austria sessualmente repressa a cavallo fra Ottocento e Novecento.

Dagli anni Settanta del Novecento, nessuna vera branca della psicologia individua nell'omosessualità una componente di devianza. L'omosessualità è vista come una naturale variante dell'orientamento sessuale, e l'unica forma di omosessualità considerata clinicamente rilevante è quella egodistonica. In pratica, si considera un omosessuale affetto da una condizione che può degenerare in disturbo mentale solo quando rifiuta e reprime la propria omosessualità per forzarsi verso l'eterosessualità.

Quello che mi preme contestare in questo articolo, appurato quanto già scritto, è l'idea, estesa e dilagante, che il sesso permei la nostra esistenza e la nostra identità. Questo riflesso intellettuale latente, che ci spinge continuamente a vedere nei nostri comportamenti sessuali o legati all'orientamento sessuale l'ombra di motivazioni psicologiche. Quella cosa che porta a pensare che se la sessualità è lo scarico idraulico di tutta la nostra vita, una specie di distillato in secrezioni genitali dei nostri traumi, allora l'omosessualità deve per forza essere una devianza. Come a dire: se sei omosessuale allora ti deve per forza essere successo qualcosa da piccolo; i tuoi genitori, o chi per loro, qualcosa devono averti fatto.

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Da questo punto di vista, purtroppo, non sono stati fatti molti passi in avanti dai tempi dell'Impero austro-ungarico. È un problema solo apparentemente banale, ma che riguarda bene o male ognuno di noi: basti pensare al modo in cui cerchiamo di desumere o sussumere la personalità e la rilevanza di una persona da quanto, chi, e come scopa. Come se l'intera sfera emotiva di un essere umano, le sue esperienze, le cose che gli sono successe, i suoi desideri, potessero essere riassunti da una pulsione naturale e da come la sfoga.

È bene per tutti cominciare a differenziare la sfera naturale da quella sociale e sistemica. La famiglia è un sistema di valori e influenze che possono contemplare anche il comportamento sessuale, non la natura. Intaccano il tuo rapporto con il mondo, e la tua relazione con l'identità: non sono un coacervo di pulsioni sessuali scaricate liberamente.

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Per sapere di più sull'inconsistenza delle "terapie riparative" e dell'omosessualità nella chiesa cattolica, guarda il nostro documentario: